Carne selvaggia: carnivori di tutto il mondo unitevi! Terza parte: il punto sulla filiera italiana

Considerando tutti i cinghiali che popolano la Penisola e i danni che provocano, c’è abbondanza di carne cui attingere. Ma ancora qualche resistenza da superare.

Congressi scientifici, anche prestigiosi, convenzioni, accordi, presentazioni alla stampa, le linee guida approvate dalla Conferenza Stato-Regioni e recepite (purtroppo) da poche regioni: ormai si sono gettate le basi concrete per l’effettiva realizzazione della filiera delle carni di selvaggina selvatica anche in Italia. Partendo da un presupposto che è stato tracciato addirittura dall’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura fin dal 2005 e ribadito spesso in seguito (https://www.fao.org/sustainable-forest-management/toolbox/modules/wildlife-management/basic-knowledge/en/?type=111): “Tenuto conto del suo valore ecologico, sociale ed economico, la fauna selvatica è un'importante risorsa naturale rinnovabile, con rilevanza per settori quali lo sviluppo rurale, la pianificazione del territorio, l'offerta alimentare, il turismo, la ricerca scientifica e il patrimonio culturale. Se gestita in modo sostenibile, la fauna selvatica può fornire un'alimentazione e un reddito e contribuire notevolmente alla riduzione della povertà, nonché alla salvaguardia della salute umana e ambientale”.

La Federazione dei cacciatori europei (FACE) promuove la produzione di carne di selvaggina da parte dei cacciatori come risorsa alimentare preziosa e di alta qualità, secondo standard concordati di salute e igiene pubblica. Ritiene anche che, al fine di evitare distorsioni della concorrenza, nonché restrizioni ingiustificate alle pratiche venatorie standard – in particolare per piccoli quantitativi di selvaggina forniti direttamente al consumatore finale o al dettaglio, la Commissione Europea (direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare) dovrebbe elaborare linee guida al fine di armonizzare le norme nazionali (https://www.face.eu/animal-welfare/game-meat).

La “messa in sicurezza” della caccia

I cacciatori devono conoscere e applicare il corretto trattamento delle carcasse di grossa selvaggina prelevate durante l’attività venatoria.

Lo “sfruttamento” anche economico delle carni di selvaggina è una delle più rilevanti prospettive per la messa in sicurezza della caccia in Italia. È anche quel passaggio fondamentale, ecosostenibile, di modernità che metterebbe il Paese al passo con molti altri d’Europa.

Il primo esempio in tal senso è il “Progetto Filiera Eco-Alimentare” in Val d’Ossola (Provincia di Verbania) dal 2014. Finanziato da Fondazione Cariplo, con capofila ArsUniVCO e la partnership dell’Università degli Studi di Milano e dell’Unione dei Comuni Alta Ossola, ha visto il coinvolgimento di tutti i portatori d’interessi a vario titolo coinvolti nella gestione del patrimonio faunistico e degli aspetti eno-gastronomici del territorio. La prima fase del progetto, conclusasi nel 2016, finalizzata alla valorizzazione delle carni di selvaggina selvatica, intesa come risorsa rinnovabile del territorio e soggetta a piani di prelievo volti a mantenere le popolazioni in corretto rapporto con l’equilibrio naturale e agro-silvo-pastorale, ha suscitato un grande interesse da parte di tutti gli attori coinvolti. La seconda fase, iniziata nel 2017, ha inteso promuovere un’attività associativa in grado di gestire questa filiera in sinergia. Lavorando sulla formazione del mondo venatorio, sul rispetto del benessere animale anche durante l’abbattimento e sulla gestione delle carcasse attraverso la costruzione di celle di sosta in cui stoccarle per una corretta frollatura, si sono raggiunti risultati inaspettati riguardo la qualità sanitaria e organolettica del prodotto, incentivando anche i ristoratori a investire sulla selvaggina, servendola in modo innovativo e allontanandosi dalla tradizione che voleva la selvaggina cucinata esclusivamente sotto forma di stufati, brasati o gulasch.

