Il fagiano: corretta gestione di un grande selvatico

È un freddo mattino di febbraio quello che ci vede ospiti del Centro Cinofilo Polivalente di Ascoli Piceno nelle Marche per assistere al censimento della specie fagiano nelle ZRC (zone di ripopolamento e cattura) del territorio circostante. 

Il monitoraggio avviene attraverso la ricerca dei selvatici con cani da ferma selezionati dal coordinatore Filippo Cataldi. Notiamo da subito un clima estremamente dinamico e collaborativo che vede i cacciatori intenti nello studio delle planimetrie con le porzioni di territorio assegnate per un’ispezione il più possibile dettagliata al fine di una verifica efficace dello stato di salute della specie. Si procede a gruppi di poche unità coi rispettivi cani in modo lento e scrupoloso; i risultati non tardano a farsi evidenti. Il territorio che perlustriamo è vario, si alternano terreni coltivati a prati naturali attraversati da fossati e boschi anche fitti in molti tratti. La presenza dei fagiani è notevole e uniforme, ma ciò che colpisce maggiormente l’attenzione è la qualità dei selvatici, sempre capaci di mettere a dura prova anche cani esperti. 

Il fagiano selvatico

Cane in ferma
Il fagiano selvatico è in grado di mettere alla prova tutte le migliori qualità del cane da ferma.

Le strategie difensive variano a seconda delle condizioni ambientali, come è normale che avvenga nell’incontro di un selvatico vero. Vediamo infatti alcuni fagiani involarsi nei terreni aperti lasciando a debita distanza cani e cacciatori. 

In altri casi l’involo avviene dagli alberi in cui i selvatici hanno trascorso la notte evitando le insidie derivanti dai predatori. Fagiani infine capaci di restare a lungo nascosti nei più fitti roveti e nei fossati da cui si sottraggono in volo se incalzati dall’azione congiunta di più cani da ferma. Il frullo è sempre agile e repentino, degno dei migliori selvatici. 

Chiediamo alla fine delle operazioni di censimento come si sia giunti a questo stato di salute della specie in contro tendenza con la maggior parte dei territori gestiti dagli ATC italiani, da quanto lamentano i cacciatori in ogni dove. Ci viene spiegato che l’impegno qui parte da molto lontano e si basa sulla collaborazione fra l’ente di gestione e i cacciatori locali che appunto collaborano per il raggiungimento di un obbiettivo comune; avere un territorio integro, ben tutelato e dunque capace di fornire rifugio e ristoro alla fauna selvatica. 

I fagiani selvatici in queste zone ci viene fatto notare, derivano da ceppi risalenti in realtà agli anni '60 del secolo scorso, ma solo grazie a continui interventi di ripristino e tutela ambientale, operazioni di sostentamento nei periodi più critici dell’anno, si è arrivati al consolidamento e di conseguenza irradiamento delle popolazioni selvatiche. Le cause del declino del fagiano e di altre specie terricole nei territori non correttamente gestiti sono ormai note; la profonda trasformazione ambientale causata dalla meccanizzazione dell'agricoltura intensiva, l'antropizzazione, l'impiego dei pesticidi e degli erbicidi, la distruzione delle siepi campestri. Non è qualche piccolo appezzamento di coltura a perdere che può mitigare gli effetti negativi della moderna agricoltura sulla fauna, occorre intervenire sui margini dei campi coltivati operando in due direzioni: aumentare l'offerta alimentare nei confronti dei pulcini e incrementando i possibili siti di nidificazione e riparo per le femmine. Fondamentale lasciare ai margini dei campi, delle fasce da non sottoporre a trattamenti con erbicidi. Queste oltre ad attrarre insetti che potrebbero soddisfare le esigenze alimentari dei piccoli, forniscono quel feltro erboso essenziale per la deposizione e l'incubazione delle uova. 

Attenzione, dedizione e competenza che se congiunte come nel caso da noi osservato possono restituire ai cacciatori, alla cinofilia, al territorio una grande risorsa quale il fagiano selvatico rappresenta; disprezzabile soltanto da chi non ha avuto modo di conoscerlo davvero.