L’abilità in questo tipo di tiro è l’unica a dare i risultati sperati ai cacciatori di cinghiali nella maggior parte delle occasioni. Nel terreni aperti, su selvatici in corsa, il tiro mirato consente di seguire il bersaglio e di sparare solo quando si è sicuri di aver impostato esattamente la mira sull’animale, calmi e consapevoli quasi sempre di poter doppiare il colpo. Nel bosco, al contrario molto spesso il tempo a disposizione si riduce ad una sola fucilata in cui prontezza e precisione sono indispensabili.
Nei tiri mirati è possibile inoltre appoggiare il fucile o tenerlo nel modo più congeniale, nella postura più comoda, nel tiro di imbracciata una frazione di secondo fa la differenza tra un tiro effettuato oppure mancato o peggio mai esploso. Nelle poste in cui è necessario questo tipo di tiro, il cacciatore deve essere sempre pronto con l’arma tenuta da entrambe le mani parallela al terreno e pronta a salire in spalla in un attimo.
Nel folto del bosco è necessario mantenere la massima attenzione visiva e uditiva per poter riuscire a percepire l’arrivo dell’animale prima che appaia in prossimità della posta.
L’obbiettivo è riuscire a guadagnare qualche istante su un bersaglio che si manifesterà improvvisamente e si concederà alla vista solo per un attimo.
Oltre a ridurre il tempo di reazione e di sparo, l’attenzione all’ambiente circostante ci consentirà di individuare le probabili aperture del bosco in cui sarà possibile effettuare il tiro.
L’errore più comune in queste situazioni di caccia è infatti distogliere gli occhi dal selvatico al momento del suo arrivo; le fasi di armo, di imbraccio e di sparo devono avvenire automaticamente, mentre lo sguardo resta fisso sull’animale.
Ovvio che per fare ciò l’allenamento e la conoscenza dell’arma devono essere ampiamente consolidati.
Il selvatico è l’unico elemento variabile e imprevedibile, da seguire in movimento, le altre operazioni invece devono svolgersi in piena sicurezza.
Nel bosco inoltre, è inutile insistere nel cercare di tenere sotto mira l’animale, perché così facendo quasi certamente si perderà l’attimo e si rinuncerà a sparare.
Tirare d’imbracciata significa tirare d’istinto e questo vale non solo per i cinghiali che arrivano incalzati dalla canizza a grande velocità, ma anche per quelli che giungono al trotto.
Dall’illusione di ottenere un tiro migliore e meglio piazzato deriva quasi sempre invece un tiro affrettato e incerto esploso in ritardo.
Importante è conoscere bene l’andatura e il tipico modo di correre diverso per ogni specie; tutti gli animali in corsa hanno l’attimo più favorevole al tiro, quel momento quasi di stasi in cui il colpo deve arrivare.
I cervidi ad esempio offrono le migliori opportunità per il calcolo dell’anticipo nel momento in cui sono al massimo dell’elevazione nel salto, oppure quando ricadono.
Il cinghiale, con la sua corsa più ritmica e costante risulta più facile da colpire quando carica gli arti posteriori e i muscoli dorsali a testa bassa nella corsa; centrato in questo istante viene destabilizzato e cade immediatamente, mentre può reggere la fucilata e continuare la sua corsa se colpito con i muscoli distesi e a massa dinamica nella fase di slancio in avanti a testa alta.
Stimare la giusta distanza e il giusto tempismo per l’esplosione del colpo è questione estremamente legata all’esperienza e alla percezione soggettiva di ogni cacciatore. Mediamente possiamo dire che i tiri in battuta solitamente nel bosco non si svolgono a una distanza superiore ai 50 metri.
Per ottimizzare i tempi e ridurre lo scarto dell’anticipo, è consigliabile effettuare il colpo mente si segue l’animale in corsa, senza cioè fermare il fucile per buttare davanti al bersaglio la fucilata.
Il tempo da ridurre al minimo è quello che intercorre tra la decisione di effettuare il tiro rispetto al momento in cui il proiettile parte realmente. Anche alleggerire lo scatto del grilletto può rivelarsi un ulteriore espediente per accorciare i tempi di sparo.
La stima delle distanze oltre alla soggettività del cacciatore è spesso legata anche ai contesti e gli ambienti in cui la cacciata si svolge.
Ci sono infatti situazioni che alterano la percezione, in cui si sopravvalutano o al contrario sottovalutano le distanze.
Può capitare che un selvatico sembri più vicino se visto in salita oppure se visto da una zona d’ombra verso una di luce.
Un selvatico che corre in discesa, a valle del tiratore può invece risultare più lontano di quanto realmente non sia, oppure se visto in fondo a un corridoio di alberi.
I tiri che ne derivano impattano spesso in basso se effettuati in alto oppure i proiettili passano alti sopra a cinghiali in fuga verso il basso. Eh no, non è facile valutare correttamente in un istante la situazione in cui un tiro si svolge, nei dislivelli naturali, nei giochi di falsi piani e di luce e ombre del bosco, ma l’abilità del cacciatore e il fascino della caccia si dimostrano proprio qui.
Un tiro correttamente eseguito è quello che raggiunge l’area vitale del selvatico che ogni buon cacciatore deve perfettamente conoscere. Nel caso del cinghiale il punto migliore è l’area cuore.
Per questo l’anticipo non si deve mai considerare come uno spazio davanti all’animale, ma va considerato nel centro dell’area vitale quindi il tiro andrà indirizzato davanti al punto desiderato per l’ impatto del proiettile.
Ovviamente i margini per questo tipo di calcolo vanno messi in relazione con il calibro dell’arma e quindi la velocità del proiettile. Se si caccia in battuta con una carabina semiautomatica supponiamo del calibro 30-06, il colpo, data la potenza e la velocità del proiettile, andrà indirizzato coprendo un leggero anticipo sull’animale, sicuramente di molto inferiore rispetto a quello da considerare se si spara una palla con un fucile slug standard in calibro 12.
Per intercettare puntualmente il selvatico, è indispensabile che l’arma da battuta al cinghiale abbia tre punti di collimazione per l’occhio: la tacca di mira , il mirino e il bersaglio. Non sono necessari a mio parere, se non addirittura deleteri mirini troppo grandi e ingombranti. La tacca di mira può essere a V aperta da battuta che si regola in altezza per cacciare nel bosco e tirare a brevi distanze, oppure sempre a V ma regolabile sia in alzo che in deriva con riferimenti micrometrici per cacciare negli ambienti più aperti. Di solito l’allineamento di tacca e mirino con in punto di impatto leggermente sopra al mirino consente al cacciatore una migliore visuale del selvatico in corsa con un puntamento che ricade nell’esatto punto di impatto desiderato.
Per quanto riguarda la taratura dell’arma da battuta, è bene che venga eseguita sempre sui 50 metri, soprattutto per i fucili in calibro 12 e con punto di impatto superiore al mirino.
Un’arma così tarata, anche in caso di tiri a distanze più ravvicinate consente di tenere la mira bassa sull’animale, dato che nei primi metri la palla vola più alta, in caso contrario il cacciatore si troverebbe a piazzare tacca e mirino sopra il cinghiale con un puntamento quanto mai approssimativo.
In ogni caso, soprattutto relativamente al calibro 12 è bene dire che, sia per l’elevata potenza residua delle palle quindi per questioni di sicurezza, che per rispetto etico verso il selvatico, quando non si scorge in modo distinto l’animale in battuta, la cosa migliore da fare è rinunciare al tiro.