Questo progetto non è, purtroppo, molto noto, ma tuttora a pieno regime. «Abbiamo lavorato tanto sulle basi, poco sulla comunicazione», spiega Roberto Viganò, veterinario dello studio associato AlpVet (https://www.alpvet.it/category/carni-selvaggina/ ), responsabile scientifico del Comitato di filiera. «Ma abbiamo prodotto numerose pubblicazioni scientifiche, tra le quali anche diversi studi sul consumatore e sull’impatto ambientale. Stiamo lavorando per trasferirlo all’intera Regione Piemonte. Però gli agricoltori si sono rivelati contrari alla filiera delle carni di selvaggina, perché pensano che creando un reddito per i cacciatori non ci sia l’interesse di prelevare e ritengono che la filiera della selvaggina potrebbe danneggiare il mercato di carne suinicola e bovina. Pazzesco! E pensare che in altre realtà italiane progetti simili sono partiti proprio dalla collaborazione tra agricoltori, allevatori e cacciatori sia per ripristinare macelli in loco sia per gestire un problema trasformandolo in risorsa anche per gli agriturismi».

Il progetto “Selvatici e buoni”

Silvio Barbero, con Carlo Petrini tra i fondatori di Arcigola nel 1986 e successivamente del movimento Slow Food nel 1990, vicepresidente università delle Scienze gastronomiche di Pollenzo, con il marchio della filiera delle carni “Selvatici e buoni”.

Sulla filiera delle carni di selvaggina sta lavorando da tempo anche Fondazione UNA (Uomo-Natura-Ambiente), impegnata nella tutela e nella gestione della natura contribuendo al benessere della comunità, i cui soci fondatori sono CNCN–Comitato Nazionale Caccia e Natura; Federazione Italiana della Caccia; Arci Caccia e Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”, con il progetto “Selvatici e buoni” (https://www.fondazioneuna.org/progetti/selvatici-e-buoni-una-filiera-alimentare-da-valorizzare/ )

Nell’ottica di attribuire valore alla filiera alimentare degli animali cacciati, anche Fondazione UNA prevede la realizzazione di attività di formazione per gli operatori della filiera di lavorazione, dal cacciatore al ristoratore, così da sviluppare le corrette conoscenze e competenze per la gestione degli animali e delle carcasse da una parte, per la cucina della selvaggina dall’altra. Il progetto ha preso vita innanzitutto in Lombardia, nel 2019, attraverso la promozione di una filiera controllata in provincia di Bergamo quale area test, poi seguita da un protocollo d’intesa con la Regione Lombardia. 

Il “Manifesto delle carni selvatiche nella ristorazione”, redatto dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, capofila scientifico del progetto “Selvatici e buoni”. I ristoratori del territorio si devono impegnare a rispettare 10 principi chiave che mirano alla valorizzazione della scelta sana e sostenibile delle carni selvatiche.

Il risultato più importante è rappresentato dalla condivisione di un “Manifesto delle carni selvatiche nella ristorazione”, attraverso il quale i ristoratori del territorio si sono impegnati a rispettare 10 principi chiave che mirano alla valorizzazione della scelta sana e sostenibile delle carni selvatiche. Il manifesto è stato redatto dall’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (CN), capofila scientifico del progetto con il supporto della condotta Slowfood valli Orobiche. Dieci ristoranti della provincia di Bergamo hanno subito sottoscritto il manifesto: Chalet Engadina (Vilminore di Scalve); Osteria Bastioli e Peccati di Gola (Vilminore di Scalve); Locanda Blum In (Rovetta); trattoria enogastronomica Selva di Gelso (Clusone); RistOrobie (Cusio); osteria al Gigianca (Bergamo); Noi restaurant (Bergamo); Hosteria del vapore (Chiuduno); Puro cibo e vino (Ranica).

