Normativa in materia di Armi - Guida pratica

INDICE

normativa in materia di armi

licenze destinate ai privati

licenze professionali

la classificazione delle armi

limiti detentivi e modalità di custodia delle armi

La comprensione corretta di una singola disposizione di legge può risultare non immediata a chi non disponga di un adeguato bagaglio culturale sulla complessa materia. Riteniamo, quindi, di fare cosa gradita a tutti coloro che nel settore delle armi operano a qualsiasi titolo (siano essi semplici appassionati, operatori commerciali o appartenenti alle Forze di Polizia), pubblicando questo piccolo “manuale”, che va a toccare tutti gli aspetti giuridici connessi alle armi, da fuoco o da taglio, proprie o improprie.

Come vedremo, infatti, nel nostro ordinamento giuridico le armi sono suddivise in diverse categorie e dall’appartenenza a l’una piuttosto che all’altra derivano importanti conseguenze, sia sotto l’aspetto amministrativo (limiti di detenzione, di porto, di uso ecc…), che per quanto riguarda i profili di rilevanza penale e procedurale (basti pensare alle casistiche per le quali è previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo per chi detiene illegalmente armi).

Chiunque abbia la passione per le armi, o con esse debba lavorare, dovrebbe avere un minimo di curiosità per le norme che le regolano e ci auguriamo che questo manuale possa soddisfare tutte le sue curiosità.


NOZIONI GENERALI DEL DIRITTO

Prima di addentrarci nelle questioni che più ci interessano, ritengo opportuno iniziare la trattazione degli argomenti fornendo delle essenziali chiavi di lettura, la cui conoscenza risulterà utile per meglio comprendere alcuni complessi meccanismi giuridici che sono alla base del nostro ordinamento giuridico.

La normativa in materia di armi è certamente tra le più articolate del nostro panorama giuridico; essa è formata da decine di disposizioni di natura diversa (dalle Direttive dell’Unione Europea fino alle note del Ministero dell’Interno) che si sono sovrapposte e stratificate in oltre 80 anni.

Chi si vuol cimentare nella comprensione di questo mosaico di norme, deve essere in possesso degli strumenti che gli possano consentire la loro sistematica interpretazione. Quelle che adesso andremo ad esaminare sono le fondamentali chiavi di lettura con le quali si deve esaminare un qualsiasi sistema giuridico nazionale.


GERARCHIA DELLE FONTI

Tutte le norme del nostro sistema giuridico sono poste in una scala gerarchica, che va dalla norma primaria, che è la Costituzione, fino a quella di grado più basso, che può essere individuata nelle “consuetudini”. Tra questi due estremi troviamo, nell’ordine, le leggi dello Stato, nelle loro varie forme, le leggi degli enti locali, i Regolamenti (che possono essere a carattere nazionale e locale), le circolari ministeriali e le note ministeriali. 

Questa suddivisione “classica” della gerarchia delle fonti del diritto è oggi stata parzialmente modificata dal diritto comunitario e dalla nuova stesura del Titolo V della Costituzione. La Comunità Europea, infatti, emana due tipi di disposizioni, i Regolamenti, che hanno immediata applicazione nel diritto interno di ciascuno Stato membro (ma che non possono avere per oggetto materie che riguardano la sicurezza interna dei singoli Paesi) e le Direttive, che per diventare esecutive in un singolo ordinamento necessitano di un’apposita legge di recepimento. Quanto stabilito a livello comunitario, lo ritroviamo all’interno del nostro ordinamento sotto forma di legge ordinaria. 

Per quanto riguarda le Regioni, invece, la nuova stesura del titolo V della Costituzione ha previsto tre diverse tipologie di materie; alcune di competenza esclusiva dello Stato, altre a competenza mista Stato-Regioni ed infine, sono state previste una serie di materie la cui competenza è stata attribuita in via esclusiva agli enti locali. Per queste materie, le norme emanate dalle regioni si collocano in una posizione sopraordinata rispetto alle norme statali. Tra le materie sulle quali le regioni possono legiferare in via esclusiva non vi sono né le armi né la sicurezza pubblica, ma vi è la caccia e la polizia locale. 

Il principio previsto dall’ordinamento prevede che nessuna fonte di rango inferiore possa derogare a quanto disposto da una fonte di livello superiore. Anche se annoverate tra le fonti, non sono vere e proprie fonti del diritto le circolari ministeriali e le note; le prime sono da considerarsi come l’interpretazione “autentica” che una pubblica Amministrazione dà di una norma il cui oggetto rientra tra le sue competenze, che si deve tradurre in “istruzioni” circa la corretta applicazione della stessa, destinate a tutti i suoi uffici, mentre le seconde sono la stessa cosa ma in forma più limitata, in quanto sono indirizzate a un solo ufficio. Queste “fonti” atipiche, quindi, non avrebbero alcuna incidenza sulla vita dei cittadini, non essendo a loro destinate; è ovvio, tuttavia, che se un ufficio periferico della pubblica amministrazione modifica il proprio modo di agire sulla base di indicazioni fornite dal centro, ciò avrà comunque delle ripercussioni anche sui cittadini. 

