Classificazione delle armi - Guida pratica

INDICE

normativa in materia di armi

licenze destinate ai privati 

licenze professionali

limiti detentivi e modalità di custodia delle armi

È  necessario soffermarci con attenzione sulla complessa classificazioni delle varie armi che troviamo nell’ordinamento. Quella che segue è una panoramica di questa articolata suddivisione, non certo dettagliata, ma sufficiente a capire quali sono le sostanziali differenze tra le varie tipologie di armi.

Nel nostro attuale ordinamento giuridico, le armi possono essere suddivise nelle seguenti classificazioni:

ARMI PROPRIE

Ovvero tutte quelle la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona (art. 30 del T.U.L.P.S.).

ARMI IMPROPRIE

Comprendono tutti quegli strumenti che hanno specifiche (e diverse dall’offesa) destinazioni d’uso, ma che, all’occorrenza, potrebbero essere usati per arrecare offesa alla persona (art. 45 del Regolamento del T.U.L.P.S).

A loro volta, tra le armi proprie si possono distinguere le seguenti categorie:

ARMI DA PUNTA E TAGLIO

Quali pugnali, baionette, sciabole ecc… (art. 45 Reg. T.U.L.P.S.).

ARMI CONTUNDENTI

Ovvero Mazze Ferrate, Bastoni Ferrati, Tirapugni (o Noccoliere), Sfollagente (le troviamo indicate nell’art. 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110).

STORDITORE ELETTRICO

È  stato incluso nell’elenco delle armi proprie di cui all’art. 4 della legge 110/75 dal D. Lgs. 204/2010.

ARMI DA SPARO

Ossia quelle in grado di espellere un proiettile attraverso una canna, ma senza sfruttare la forza lavoro prodotta dalla combustione di una carica di lancio (ne sono tipici esempi le armi ad aria compressa e quelle a gas compresso).

ARMI DA FUOCO

Sono le classiche “macchine termo balistiche”, capaci cioè di espellere un proiettile attraverso una canna, con funzione di tubo a pareti resistenti, sfruttando la spinta generata dai gas in espansione prodotti dalla combustione di una carica di lancio.

Attualmente, le armi da fuoco e da sparo si possono distinguere in ARMI LUNGHE ed ARMI CORTE. 

L’articolo 7, 3° comma, della legge n. 388 del 30.09.1993 (con la quale è stata recepita nell’ordinamento una Direttiva comunitaria) stabilisce che debbono essere considerate lunghe tutte le armi che abbiano una canna di lunghezza superiore ai 300 mm ed abbiano una lunghezza complessiva superiore ai 600 mm; le armi si definiscono corte, quindi, in tutte le altre differenti ipotesi.

Per quanto riguarda in particolare le armi da fuoco e da sparo, all’interno dell’ordinamento troviamo una complessa serie di sottocategorie, che hanno particolare rilevanza per tutto ciò che concerne la possibilità di acquisto, porto e detenzione.

Le prime distinzioni sono quelle che ritroviamo all’interno della legge 110 del 1975, che ha introdotto i concetti di ARMA DA GUERRA, ARMA TIPO GUERRA, ARMA COMUNE DA SPARO ed ARMA CLANDESTINA.

Il concetto di arma da guerra, così come era stato definito dall’articolo 1 della citata legge, si deve, tuttavia, considerare superato con l’entrata in vigore della legge n. 185 del 1990, che ha introdotto nell’ordinamento il più ampio concetto di MATERIALE D’ARMAMENTO.

In base a quanto previsto dall’art. 2 della citata legge e dal relativo Regolamento di attuazione (che è un D.M. emanato dal Ministro della Difesa e che dovrebbe essere aggiornato con cadenza triennale in base alle decisioni in materia assunte dal gruppo di esperti internazionali facenti capo all’Accordo di Waassenar), rientrano tra i materiali in questione tutte le armi da fuoco automatiche e tutte quelle comunque appositamente progettate per impieghi militari. In base alla normativa comunitaria (la Direttiva 91/477/CEE), rientrano tra le armi “proibite” anche quelle dissimulate sotto altre forme (quale, ad esempio, una penna pistola). Se per arma da guerra vogliamo intendere, quindi, tutte quelle il cui acquisto e possesso è precluso ai privati cittadini, allora si deve necessariamente tener conto di quanto previsto da tutte le disposizioni normative appena richiamate.

