Carne selvaggia: carnivori di tutto il mondo unitevi! Quinta parte: dove trovare la carne selvaggia?

La selvaggina si consuma prevalentemente come carne non lavorata, ma esistono moltissime preparazioni conservate, come prosciutto di cervo, salame di cinghiale, senza parlare delle famose mocette di camoscio. Ma anche la carne non lavorata, in realtà, richiede procedimenti e certificazioni sanitarie rigorosi, identici a quelli cui viene sottoposta tutta l’altra carne per il consumo umano.

Se siete cacciatori il problema forse non vi tocca e avete le vostre ricette sia per la conservazione sia per la cucina, se siete cacciatori “formati” sapete tutto quello che c’è da sapere, ma sapete anche che qualche volta tagli di selvaggina meno comune o preparazioni particolari possono essere interessanti e rappresentare soprattutto una succulenta leccornia. In Italia esistono due realtà molto ben conosciute tra gli addetti ai lavori e che si distinguono per portare sulle tavole dei clienti e anche di chef stellati la carne prelevata dai cacciatori sul territorio e avviata ai centri di raccolta della selvaggina. Si tratta di due realtà, in particolare, molto vicine tra loro, entrambe nel Bolognese.

Le carni del bosco

Filetto di cinghiale al naturale trattato presso il centro di lavorazione di Monterenzio di Sant’Uberto Le carni del bosco. (foto Sant’Uberto Le carni del bosco)

L’idea di Sant’Uberto Le carni del bosco (www.lecarnidelbosco.it) nasce nel lontano 1963 quando il commendator Valter Aleotti progetta di valorizzare l’unicità delle colline bolognesi, costituendo una riserva protetta compatibile con quel territorio. È la storia di un’Azienda faunistico venatoria che, nata a carattere amatoriale, su una superficie di 1.600 ettari dove vivono in natura caprioli, cinghiali, cervi e daini. Oggi è diventata anche un’azienda agricola biologica che svolge varie attività educative. Circa quindici anni fa, su questi possedimenti della famiglia Aleotti, Roberto, figlio del fondatore Valter, sua moglie Lucia Santini e Salvatore Arcidiacona scelgono di puntare proprio sulle carni degli ungulati selvatici presenti nei boschi che circondano la tenuta riconoscendo il valore della lavorazione consapevole, corretta e certificata dal bollo CE. Nasce dunque “Sant’Uberto Le Carni del Bosco”, che in collaborazione con l’Azienda sanitaria di Bologna dà il giusto valore a circa 3 tonnellate di carne a settimana, proveniente esclusivamente dall’attività venatoria su territorio italiano e garantendone una macellazione ottimale per preservarne le eccezionali caratteristiche intrinseche.

Una carcassa di cinghiale da latte. (foto Sant’Uberto Le carni del bosco)

«Invece di lavorare le carni come si era sempre fatto per i clienti dell’azienda faunistico-venatoria e per il consumo in famiglia, è stato creato un macello certificato», spiega Arcidiacona, amministratore della società.

«Nel tempo la lavorazione si è affinata sempre di più e abbiamo messo in piedi una filiera che va dall’abbattimento del selvatico fino al pacchetto confezionato surgelato. All’inizio questa carne piaceva agli amici e a noi, ma gli amici ci hanno convinto. Nel 2016 abbiamo avviato un processo di commercializzazione della carne di 500 ungulati all’anno, quelli abbattuti nel terreno della faunistico-venatoria, cercando di valorizzare anche attraverso eventi l’intera carcassa della selvaggina. Non solo e non più spezzatino o ragù, come da tradizione: abbiamo valorizzato tutti i tagli anatomici, gli stessi degli animali da allevamento».

Una confezione di hamburger di daino, prodotto da Sant’Uberto Le carni del bosco.

Il centro di macellazione di Pizzano di Monterenzio (Bo) è unico in Italia, dedicato alla sola lavorazione delle carni degli ungulati selvatici, provenienti esclusivamente dall’attività venatoria. Le carni sono disponibili in tutti i periodi dell’anno. Surgelate con abbattitori e confezionate sottovuoto, conservano inalterati i loro genuini sapori. «Chiudiamo accordi con centri di raccolta sul territorio nazionale: in Emilia, Toscana, Abruzzo, anche in Veneto. Siamo arrivati a lavorare 6mila carcasse all’anno. La soddisfazione viene dal riconoscimento di chef anche stellati e delle società che ci rappresentano sul territorio. La nostra società garantisce l’intera filiera».

