Ambiente e Stati Generali: emerge l’integralismo al posto dell’integrità

La presenza e la diffusione di molte specie selvatiche sul territorio è legata all'opera di monitoraggio e tutela dei cacciatori che non operano soltanto con il prelievo come i detrattori della caccia vorrebbero sostenere

Che sia necessaria una svolta nel recupero e nella valorizzazione del territorio Italiano è evidente da tempo ai cacciatori, ai pescatori e allevatori italiani, tutti coloro che quotidianamente nelle campagne trascorrono sia le ore lavorative che quelle libere, in difesa di un patrimonio economico e culturale che accompagna la storia del mondo rurale quasi sempre totalmente dimenticato invece dalla politica. 

Davanti alle proposte, ai sacrifici, alle richieste di intervento da parte degli operatori di questi settori, arrivano sempre più spesso come una prassi risposte vane da parte dei governi, procrastinazioni e condizionali che lasciano spazio a illusioni e molto più spesso delusioni. Sono piccoli e medi imprenditori, artigiani, appassionati che non vorrebbero abbandonare la propria attività e il proprio stile di vita che spesso coincide con la produzione di prodotti d'eccellenza, ma soffrono il confronto impari con le multinazionali o con realtà produttive mondiali prive di regole e burocrazia asfissiante da cui ricevono concorrenza insostenibile. Poi un giorno all’interno di palazzi a porte chiuse e fra lussuosi banchetti,  lontani anni luce anche soltanto dall’odore della terra che vorrebbero improvvisamente salvare, si riuniscono tavoli “tecnici” che in realtà escludono i veri addetti ai lavori, perché vorrebbero vederli sostituiti da altre categorie. Frange politiche che vorrebbero imporre una visione unica del mondo e completamente affine a ideologie estremiste, animaliste e "green fashion" le definirei, dalla discutibile credibilità, secondo le quali l’uomo dovrebbe sistematicamente trasformarsi in consumatore passivo di prodotti verosimilmente vegetali e rinunciare ad ogni tipo di rapporto interattivo o produttivo con l’ambiente  che non si troverebbe più a vivere ma ad assistere. 

Stati generali e ambiente

Una follia tutta italiana fortunatamente che non trova giustificato riscontro in alcuna parte d'Europa, anche perché le contraddizioni riscontrabili concretamente sono evidenti. Volendo citare un solo esempio attuale. Sono pochissimi i chilometri di distanza che separano Villa Pamphili a Roma in cui erano riuniti in consiglio i suddetti Stati Generali da Castel Romano, quartiere della periferia dove negli stessi momenti in cui le associazioni ambientaliste proponevano i loro obiettivi insieme al Ministro dell'Ambiente, andavano avanti i roghi di auto e materiali tossici in discariche abusive denunciati dagli abitanti e quindi perfettamente noti alle autorità completamente assenti e incapaci di intervenire. Questo è quanto viene anche riportato dal servizio televisivo della nota trasmissione Le Iene che ben illustra il quadro drammatico della situazione di incuria e abbandono in cui vessa l'area della riserva Decima Malafede di Castel Romano, una zona come moltissime altre in cui gli ambientalisti non mettono piede cedendo il passo a discariche abusive e disastri ecologici in cui si perde ogni traccia del loro impegno politico e civile che sembra concretizzarsi nell'unico obiettivo di condannare e discriminare cacciatori, pescatori, allevatori e ogni altra categoria di persone che semplicemente vive in modo diverso e sicuramente più attento e costruttivo il rapporto con l'ambiente rispetto al loro esclusivo naturalismo salottiero. Che valore concreto possono avere le proposte avanzate da qualcuno che vorrebbe imporre un modello di vita al proprio stato non riuscendo a far valere la propria presenza e il proprio operato fuori dalle mura in cui si trova a parlare?

L'Italia e le associazioni ambientaliste

Quello appena citato vuole essere solo un esempio pratico e per dovere di cronaca e onestà intellettuale si precisa che la situazione descritta persiste dal 2005 con diverse parti politiche che si sono alternate in carica e dunque con nessuna volontà di strumentalizzazione dei fatti politici ma con preciso riferimento all'atteggiamento di queste associazioni che in ogni situazione hanno dimostrato l'inadeguatezza del proprio messaggio e l'inutilità delle proposte dettate soltanto dal fanatismo ideologico o da interessi particolari. A livello Europeo e mondiale le associazioni ambientaliste collaborano con le altre riconoscendo il ruolo attivo e necessario degli altri attori sociali del sistema rurale per la difesa e la conservazione della natura. L'Italia sembra ancora una volta fare eccezione. Dove sono queste realtà quando si progettano o si affrontano sul campo opere di ripristino e ricerca, opere di prevenzione o di intervento nelle calamità? Dove quando cacciatori e pescatori denunciano il degrado ambientale delle zone rurali che l'antropizzazione e l'inquinamento hanno compromesso? I divieti e le interdizioni non sono risposte, non generano vita né conservano gli equilibri naturali, anzi, limitano ogni intervento utile e alimentano situazioni anomale che vedono specie in esubero a discapito di altre, territori sottratti ad alcune per l'insediamento di altre ancora con gravissime conseguenze per la biodiversità. 

Il vero dramma è queste problematiche sono note e stanno a cuore a coloro che vivono il territorio e non lo osservano da uno schermo. In una democrazia che meriti ancora il suo nome, questi soggetti che corrispondono a qualche milione di persone, rappresentati da altrettante associazioni, magari andrebbero ascoltati. Invece no; sono coloro che per pregiudizio ideologico vengono condannati dai nuovi paladini dell'ambiente pronti soltanto a dividere e mai a costruire, incapaci di ammettere l'evidente fallimento delle proprie tesi che nulla fanno e a nulla rinunciano per convertire la rotta di quel sistema che ha portato negli ultimi decenni al progressivo deterioramento ambientale. Sembrerebbe banale ma vale la pena ricordare che mentre cacciatori, pescatori e allevatori sussistono con l'ambiente da millenni traendo vita dalla sua conservazione, agli attuali signori della tecnica che vorrebbe ora mascherarsi di green sono bastati 60 anni per sfruttarne ogni risorsa senza criterio. Prima di proporre abolizioni e chiusure senza quartiere, a cosa sarebbero disposti a rinunciare in nome di quell'ambiente a cui gli altri invece dedicano le proprie risorse, i propri studi, la propria vita? Quindi non appaia eccessivo un richiamo ad una riflessione globale sulla questione; anche all'interno delle nostre stesse categorie che spesso cedono in preda all'individualismo e ai particolarismi come auspicato proprio dagli avversari. Qualora anche non avranno attuazione le assurde proposte integraliste della "fashion green", è necessario prendere coscienza che ci troviamo davanti alla scelta di profili ideologici per il nostro futuro. Non si tratta di caccia, pesca o semplicemente economia di settore, dobbiamo scegliere se arrenderci a coloro che vorrebbero una popolazione inerme, completamente assuefatta dalla tecnica e dedita al consumo di beni imposti oppure riteniamo che la vita abbia ancora un senso se vissuta nella libertà di scelte consapevoli e maturate all'interno di un percorso di formazione che insegni prima a rispettare i diritti dell'altro e di conseguenza l'ambiente condiviso.