Più semplice è definire un’arma comune da sparo; sono tali tutte le armi che risultavano iscritte nel Catalogo Nazionale delle armi comuni da sparo, quelle che, prodotte ed introdotte sul mercato nel periodo di vigenza del Catalogo Nazionale (che, ricordiamo, è stato abrogato a gennaio del 2012), in base a quanto previsto dall’art. 7 della legge n. 110 del 1975, erano esentate dall’obbligo di iscrizione (ovvero i fucili da caccia a canna liscia e le armi replica ad avancarica a più colpi) e quelle che, dopo il gennaio 2012, sono state omologate dal BNP.

È opportuno ricordare che il citato Catalogo, sebbene previsto da una legge dell’aprile del 1975, è entrato effettivamente in vigore nel settembre del 1979, quando, per la prima volta, si riunì la Commissione Consultiva Centrale di cui all’art. 6 della legge in parola. Pertanto, vanno considerate armi comuni da sparo anche tutte quelle introdotte sul mercato civile nazionale prima dell’inizio delle procedure di catalogazione e che abbiano le caratteristiche per essere considerate armi comuni. 

Per molte di queste armi, il competente ufficio del Ministero dell’Interno, su richiesta dei singoli proprietari, emanò dei provvedimenti di “classificazione”, attribuendo loro la qualifica di “arma comune” seppure non incluse nel Catalogo. Di tali provvedimenti è difficile avere conoscenza perché non è mai stata data loro alcuna forma di pubblicità, in quanto l’esito del procedimento amministrativo veniva comunicato al solo richiedente. Ad ogni modo, anche le armi “ante catalogo”, per poter essere considerate “comuni”, debbono essere in regola con quanto disposto dall’art. 11 della legge 110/75, come di seguito chiarito.

ARMI TIPO GUERRA

In questo contesto, rappresentano una categoria che si ricava per esclusione dalle precedenti; si dovrebbe trattare di quelle armi che, pur avendo caratteristiche tipiche delle armi da guerra, non possono essere considerate tali. Nello schema delineato dalla legge 110/75, queste armi potevano essere identificate, ad esempio, con quelle in grado di sparare a raffica, ma non idonee all’impiego in ambito militare (perché, magari, usavano un calibro non tipicamente militare). 

Alla luce delle normative successive di cui si è detto sopra, questa distinzione non ha oggi più alcuna valenza pratica, poiché, sia in base all’articolo 2 della legge 185 del 1990, che del relativo regolamento, tutte le armi automatiche rientrano nel novero dei materiali d’armamento. La definizione in questione, potrebbe attualmente essere riservata solo a particolari tipologie di armi, più teoriche che reali, quali, ad esempio, i fucili “antimateriali” non specificatamente progettati per impieghi militari.

La legge 110/75 ha introdotto anche un’altra categoria di armi, ovvero quelle clandestine. In base a quanto previsto dall’articolo 23, tale definizione è attribuibile alle sole armi classificabili come comuni, nel caso in cui siano, tuttavia, prive di alcuni dei requisiti di tracciabilità che la legge prevede per tale tipologia di armi. 

Quindi, si possono definire clandestine le sole armi comuni che siano prive delle marcature previste come obbligatorie dall’art. 11 della legge 110/75 (ovvero, il numero di matricola, i punzoni del Banco Nazionale di Prova italiano o di altro riconosciuto nell’ambito della convenzione internazionale C.I.P., alla quale l’Italia ha aderito dal 1960, il nome o il marchio del fabbricante, l’indicazione del Paese di produzione e, introdotto dalla legge 146/2006, il punzone indicante la sigla del Paese in cui l’arma è stata introdotta sul mercato, se diverso da quello di produzione, e l’anno di tale operazione). Questa norma prevedeva anche una seconda ipotesi, ovvero che l’arma non fosse mai stata iscritta nel Catalogo Nazionale, ma ormai tale previsione è stata tacitamente esclusa dall’intervenuta abrogazione del Catalogo. 

In definitiva, quindi, la qualifica di arma clandestina è prevista solo per le armi diverse da quelle da guerra o tipo guerra, che rimangono tali anche se prive dei contrassegni sopra indicati. È qui opportuno specificare che la legge impone alle sole armi comuni da sparo l’obbligo delle marcature necessarie alla loro tracciabilità, mentre nulla impone alle armi da guerra. Nelle normative internazionali, invece, non si fa alcuna differenza, sul tema della tracciabilità, tra le armi destinate al mercato civile o militare.