Nel nostro sistema giuridico non hanno alcuna valenza normativa le sentenze della magistratura, in quanto, nell’ordinamento derivante dal diritto romano, a differenza di quanto avviene nel mondo anglosassone, ogni giudice è libero di decidere autonomamente solo in base alla legge: le sentenze più autorevoli, specie se danno luogo ad un orientamento consolidato, possono, tuttavia, influenzare il pensiero del legislatore o delle Amministrazioni.


SUCCESSIONE DELLE LEGGI NEL TEMPO

– in un sistema come il nostro, dove le norme spesso si sovrappongono una sull’altra, il principio in forza del quale la norma successiva nel tempo deroga sempre a quella precedente, assume una particolare rilevanza. Deve ovviamente trattarsi di fonti dello stesso livello che intervengono per disciplinare la stessa materia.


PRINCIPIO DI SPECIALITÀ

– quando una o più fonti disciplinano in modi diversi lo stesso aspetto di una materia, vige il principio in base al quale si deve tener conto di quanto stabilito dalla norma “speciale” rispetto a quella generale. In materia di armi il principio in esame assume particolare rilevanza, dal momento che nell’ordinamento troviamo molti esempi in cui una stessa situazione, quale potrebbe essere il “porto abusivo di armi”, è disciplinata sia da norme generali (esempio il Codice Penale) che da norme speciali (quali possono considerarsi la legge 110 del 1975 o la legge 895 del 1967). 


PRINCIPIO DI STRETTA LEGALITÀ

– lo troviamo enunciato nel Codice Penale e stabilisce che nessuno può essere punito per un comportamento che non sia espressamente previsto dalla legge penale come reato al momento della sua esecuzione. In sostanza, si afferma qui che se un certo comportamento non è espressamente vietato dalla legge, allora esso è da ritenersi lecito (o, comunque, non penalmente rilevante). È un principio molto importante del nostro ordinamento, ma bisogna sempre ricordarsi che esso è valido fondamentalmente in campo penale, mentre le cose, come vedremo, non stanno proprio così nel settore amministrativo.

Conoscendo le norme che disciplinano la materia delle armi, esse si dovranno sempre leggere ed interpretare tenendo conto di quanto previsto dai sopra citati principi.


LE LICENZE IN MATERIA DI ARMI – PRINCIPI GENERALI

In quasi tutte le norme dell’ordinamento che riguardano le armi, quando vuol indicare un comportamento contrario alle disposizioni di legge, il legislatore esordisce affermando: “Chiunque, senza licenza….”. Già questo ci fa comprendere che in questo settore la maggior parte delle attività non sono vietate in maniera assoluta ma debbono essere disciplinate dall’autorità di P.S., attraverso il rilascio di apposite licenze, che consentono al loro titolare di esercitare attività altrimenti illecite. 

È opportuno, pertanto, esaminare alcuni aspetti generali che riguardano le licenze di polizia in materia di armi, per poi entrare nel dettaglio delle singole autorizzazioni.

Bisogna, tuttavia, distinguere le autorizzazioni destinate ai privati cittadini e finalizzate a consentire loro l’acquisto, il porto, il trasporto e la detenzione di armi, munizioni ed esplosivi, da quelle, invece, riservate agli operatori professionali per l’esercizio di attività imprenditoriali, quali la fabbricazione, il deposito, il trasporto e la vendita di armi, munizioni ed esplosivi. 

Le prime, infatti, possono avere una rilevanza sia per quanto attiene le attività di polizia giudiziaria che di polizia amministrativa, mentre le altre interessano quasi esclusivamente l’ambito dei controlli amministrativi. Per tale ragione, ritengo opportuno soffermarci con maggiore attenzione sulle licenze ed attività di più ampia diffusione, ossia quelle riservate ai privati.

Innanzitutto, l’articolo 35 del T.U.L.P.S., stabilisce che chiunque voglia acquistare (e, quindi, poi anche detenere) armi (e l’art. 55 ha previsto la stessa cosa per le munizioni e gli esplosivi), deve essere titolare di una idonea licenza o autorizzazione di polizia. Al riguardo, è opportuno ricordare che il nostro Codice Civile prevede diversi modi con i quali si può acquisire il possesso di un bene mobile, e quanto previsto deve trovare applicazione anche nel mondo delle armi. 