Nella grande distribuzione

A partire da gennaio 2022, Fondazione UNA ha sostenuto la partnership di Regione Lombardia con il Centro di lavorazione carni di Brescia e con Metro Italia per l’adozione di carne di cinghiale 100% italiana nei negozi presenti in Lombardia. Con questa collaborazione, nei punti vendita Metro è disponibile un prodotto finale frutto di una filiera di carne di selvaggina completamente italiana, ottenuta nell’ambito dei programmi per la gestione della popolazione dei cinghiali sul territorio con piani di prelievo, che successivamente seguono un iter certificato nei centri di lavorazione, in quanto sottoposti a vigilanza veterinaria per garantire la massima sicurezza alimentare.

La carne di cinghiale 100% italiana disponibile in METRO reca anche i marchi “Selvatici e Buoni” e “Firmato dagli Agricoltori italiani”, a garanzia di provenienza da filiera controllata.

Fondazione UNA continua a investire nel progetto e, nello specifico, prevede uno sviluppo della filiera controllata di selvaggina anche su altri territori italiani a partire dal Veneto e dal Piemonte, per poi proseguire in Emilia-Romagna, in Toscana, nelle Marche e in altre regioni del Sud. La creazione di queste filiere tracciate e sostenibili permette in modo concreto di rilanciare l’economia e di creare posti di lavoro in territori a rischio di abbandono. «Negli ultimi anni, come Fondazione UNA, rappresentando il punto d’incontro tra mondo ambientalista, agricolo e venatorio, abbiamo ritenuto fondamentale ragionare sul potenziale inespresso della carne di selvaggina, con l’intento di fornire un prodotto di qualità e inserirlo in una filiera tracciata che può avere un ritorno positivo in termini di legalità, trasparenza e sicurezza alimentare», spiega Maurizio Zipponi, presidente di Fondazione UNA. «Siamo partiti dalla Lombardia, insieme a partner accademici di primo livello come UNISG – Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Università di Milano – Facoltà di Medicina Veterinaria e il mondo veterinario rappresentato da SIMEVET, con percorsi formativi rivolti tanto al mondo venatorio quanto a quello della ristorazione, per dare ai cacciatori e ristoratori tutti gli strumenti utili a trattare correttamente questo tipo di prodotto. Trattandosi di un prodotto di qualità, sano, sicuro e sostenibile, il nostro intento è stato e continua ad essere quello di esportare questo modello in altre regioni, contribuendo così a rilanciare l’economia dei territori italiani e a intervenire sugli aspetti di sicurezza alimentare, di tutela del patrimonio faunistico e rispetto dell’ambiente».

La presentazione dell’accordo per la commercializzazione della carne di selvaggina nei punti vendita Metro. Da sinistra: Maurizio Zipponi, presidente di Fondazione UNA, l’assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi della Regione Lombardia, Fabio Rolfi e Tanya Kopps, Amministratore Delegato di METRO Italia.

A quanto ci consta, purtroppo, finora il giro di carni di selvaggina nei Centri di lavorazione (CLS) appare molto limitato. Le esigenze di risparmio della grande distribuzione fanno sì che le carni messe in commercio (anche da alcune COOP) siano prevalentemente quelle provenienti dagli abbattimenti di contenimento e dai parchi.

Ci sono altri esempi virtuosi, come il Centro di lavorazione selvaggina di Serra Petrona, in provincia di Macerata, gestito dai cacciatori di URCA Marche, istituito nel luglio del 2021, altri in Toscana, oppure il percorso portato avanti dalla Regione Basilicata. In Campania si è cominciata la formazione dei cacciatori, cercando di sviluppare una filiera. Altri progetti interessanti sono quelli del Parco dello Stelvio con il cervo e quello del cinghiale sui Colli Euganei. Ci riferiscono di tante altre piccole realtà non strutturate, in giro per l’Italia. La partecipazione ai corsi per “cacciatore formato” è in crescita costante, nonostante certe diffidenze che nascono da principi radicati che devono essere aggiornati. Insomma, non siamo all’anno zero, ma c’è ancora molto da fare… (3-continua)