Una fase di preparazione delle carni di selvaggina, presso centro di macellazione di Pizzano di Monterenzio (Bo), dedicato alla sola lavorazione delle carni degli ungulati selvatici, provenienti esclusivamente dall’attività venatoria. (foto Sant’Uberto Le carni del bosco)

«L’abbattimento avviene secondo normativa, subito dopo i cacciatori conferiscono gli animali eviscerati nelle celle di stazionamento. In funzione dei numeri, una o due volte alla settimana, noi raccogliamo le carcasse con furgoni refrigerati per mantenere inalterata la catena del freddo. Il nostro veterinario fa eseguire le analisi prescritte del diaframma all’Istituto Zooprofilattico, la carne viene controllata, sottoposta a frollatura, lavorata nel massimo rispetto delle norme igieniche, riceve il marchio CE, poi commercializzata in due modi: dopo abbattimento a -30 e stoccata a -18 come congelata, quella fresca invece è confezionata sottovuoto e ha una durata di circa 20 giorni».

Noce di capriolo: Sant’Uberto Le carni del bosco valorizza tutti i tagli anatomici, gli stessi degli animali da allevamento. (foto Sant’Uberto Le carni del bosco)

«Abbiamo due canali di vendita con agenti o grossisti e macellai e uno diretto a molti ristoranti italiani, tutti da Roma in su». I salumi sono prodotti con carni di selvaggina accuratamente selezionate e lavorati artigianalmente con spezie e aromi naturali. I preparati in vasetto sono composti con carni di selvaggina selezionate. Non contengono conservanti e coloranti. Si possono fare acquisti online sul sito, ma niente selvaggina di penna. «I preparati prevedono ragù di cinghiale, cervo e daino, bocconcini di cinghiale, tutti con ricette artigianali, eseguiamo salumi di tutti gli animali: salame e passita, mortadella con 80% di carne di cinghiale e 20% di lardello di maiale, senza glutine».

Sottofesa di capriolo, taglio di prima categoria, che occupa la regione esterna e posteriore della coscia. (foto Sant’Uberto Le carni del bosco)

C’è grande soddisfazione per i risultati: «Oggi i clienti vogliono capire di cosa si nutrono e vogliono la qualità, la selvaggina è una vera scoperta per i giovani che apprezzano il sapore delle carni. Sono finiti i tempi in cui si doveva nascondere il gusto di selvatico con le marinature perché era invece la carica batterica che conferiva quel particolare gusto. Oggi possiamo cucinare la carne di selvaggina in tutti i modi e anche mangiarla cruda». Positivo il rapporto con i cacciatori «molti ormai pressoché professionisti». C’è anche qualcosa da migliorare dal punto di vista delle relazioni con gli allevatori che, a quanto pare, sentono la concorrenza…

La macelleria Zivieri

Aldo Zivieri, amministratore delegato della macelleria salumeria Zivieri fondata nel 1987 nell’Appennino bolognese. (foto Zivieri)

Più giovane la realtà della macelleria salumeria Zivieri (www.macelleriazivieri.it) nell’Appennino bolognese: nel 1987 Massimo Zivieri decide, insieme al papà Graziano e al fratello Fabrizio, di rilevare una piccola macelleria nel cuore di Monzuno. Punta fin da subito sulla qualità delle materie prime, quale elemento in grado di rappresentare una garanzia assoluta per il consumatore. Massimo purtroppo scompare nel 2009, ma la famiglia prosegue lungo la linea tracciata. Nel 2013 prende vita il “Progetto Selvaggina”, che si avvale della collaborazione della Città metropolitana e della Ausl di Bologna e della Strada dei Vini e dei Sapori dell’Appenino bolognese. Con l’obiettivo di ampliare la propria gamma di prodotti, continuando a proporre solo carni dai valori nutrizionali importanti (pochi grassi, pochissimo colesterolo, molte proteine, vitamine e sali minerali), la macelleria sviluppa la filiera corta della selvaggina cacciata in selezione o controllo. Nel 2017 la macelleria amplia gli spazi di lavorazione e commercio delle sue carni, inaugurando a Zola Predosa, ancora più vicino al capoluogo emiliano, uno stabilimento di oltre 500 mq, punto di partenza per la trasformazione, la vendita diretta e la distribuzione delle carni su tutto il territorio nazionale.