La grande famiglia delle armi comuni, poi, si suddivide in numerose altre sottocategorie, ognuna con proprie specificità, che rilevano per quanto attiene l’aspetto della loro detenibilità ed uso; vediamo, quindi, quali esse sono.

ARMI SPORTIVE

Sono rimaste tali tutte le armi comuni che erano iscritte nel Catalogo Nazionale e per le quali la qualifica di “arma per uso sportivo” era stata specificata nel relativo decreto del Ministro con il quale ne venne disposta l’iscrizione nel Catalogo. Tale qualifica veniva richiesta dall’importatore o dal fabbricante contestualmente alla richiesta di Catalogazione; per poter attribuire la qualifica, il Ministero dell’Interno doveva obbligatoriamente richiedere il parere di una federazione sportiva riconosciuta dal CONI. Il predetto parere, seppur obbligatorio, non era vincolante per l’Amministrazione. 

All’entrata in vigore della legge n. 85, nel marzo del 1986, venne, in via eccezionale, consentito di richiedere il riconoscimento della qualifica di arma sportiva anche per armi già in Catalogo in quel momento, mentre per armi catalogate successivamente all’entrata in vigore della legge non è più stato possibile variare la loro qualifica; ciò per tutelare i diritti acquisiti degli eventuali possessori di quell’arma. 

Oggi, con la sparizione del Catalogo Nazionale, è sempre possibile far attribuire all’arma la qualifica in questione, che andrà richiesta al BNP all’atto della sua presentazione per l’omologazione. Pertanto, l’unico modo per sapere se un’arma è classificata come sportiva, è quello di consultare il Catalogo Nazionale, se sull’arma appare il relativo numero di iscrizione, oppure verificarne l’eventuale qualificazione sul sito del BNP.

ARMI DA CACCIA

In base alla previsione contenuta nell’art. 13 della legge 157 del 1992, possono considerasi tali tutti i fucili a canna liscia la cui canna non sia inferiore a 450 mm ed abbiano un serbatoio di capienza non superiore a 2 colpi, e le carabine di calibro non inferiore a 5,6 mm, che abbiano il bossolo di lunghezza non inferiore a 40 mm. Tuttavia, questa disposizione di legge risulta implicitamente modificata da una disposizione contenuta nel D. Lgs. 204/2010, che ha abolito il requisito della lunghezza del bossolo indicato dalla norma sopra citata. 

Pertanto, sono oggi considerabili da caccia tutte le carabine che non abbiano la qualifica di arma sportiva ed abbiano un calibro non inferiore a 5,6 mm. Né il legislatore del 1992, né quello del 2010, tuttavia, hanno mai fornito indicazioni sul criterio da seguire ai fini della corretta determinazione del calibro. Il problema sorge con le armi in calibro 22, dove noi abbiamo un diametro interno della canna che, se misurato tra i pieni è inferiore ai 5,6 mm, ma che supera tale quota se la misurazione avviene tra i vuoti. 

Queste misure, inoltre, non sono uguali per tutte le armi, perché ogni fabbricante può variare, seppur entro margini limitatissimi, le quote di foratura della canna. Unico dato certo appare quello relativo al diametro del proiettile, che per tutti i vari calibri commerciali è sempre superiore ai 5,6 mm (le palle blindate dei vari 222 Rem., 223 Rem, 22-250, 22 Hornet, 22 Remington Jet, 22 Swift ecc…, misurano circa 5,7 mm, mentre con le palle in piombo delle 22 L.R. o 22 Short si arriva a 5,8). 

Personalmente sono del parere che oggi tutte le armi nei vari calibro 22 siano da caccia, in base ad un principio generale di diritto in base al quale “in dubbio, pro reo”; a conforto di questa mia affermazione vi è il fatto che tutti i Commissariati di P.S. della provincia di Roma (e sono 40), accettano le carabine calibro 22 L.R. non catalogate come sportive come armi uso venatorio. Ciò non significa che con armi di calibro 22 si possa poi effettivamente andare a caccia, poiché questa possibilità potrebbe essere espressamente esclusa dalle leggi regionali che disciplinano l’attività venatoria. 

Nel caso delle armi a canna rigata, la norma nulla specifica circa la capienza del serbatoio, per cui se ne deve desumere che sia consentito lo stesso numero di colpi previsto nel decreto di catalogazione o in fase di omologazione.

