Rilascio della licenza di caccia e parenti mafiosi: nuova sentenza del TAR Sicilia

I fatti

A.U. di anni 49, faceva richiesta di rinnovo della sua licenza di porto d’armi ad uso caccia in vista della prossima scadenza dello stesso. La Questura, però, negava il rinnovo e, alla base del diniego, assumeva come preclusivo il fatto che il soggetto richiedente fosse in rapporto di parentela con soggetti condannati per vari reati tra i quali reati di stampo mafioso. A questo punto A.U. assistito dai propri legali propone ricorso dal TAR della Regione Sicilia adducendo come motivazioni dello stesso gli elementi che di seguito andremo ad analizzare

Il ricorso al TAR

Prima di tutto l’elemento più importante alla base del ricorso di A.U. avverso il provvedimento di diniego del porto d’armi ad uso caccia, è l’eccesso di potere esercitato dalla Questura alla quale aveva richiesto tale rinnovo e quindi, di conseguenza, un eccesso di potere esercitato in modo del tutto arbitrario e privo di logicità e ragionevolezza, anche dal Ministero dell’interno.

Altro interessante elemento del ricorso è certamente la contraddittorietà manifesta tra atti successivi  della P.A.

In passato, infatti, A.U. aveva sempre rinnovato il porto d’armi ad uso caccia e il Ministero, dal canto suo, nulla aveva avuto ad obiettare circa il rinnovo di cui sopra, avendo già certamente piena conoscenza della parentela tra A.U. e soggetti condannati per reati di stampo mafioso. Tali condanne, stando agli elementi sollevati dai legali, risalivano nel tempo e in passato non erano state considerate come elementi ostativi al rinnovo della licenza di caccia.

Dal canto suo si costituisce il giudizio il Ministero dell’Interno che propone di rigettare il ricorso e basando tale richiesta su elementi che, in modo certamente peculiare, l’organizzazione mafiosa di Cosa Nostra. In particolare il Ministero suggeriva ai giudici amministrativi il fatto che all’interno di Cosa Nostra il vincolo di parentela fosse elemento di indissolubile e totale asservimento del soggetto all’organizzazione stessa. In sintesi A.U. si sarebbe trovato obbligato addirittura magari a rendere disponibili le proprie armi in funzione degli scopi illeciti di Cosa Nostra in virtù del rapporto di parentela che lo legavano a membri della stessa.

La decisione del TAR Sicilia

I Giudici amministrativi decidono di dare ragione ad A.U. e di accogliere il ricorso da lui presentato. In particolare, e in modo certamente logico e ragionevole, il TAR ha sottolineato, rifacendosi anche a un orientamento giurisprudenziale costante, che il semplice e mero rapporto di parentela con soggetti condannati per reati di stampo mafioso non può, da solo, rappresentare elemento valido  e sufficiente per far venir meno i requisiti dei affidabilità del soggetto al possesso ed uso delle armi.


Corrado Maria Petrucci

Consulente Legale

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