Parenti e porto d’armi: sentenze ed orientamenti

Liti in famiglia e porto d’armi da caccia 

Marito e moglie hanno un diverbio molto acceso tra le mura domestiche. A questo punto vengono allertati i Carabinieri che, dopo essersi recati presso il domicilio dei due, hanno conferma del diverbio. Emerge, inoltre, che i litigi si sono avuti anche in passato con i medesimi toni. A questo punto la Questura, sulla base degli eventi, dispone la revoca del porto d’armi ad uso Caccia al marito il quale, presentando scritti difensivi avverso tale provvedimento, sottolinea come la moglie fosse affetta da grave depressione ed in generale da disturbi psichici documentabili.

In un contesto del genere il marito subisce continue minacce tipo “ti faccio togliere il porto d’armi” tanto che lo stesso decide di trasferirsi a casa della madre nel 2015 trasferendo, opportunatamente, anche le armi. La Questura, anche di fronte ad un generale miglioramento del contesto famigliare, dichiara comunque che a mancare è la necessaria serenità che non faccia dubitare circa il reale pericolo di abuso delle armi.

Il soggetto decide così di presentare ricorso al Tar Lombardia che, con sentenza n. 1994 del 16/8/2018 dà ragione al ricorrente. In particolare il Tar ritiene che sì la Questura gode di un generalissimo potere discrezionale circa la valutazione dell’affidabilità del soggetto ma che la situazione debba essere valutata tenendo conto non solo del contesto all’interno del quale il ricorrente si trovava ma, ulteriormente, anche la personalità e gli aspetti psicologici del soggetto della cui affidabilità si sta discutendo. In particolare il Tar prende in considerazione i disagi psichici della donna elemento, quest’ultimo, di cui la Questura non aveva tenuto conto.

Il Tar Lombardia quindi restituisce il porto d’armi ad uso caccia al marito.

Parenti mafiosi e porto d’armi da Caccia 

Altra interessante pronuncia è quella del Tar Sicilia che, con una interessantissima sentenza, stabilisce che il mero rapporto parentale con soggetti condannati per reati di stampo mafioso non costituisce elemento preclusivo al rinnovo del porto d’armi ad uso Caccia.

A.U. decide di rinnovare il porto d’armi ad uso Caccia in vista della prossima scadenza dello stesso. La Questura, però, rinnega il rinnovo  ritenendo che il rapporto parentale che legava A.U. con soggetti macchiatisi di reati di stampo mafioso fosse elemento preclusivo al rinnovo dello stess.

Si procede quindi con ricorso al Tar della Sicilia adducendo come motivazioni l’eccesso di potere esercitato dalla Questura nei confronti di A.U. in merito alla sua richiesta ed una generale contraddittorietà tra atti successivi della  pubblica amministrazione.  In particolare in sede di ricorso di sottolinea come in passato il porto d’armi ad uso Caccia fosse già stata in più occasioni rinnovato e che, certamente, la Questura fosse pienamente a conoscenza  del legale parentale tra A.U. e soggetti condannati per reati mafiosi. 

Il Tar darà ragione ad A.U. sostenendo che il mero rapporto parentale con soggetti condannati per reati di stampo mafioso non possa essere considerato, tout court, elemento ostativo al rinnovo del porto d’armi. 


Corrado Maria Petrucci

Consulente Legale

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