La forma più tradizionale di acquisto è, ovviamente, il contratto di compravendita, ossia quello che noi stipuliamo, in forma orale, ogni qualvolta entriamo in un’armeria e diamo all’armiere dei soldi per avere in cambio l’arma che abbiamo scelto. Ma si può entrare in possesso di un’arma anche tramite la cessione a nostro favore da parte di un altro soggetto che non sia un armiere. Il T.U.L.P.S, infatti, consente ai soli titolari di licenza ex art. 31 (ossia le armerie) di vendere armi, mentre ai privati è consentito solo cedere le proprie armi. Nella cessione, quindi, si ha il passaggio della proprietà di un bene da un soggetto ad un altro senza che vi sia stato il pagamento di un prezzo (l’Italia è piena di gente che regala le proprie armi!). 

La proprietà si può acquisire, inoltre, per cessione ereditaria, il così detto “contratto mortis causa”; in questo caso è ovvio che il passaggio di possesso da un soggetto proprietario (il de cuius) ad un altro (l’erede), avviene senza pagamento di un prezzo e per volontà unilaterale (quella cioè espressa nel testamento). Il possesso, infine, si può acquistare in forma temporanea attraverso il contratto di “comodato d’uso”, nel quale la parte proprietaria cede temporaneamente la disponibilità del bene ad un’altra, affinché ne faccia un uso lecito, per poi restituirgliela. Per le armi, l’articolo 22 della legge 110/75, consente il comodato solo per alcune categorie, ovvero le armi da caccia, quelle sportive e quelle destinate ad uso scenico. 

Tanto premesso, chiunque voglia acquisire il possesso di un’arma, in una qualsiasi delle forme previste dal codice civile, deve essere in possesso dei titoli abilitativi previsti dalla legge. Per conseguire una qualsiasi licenza in materia di armi, ogni cittadino deve dimostrare di essere in possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge, ovvero di avere i requisiti morali, psico-fisici e tecnici. Ciò che cambia, sostanzialmente, è l’Autorità competente al rilascio, la durata e la valenza del titolo. 

Prima di esaminare nel dettaglio le varie licenze, è opportuno chiarire alcuni aspetti di carattere generale che riguardano indifferentemente tutte le autorizzazioni di polizia previste dal T.U.L.P.S. Come prima cosa è necessario puntualizzare qual è la differenza tra il porto ed il trasporto di un’arma, distinzione che non è stabilita dalla legge ma che si è delineata nel tempo grazie alle sentenze costanti della Suprema Corte di Cassazione. 

In pratica, si definisce “porto” la condizione in cui l’arma si viene a trovare nella immediata disponibilità del suo possessore, che potrebbe, quindi, farne uso in tempi relativamente brevi; a tal fine non ha alcuna rilevanza il fatto che l’arma sia carica o scarica e sia o meno funzionante, in quanto la giurisprudenza tiene conto del fatto che un’arma viene generalmente usata solo per scopi intimidatori, per i quali non fa differenza la condizione di effettiva efficienza. 

Si deve intendere per trasporto, invece, la mera movimentazione dell’arma sul suolo pubblico, senza però che colui che lo effettua ne abbia l’immediata disponibilità; in tale ipotesi viene dato per scontato che l’arma debba essere scarica, ma nulla viene mai detto sul fatto che l’arma debba anche viaggiare smontata (unica norma che impone di smontare un’arma durante il suo trasporto è quella che ne disciplina il trasporto a bordo dei treni). 

Altra nozione generale che ritengo sia utile conoscere, è quella sulla competenza territoriale al rilascio dei titoli. Il T.U.L.P.S., quando stabilisce a quali autorità di P.S. compete il rilascio delle varie licenze, non prevede alcun limite territoriale; pertanto, ogni cittadino è libero di rivolgere la propria istanza ad una qualsiasi autorità sul territorio nazionale. Tuttavia, è prassi rivolgere le istanze alle autorità del luogo di residenza o di domicilio, sia per una questione di comodità che di celerità del procedimento amministrativo (l’ufficio di P.S. di una provincia diversa da quella dove il richiedente risiede non possiede informazioni “riservate” sul suo conto e, quindi, dovrebbe richiederle ad altri uffici, con conseguente allungamento dei tempi tecnici del procedimento). 

Sempre in tema di istanze, la norma stabilisce che tutte le domande rivolte dal cittadino alla P.A. ed intese ad ottenere da essa un atto, debbano essere presentate “in bollo”, così come sarà soggetto ad imposta di bollo l’atto che la P.A. andrà ad emanare; per atto si deve intendere anche un eventuale provvedimento di rigetto dell’istanza. Attualmente l’imposta di bollo per gli atti amministrativi è prevista in Euro 16. 

Altra regola generale riguarda la validità delle licenze di polizia. Esse si intendono tutte di durata triennale, salvo che la legge non abbia disposto un termine di validità diverso (come di fatto è per alcune licenze in materia di armi destinate ai privati cittadini).

Infine, è bene sapere che nel termine di durata del titolo, non va conteggiato il giorno del suo rilascio. Facciamo, a questo punto, una rapida carrellata sui titoli di polizia previsti nel nostro ordinamento.


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