ARMI ANTICHE

Sono tali le armi prodotte anteriormente al 1890 o quelle ad avancarica originali, qualunque sia l’anno di produzione (che, comunque, difficilmente potrà essere successivo al 1920). Spesso si confondono le armi antiche con quelle che lo stesso D.M. del 14.04.1982 definisce “di importanza storica”, ovvero quelle di modello anteriore al 1890; la differenza può sembrare sottile, ma all’atto pratico è sostanziale. 

Un esempio pratico può essere rappresentato dalle rivoltelle modello Bodeo 1889, calibro 10,34 Ordinanza Italiana: si tratta, infatti, di un’arma di modello anteriore al 1890, ma i cui ultimi esemplari furono prodotti intorno al 1935. Nel caso di specie, quindi, solo pochissimi esemplari di quest’arma (ovvero quelli prodotti nel 1889) potranno essere annoverati tra le armi antiche, mentre tutto il resto della produzione, seppur di importanza storica, rientrerà tra le armi comuni. 

Per risolvere i problemi di ordine pratico legati alla corretta datazione delle armi, il D.M. del 14 aprile 1982, che ha disciplinato la materia, consente al questore di avvalersi, in caso di dubbio, della consulenza del Sovrintendente provinciale ai beni culturali. Tuttavia, possono esserci vie più semplici e rapide per arrivare a datare un’arma o, quanto meno, per accertarci che possa effettivamente essere antica, quali:

verificare, per le munizioni a bossolo metallico, l’anno in cui quel calibro è stato brevettato o ne è stata avviata la produzione industriale (la produzione industriale del calibro 22 L.R., ad esempio, è iniziata nel 1903 e, quindi, se ne ricava che nessuna arma in tale calibro potrà essere considerata antica);

se si riesce ad individuare il nome del fabbricante, si può fare un accertamento sulla data di inizio dell’attività industriale. Se un fabbricante è stato attivo a partire dal 1892, nella sua produzione non possono figurare armi antiche. Altro importante indizio può essere ricavato dal nome del modello. Per molte armi prodotte a cavallo tra l’800 ed il ‘900, specie per quelle destinate al mercato militare, i costruttori erano soliti indicare il nome del modello con l’anno di brevetto o di adozione da parte delle FF.AA. . Ecco allora, che il fucile italiano modello “1891-Carcano” (il nome è dato dall’anno di brevetto e dal suo progettista) non potrà mai essere antico, mentre per il fucile prodotto dalla Mauser con il nome “Gewer 1888” , vi potranno essere alcuni esemplari che rientrano tra le armi antiche. 

Per le armi di quel periodo storico non si dovrà attribuire particolare valore al numero di matricola, poiché gli Stati, molto spesso in guerra tra loro, imponevano ai fornitori di armi di attribuire alle stesse numeri di matricola non progressivi, finalizzati a non far capire al nemico di quante armi potessero disporre. Capita quindi, che armi dello stesso modello prodotte da un fabbricante nello stesso mese, si differenzino per numeri di matricola molto distanti tra loro. Tuttavia, è importante sapere che, almeno per le armi destinate alla dotazione militare, fino a tutto il II conflitto mondiale, i fabbricanti erano soliti apporre sulle stesse l’anno di produzione o sigle che lo indicassero.

ARMI ARTISTICHE

sono quelle, di qualsiasi tipo, che presentano lavorazioni artistiche di particolare pregio e valore. La qualità delle lavorazioni eseguite sull’arma deve essere certificata dal fabbricante; in assenza di tale dichiarazione, è il Questore che dovrebbe richiedere al Sovrintendente provinciale dei beni culturali l’accertamento del valore artistico dell’arma. Tale categoria di armi esiste solo a livello teorico, in quanto nessun possessore di arma artistica ha un reale interesse a palesarne la natura. 

Armi artistiche sono quasi sempre fucili da caccia (le pistole e i fucili di origine militare non hanno superfici metalliche così ampie sulle quali eseguire incisioni) che, come vedremo, non sono soggetti a limiti detentivi. Dal dichiarare l’arma come artistica, il possessore, pertanto, non trarrebbe alcun vantaggio, mentre lo Stato, considerando l’arma come parte del patrimonio artistico nazionale, potrebbe esercitare su di essa un diritto di prelazione.

