Argyro, una bellissima principessa albanese, preferì morire piuttosto che finire in un harem turco, e così, durante una delle incursioni ottomane, si gettò dalla torre più alta del proprio castello, cadendo in mare.
Per commemorarne il gesto nobile e coraggioso, gli albanesi dettero il suo nome ad una delle loro città: Gjirokastra, la “Fortezza Argentata” (questa la traduzione italiana del toponimo greco) che, costruita nel XII secolo su una collinetta di circa 300 metri, domina la vallata sottostante, racchiusa tra i monti Mah i Gjerë e il fiume Drinos, nel sud dell’Albania.
Nel castello che sovrasta la città, e risalente invece al V secolo d. C., il governo albanese nel 1969 decise di allestire un museo nazionale dedicato alle armi. La scelta non è stata casuale, dato che da sempre Argirocastro ha rivestito un ruolo cruciale nel corso della storia dell’Albania, fin dai tempi dell’Impero bizantino, che ne perse il controllo a favore dell’Impero ottomano, per arrivare all’epoca delle guerre mondiali con turchi, greci, italiani e tedeschi che la occuparono in successione.
Museo Nazionale delle Armi
Nel periodo della dittatura comunista, Argirocastro divenne una città-museo perchè luogo natale del leader Henver Oxha.
Una storia, quella albanese, fatta di guerre e occupazioni straniere che ben rappresenta la vicenda storica dell’Albania nel suo lungo percorso per l’indipendenza.
Le armi, da quelle delle dominazioni dell’antichità a quelle delle rivolte anti-ottomane, fino a quelle del Regio Esercito Italiano e della Wehrmacht, gli invasori, e a quelle infine dei partigiani comunisti, prima liberatori poi a loro volta oppressori della popolazione albanese, sono in grado di raccontare meglio di qualunque altro oggetto questa storia.
La presenza nelle sale principali di sculture, spesso di regime, quadri e foto di uomini e donne in abiti trazionali imbraccianti fucili e pistole, prima contro gli invasori turchi poi contro gli opressori nazi-fascisti, simboleggia la volontà del popolo albanese di arrivare alla propria indipendenza.
La visita al museo inizia con la lunga rampa d’accesso alla fortezza, coperta con volti a botte e che ospita diverse decine di pezzi di artglieria e contraerea in maggiorparte italiani e tedeschi della Prima e della Seconda guerra mondiale; al culmine del corridoio si trova la carcassa di un carro armato leggero Fiat L6/40 abbandonato dall’Esercito Italiano in ritirata dai Balcani.
Sotto lo sguardo severo della statua dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Scandenberg, che nel XV secolo seppe resistere ai turchi, si accede poi ai grandi saloni del castello che ospitano in cronologica successione le armi bianche del periodo antico e medioevale e quelle da fuoco; da quelle turco-ottomane ad avancarica, splendidamente intarsiate, fino all’epoca dei fucili d’assalto automatici dell’ultimo conflitto mondiale, per un’esposizione che supera gli 880 metri quadrati di superficie.
Altri 2800 metri quadrati, lungo gli spalti della cinta muraria del castello sono dedicati alle artiglierie di Alì Pascià di Tepeleni che resosi autonomo da Istanbul costruì il proprio feudo nei Balcani sud-occidentali con Argirocastro a rivestire uno dei punti di forza del suo dominio.
La struttura del castello comprende 5 torri, una chiesa, una cisterna e una torre dell’orologio posta sul lato orientale e realizzata per volere di Ali Pasha.
Ciliegina finale la carcassa di un jet militare USA da ricognizione statunitense, un Lockeed T33, catturato nel dicembre del 1957 allorché dovette atterrare in territorio albanese per un guasto tecnico, quando nel periodo della guerra fredda il paese era alineato con i paesi del Patto di Varsavia; ora il velivolo è esposto nella piazza d’armi del castello.
L'equipaggio venne internato in Albania fino a quando non fu possibile uno scambio di prigionieri.