Gli insaccati, come i salami o la salsiccia passita, vengono tutti ottenuti con l’aggiunta di parti grasse di suino di razza mora romagnola, sale di Cervia e pepe nero macinato, con il solo scopo di enfatizzare al massimo il gusto e i sapori naturali delle carni. (foto Zivieri)

Attualmente l’amministratore delegato è Aldo Zivieri, 46 anni: «I giovani vogliono mangiare carne di selvaggina, perché sono attenti alla qualità e alla provenienza certificata che le nostre carni possono garantire». La macelleria Zivieri è organizzata con il centro di lavorazione carni nel comune di Valsamoggia, a pochi chilometri dal laboratorio-salumificio (e negozio) di Zola Predosa, dove è il cuore dell’azienda da sempre. Nella realtà tutto è partito da Castel di Casio, nella montagna di Bologna, terra di confine con la Toscana. E gli ungulati provengono proprio, per la maggior parte, dalle due regioni a cavallo dell’Appennino. «Collaboriamo da più di 10 anni con cacciatori che si possono definire professionisti e con oltre 25 centri di raccolta e sosta. Abbiamo scelto di mettere in chiaro le cose da subito e, con la collaborazione degli enti, proponiamo un iter formativo a quanti si avvicinano. Le regole sono fondamentali e il tema di fondo è che la carne deve essere garantita. Per esempio, richiediamo che gli abbattimenti vengano eseguiti solo con proiettili senza piombo. Raccogliamo le carcasse eviscerate e ancora con la pelle entro 48 ore dall’abbattimento. Entro tre giorni disossiamo perché è sull’osso che impatta la carica batterica che produce quel forte odore ben conosciuto del passato che occorreva nascondere con le marinature. Vogliamo la carne al naturale, con tutte le sue qualità e il suo profumo. Non solo per i tagli nobili e per il crudo che è molto richiesto. Noi non aggiungiamo alcunché, nemmeno conservante ai preparati in vaso».

I tagli freschi, porzionati sottovuoto e venduti con una scadenza massima di 40 giorni, corrispondono ai tagli anatomici tipici (costoline, carrè, stinco, fesa, coscia, tagliata, polpa) per cinghiale, cervo, capriolo e daino, mentre gli insaccati, come i salami o la salsiccia passita, vengono tutti ottenuti con l’aggiunta di parti grasse di suino di razza mora romagnola, sale di Cervia e pepe nero macinato, con il solo scopo di enfatizzare al massimo il gusto e i sapori naturali delle carni. «Dobbiamo rispettare la stagionalità dettata dai tempi della caccia: la carne fresca di cervo, per esempio, è disponibile solo nei mesi che vanno da agosto a marzo. Facciamo un lavoro importante anche per lepri e selvaggina di penna come fagiani, germani e colombacci: ritiriamo dopo le battute, facendo tutti i controlli dopo l’eviscerazione».

La mortadella di cinghiale di Zivieri. (foto Zivieri)

Nelle macellerie della Famiglia Zivieri, anche a Bologna, è possibile acquistare sia tagli freschi sia insaccati, oltre a prodotti in vaso pronti per l’uso. La commercializzazione avviene all’ingrosso e al dettaglio e anche a domicilio, grazie all’online, in tutta Italia. «La resa della carne di selvaggina non è paragonabile a quella della carne di allevamento e i costi sono superiori, ma sarebbe carne adattissima all’uso quotidiano anche come prezzi al dettaglio».

«Sempre più macellerie richiedono la nostra carne e anche le gastronomie. I ristoranti stanno cercando di smettere di acquistare dall’estero. Gli chef apprezzano moltissimo questa carne, lo conferma sempre anche Lorenzo Biagioni che è il nostro chef alla fattoria Zivieri a Sasso Marconi, dove dal 2021 c’è il nostro ristorante. Purtroppo, non riusciamo a soddisfare la crescente richiesta. Commercializziamo circa 5mila cervidi e 1.500-2.000 cinghiali all’anno. È evidente che i cinghiali potrebbero essere molti di più, ma c’è qualche resistenza. La filiera è partita, indubbiamente, e molte persone preparate ne hanno capito l’importanza e si sono sganciati dagli errori che erano la consuetudine, tuttavia dobbiamo ancora lavorare per eliminare qualche stortura e incomprensione». (5-continua)