ARMI RARE O DI IMPORTANZA STORICA

Tale qualifica può essere attribuita alle armi di qualsiasi genere che abbiano un particolare valore storico o in quanto realizzate in pochi esemplari o perché appartenute ad importanti personaggi storici o legate a fatti di rilevanza storica. Nel primo caso, dovrà essere onere del possessore dimostrare, attraverso l’esibizione di idonea documentazione, che l’arma in suo possesso è effettivamente legata ad un particolare evento o personaggio storico che la rendono unica, mentre nel secondo dovrà dimostrare che la sua arma è stata prodotta in un limitatissimo numero di esemplari. 

Non esistono parametri oggettivi in base ai quali il questore potrà valutare se effettivamente l’arma si possa considerare rara o di importanza storica e ogni decisione andrà presa per il caso specifico; è ovvio che un’arma appartenuta a personaggi storici di primo piano o legata ad eventi che hanno fatto la storia possa essere considerata “di importanza storica”, ma più difficile sarà la valutazione per fatti o personaggi di minore importanza. 

Stesso discorso vale per le armi rare; la pistola tedesca Luger P08 in calibro 45 ACP, prodotta in 2 soli esemplari, è l’arma rara per eccellenza, ma anche il fucile svizzero “Mondragon” primo semiautomatico della storia, realizzato in soli 8 pezzi, non è da meno. Più difficile è giudicare la “rarità” di armi prodotte in grandi quantità: la pistola statunitense Colt, modello 1911-A1 in calibro 45 ACP è stata prodotta in milioni di esemplari da diversi stabilimenti. Tra questi, tuttavia, solo 450 circa, furono quelle realizzati con un particolare brevetto che ne consentiva lo scatto in doppia azione.

ARMI A MODESTA CAPACITÀ OFFENSIVA

Si tratta delle armi per le quali, in base a quanto stabilito dal D.M. n. 362 del 2001, è oggi consentito il libero acquisto e la libera detenzione. Sono tali le armi ad aria o gas compresso i cui proiettili hanno una energia cinetica in volata non superiore a 7,5 joule o le repliche delle armi ad avancarica monocolpo. 

Per le armi immesse sul mercato dopo l’entrata in vigore della legge, la qualifica di arma a M.C.O. viene certificata dal produttore nazionale o dall’importatore, che hanno l’obbligo di apporvi sopra il proprio punzone che ne certifica la potenza; il predetto punzone deve essere stato preventivamente depositato presso il B.N.P. Qualora l’importatore dell’arma non abbia un proprio punzone registrato, avrà l’obbligo di portare l’arma al B.N.P. per farvi eseguire le prove finalizzate all’accertamento della potenza; se l’arma risulterà conforme alla normativa nazionale, sarà il B.N.P. ad apporvi le necessarie marcature. 

Oltre a tutti i punzoni normalmente previsti dall’art. 11 della legge 110/75 ed a quello della certificazione della potenza, sulle armi ad aria o gas compresso a M.C.O., immesse sul mercato italiano dopo l’entrata in vigore del citato regolamento ministeriale, deve anche essere indicato il “C.N.”, ovvero il Numero di Conformità del modello attribuito dal Ministero dell’Interno. 

Come visto, in base a quanto stabilito da tale regolamento, quindi, non è possibile, in Italia, importare direttamente armi ad aria compressa; benché di libera vendita, la normativa ha previsto che per la loro importazione sia necessario munirsi della licenza del Questore, che potrà essere rilasciata solo per modelli di armi che abbiano già ottenuto il Numero di Conformità, i quali poi, una volta giunti in Italia, dovranno essere portati al B.N.P. per le procedure sopra illustrate. 

Da sottolineare la contraddittorietà della normativa attuale che, se da un lato ha abolito il Catalogo Nazionale, prevedendo così una procedura molto più snella per consentire l’immissione sul mercato civile delle armi comuni, sottraendo al Ministero dell’Interno qualsiasi competenza in materia, dall’altro ha lasciato inalterata la complessa procedura di classificazione della armi a M.C.O., per le quali è ancora oggi necessario un Decreto del Ministro dell’Interno per ottenere il Numero di Conformità. 

