Carne selvaggia: carnivori di tutto il mondo unitevi! Seconda parte: l'importanza del cacciatore "formato"

Coldiretti ha stimato la presenza dei cinghiali in Italia in 2,3 milioni di esemplari. Potrebbero essere una risorsa invece di una pericolosa emergenza.

Coldiretti ha stimato la presenza dei cinghiali in Italia in 2,3 milioni di esemplari e lanciato l'allarme: "Serve un decreto legge urgentissimo per modificare l’articolo 19 della Legge 157 del 1992: bisogna ampliare il periodo di caccia e dare la possibilità alle Regioni di effettuare piani di controllo e selezione nelle aree protette" (https://www.coldiretti.it/economia/cinghiali-bene-cattura-nuotatore-ma-sono-23-mln ).

La presenza dei cinghiali è un danno considerevole dal punto di vista sanitario, dell’economia (si pensi al turismo) e soprattutto dell’incolumità dei cittadini nelle strade, a piedi o a bordo di vetture. Ma non solo, anche lepri e fagiani, combinano ingenti danni e così gli altri ungulati. Parlando di specie cacciabili. Per l'invasione delle strade da parte di animali selvatici, soprattutto ungulati, nel 2021 si è registrato un incidente ogni 41 ore, con 13 vittime e 261 feriti gravi.

Gli amministratori locali chiedono risposte e Francesco Lollobrigida, che ha ribattezzato il suo ministero dell'agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste, il 23 novembre scorso ha risposto: "Ritengo opportuno ricordare a tutti noi che siamo di fronte a una innegabile emergenza sanitaria, che causa enormi danni all'incolumità pubblica, al sistema sanitario ed enormi danni alle attività economiche soprattutto nelle aree rurali. Occorre modificare l'articolo 19 della 157, prevedendo la semplificazione delle procedure per l'adozione dei piani di abbattimento approvati dalle regioni, e adottando disposizioni per l'attuazione dei piani in maniera rapida ed efficace. Su questo tema abbiamo avuto contatti con ISPRA e il ministro dell'Ambiente e abbiamo organizzato una cabina di confronto tecnica per arrivare alla proposta di modifica normativa” (https://www.politicheagricole.it/qt_lollobrigida_camera ).

È un'affermazione importante per il bene degli agricoltori, degli allevatori e dei cittadini, che si sposa con quella preelettorale in cui aveva dichiarato di essere cacciatore. Occorre, però, che non si tratti di provvedimento emergenziale, ma sia strutturato coinvolgendo le rappresentanze dei cacciatori e degli agricoltori.

La commercializzazione della carne di selvaggina

Sono innumerevoli le sagre del cinghiale che si svolgono soprattutto d’estate in tutta Italia.

E occorre superare l’oltranzismo di una parte estremista del mondo ambientalista, ma anche fare i conti con l’educazione del cacciatore. Nonostante la popolazione di ungulati selvatici sia in rapida crescita e la produzione italiana abbia la predisposizione al cibo di alta qualità, ancora non esiste una filiera alimentare per la selvaggina cacciata nel territorio italiano, a parte lodevoli iniziative isolate. Di conseguenza, la domanda dei clienti è soddisfatta da quantità rilevanti di carne importata da altri mercati vicini, soprattutto Austria e Ungheria: la commercializzazione delle carni, in Italia, è ancora limitata dal fatto che i selvatici sono considerati patrimonio indisponibile dello Stato. Mentre lo “sfruttamento” anche economico delle carni di selvaggina è una delle più rilevanti prospettive per la messa in sicurezza della caccia in Italia. È anche quel passaggio fondamentale, ecosostenibile, di modernità che metterebbe il Paese al passo con molti altri d’Europa.

Se siete cacciatori, avrete senz’altro fatto caso alle innumerevoli sagre del cinghiale che si svolgono soprattutto d’estate in tutta Italia. E non c’è trattoria di provincia che non contempli nel menu piatti a base di cinghiale o di lepre. Bene, tutta quella carne, che assicura un considerevole introito economico a ristoratori e distributori di carni, per la maggior parte proviene dall’estero. Oppure no. Come è noto, la selvaggina abbattuta a caccia, per legge, può avere solo tre destinazioni: “autoconsumo”, cessione diretta o commercializzazione. La cessione diretta riguarda due capi interi di grossa taglia e 500 di piccola all’anno per cacciatore e può essere rivolta al consumatore finale o a laboratori annessi agli esercizi al dettaglio o di somministrazione a livello locale, con l’obbligo di documentarne la provenienza e la negatività per la Trichinosi per le specie sensibili. La commercializzazione, invece, avviene solo tramite invio a un “Centro di lavorazione” riconosciuto ai sensi del Regolamento 853/2004/CE con l’obbligo di documentarne la provenienza.

Nella seduta della Conferenza Stato Regioni del 25 marzo 2021 è stata raggiunta l’intesa tra Governo e Regioni sulle “Linee guida in materia di igiene delle carni di selvaggina selvatica”. L’obiettivo del documento è di armonizzare le indicazioni relative al regolamento Ue 853 del 2004 con i controlli sul territorio nazionale (https://www.statoregioni.it/media/3421/p-11-csr-rep-34-25mar2021.pdf ). Il Regolamento europeo prescrive “una adeguata ispezione della selvaggina selvatica oggetto di attività venatorie”, una disciplina ad hoc per i centri di lavorazione e formazione ai cacciatori che immettono nel mercato selvaggina selvatica destinata all'alimentazione umana.

Il cacciatore “formato”

Il cacciatore “formato” deve garantire un abbattimento che sia il più possibile immediato, senza sofferenza, nel rispetto di tutte le condizioni di benessere animale.

Oggi il cacciatore svolge il ruolo di responsabile e competente utilizzatore di una risorsa rinnovabile quale la fauna selvatica cacciabile. È pertanto indispensabile che egli abbia conoscenze sufficientemente approfondite in discipline e settori molto diversi ed estesi. Non ultima la certificazione, svolta in collaborazione con i dipartimenti di Prevenzione servizio veterinario delle Aziende sanitarie locali, del cosiddetto “cacciatore formato”, cioè colui che caccia selvaggina al fine di commercializzarla per il consumo umano e possiede nozioni sufficienti per poter eseguire sul posto un esame preliminare.

Saper gestire correttamente le risorse naturali senza arrecare danno al territorio è una sfida quanto mai attuale e rappresenta forse l’unica pratica sostenibile in grado di ridare impulso allo sviluppo socioeconomico delle aree a vocazione rurale. La ricchezza dei territori disagiati dal punto di vista produttivo-economico risiede, infatti, quasi esclusivamente nell’ambiente come elemento essenziale e caratterizzante non solo del territorio, ma anche delle tradizioni e degli usi di chi vi risiede.

Il cacciatore deve già possedere, dalla sua, una profonda etica venatoria, cioè quell’insieme di conoscenze che gli permettono di gestire correttamente la risorsa selvaggina sotto ogni aspetto: a partire dalla corretta gestione ambientale fino al rispetto del benessere degli animali. Questo ha forti significati: gli animali sono liberi dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione; vivono in un ambiente fisico adeguato, dove possono manifestare liberamente i propri comportamenti per tutta la durata della vita.

L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha ormai accertato che la carabina è metodica di abbattimento che garantisce il benessere animale.

Significa, poi, morte immediata: nel caso degli ungulati mediante prelievo selettivo per genere e classe, sulla base di piani di abbattimento scientifici. Anche l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha ormai accertato che la carabina è metodica di abbattimento che garantisce il benessere animale. Infine, perché no? significa produzione di carni sicure e di qualità. In buona sostanza, la carne di selvaggina selvatica è anche una produzione etica.

Produzione etica e salutare

Perché questa produzione sia effettivamente etica, il cacciatore deve evolvere al ruolo di “persona formata”. Il cacciatore “formato” deve garantire un abbattimento che sia il più possibile immediato, senza sofferenza, nel rispetto di tutte le condizioni di benessere animale. In genere il macellaio che valuta le carcasse paga un euro in più per chilo di carne di un capo abbattuto al primo colpo.

Dopo l’abbattimento, il tempo per recuperare l’animale e per procedere a eviscerazione e dissanguamento deve essere breve.

Dopo l’abbattimento, il tempo per recuperare l’animale e per procedere a eviscerazione e dissanguamento deve essere breve. Nell’impossibilità di avviare le carcasse immediatamente a un Centro di lavorazione, per favorire il raffreddamento a massimo 7 °C, queste possono essere trasportate in un primo momento in un “centro di sosta o centro di raccolta” autorizzato, ben identificato e funzionale al luogo di abbattimento, che abbia pareti e pavimenti facilmente lavabili, acqua pulita, sia dotato di una cella frigorifera di capacità idonea a contenere le carcasse appese e non accatastate, di appositi contenitori per i visceri degli animali e degli altri scarti non destinati al consumo umano. Che abbia infine un registro di carico e scarico dei capi conferiti, al fine della tracciabilità.

È evidente che la caccia di selezione consente abbattimenti più puliti, la braccata invece richiede tempi lunghi e comporta morsicature sulle carcasse da parte dei cani, cosa che può provocare problemi per la carne dei cinghiali, ma anche per la salute dei cani.

Il cacciatore formato deve conoscere le corrette pratiche igieniche per produrre alimenti sicuri e svolgere un esame preliminare finalizzato a definire ulteriori controlli da parte del veterinario, stimare il livello di qualità e le caratteristiche della carne, evidenziare eventuali comportamenti anomali, modificazioni patologiche per tutelare la salute del consumatore, degli animali e dell’ambiente. Quindi deve conoscere le tecniche di manipolazione-dissanguamento-eviscerazione-trasporto-conservazione e conoscere le disposizioni legislative, amministrative e sanitarie per la commercializzazione della selvaggina selvatica. (2-continua)