Altrettanto complessa risulta la procedura per “liberalizzare” le armi con potenza inferiore ai 7,5 joule acquistate prima dell’entrata in vigore della normativa in esame. Per tali armi è necessario ottenere un decreto “ad personam” dal Ministero dell’Interno. Chi sia interessato ad ottenerlo, dovrà presentare la propria arma al B.N.P., farvi eseguire le prove di verifica della potenza ed ottenere un certificato dell’Ente che attesti che la stessa sia inferiore ai 7,5 joule, quindi dovrà presentare istanza al Ministero dell’Interno, Ufficio per l’Amministrazione Generale, Area Armi ed Esplosivi, allegando tale certificazione, per richiedere che all’arma sia riconosciuta la qualifica di M.C.O.. Ottenuto il decreto, dovrà riportare l’arma al B.N.P. e farvi apporre il punzone che attesta che si tratta di arma a M.C.O. Al termine di tale iter, si potrà andare all’ufficio di P.S. presso il quale l’arma era stata a suo tempo denunciata come comune, e richiederne la cancellazione dal numero delle armi detenute. 

Si tenga presente che la normativa europea in questo specifico settore non risulta armonizzata, per cui, benché ogni Stato preveda questa categoria di armi di libera vendita, esse non sono tutte uguali. In alcuni Paesi, infatti, sono stati previsti limiti di potenza superiori rispetto all’Italia (il limite della Spagna, ad esempio, è di 9 joule, mentre per l’Inghilterra sono 11), mentre in Stati che hanno adottato il nostro stesso limite, può essere diverso il metodo di accertamento (da noi, ad esempio, la procedura tecnica prevede di sparare 10 pallini di marca e peso diversi e se anche uno solo di essi arriva a 7,5 joule, l’arma viene giudicata non idonea, mentre in Germania, dove si ha lo stesso limite di potenza, si tiene conto della media ottenuta da tutte le potenze rilevate). 

Delle armi ad aria o gas compresso a M.C.O. ne è consentita la detenzione senza alcun limite numerico, il libero trasporto (dando il legislatore per scontato che ne sia vietato il porto) e l’uso all’interno di luoghi privati (nel rispetto, ovviamente, di ogni altra legge dello Stato). Per quanto riguarda le armi ad avancarica, bisogna specificare che rientrano tra quelle a M.C.O. solo quelle monocolpo (e, quindi, ne sono esclusi i revolver o le armi a più canne) che riproducono fedelmente un’arma che era effettivamente prodotta in passato. 

Per le armi di attuale produzione deve essere il fabbricante a certificare che si tratta di una “replica” mentre, per produzioni artigianali o per armi fabbricate all’estero da ditte che non rilasciano tale dichiarazione ovvero realizzate da produttori non più in attività all’atto dell’entrata in vigore del regolamento, dovrà essere il B.N.P. a certificare che si tratta effettivamente di una replica. 

L’anomalia di tale normativa è che nessuna agevolazione è stata prevista per le armi antiche (ovvero le armi ad avancarica originali) che, seppur ad avancarica monocolpo, rimangono armi a tutti gli effetti di legge. Si tenga presente che, nel resto dell’U.E. ed in molti Paesi del mondo, le armi antiche non sono soggette ad alcuna limitazione. 

Per quanto riguarda le modalità di vendita, queste armi possono essere vendute solo nelle armerie, che hanno l’obbligo di registrare le operazioni di vendita sul registro delle attività giornaliere. Tutte le armi di libera vendita possono essere acquistate da chiunque dimostri la sua maggiore età previa esibizione di un documento di identità; gli estremi del documento esibito debbono essere riportati sul registro. 

Poiché la legge non prevede alcun altro limite se non il possesso della maggiore età, vuol dire che l’acquisto potrà essere effettuato anche da cittadini stranieri o da soggetti colpiti da un divieto di detenzione armi, che non può trovare applicazione per queste armi (l’art. 39 del T.U.L.P.S., infatti, fa riferimento alle armi detenute in forza della denuncia di cui all’art. 38, ma siccome queste armi non sono soggette a denuncia, ecco che non ricadono nell’ambito di applicazione del divieto). 

L’obbligo di identificare l’acquirente e riportarne gli estremi del documento sul registro, impedisce la vendita per corrispondenza di queste armi. L’uso delle armi ad aria compressa a M.C.O. è consentito anche ai minori all’interno dei TSN o negli altri luoghi privati ove esso è consentito, ma in questo caso sotto il costante controllo dei genitori.

ARMI USO SCENICO

Sono quelle che vengono usate nelle scene cinematografiche o teatrali ed in grado di esplodere colpi a salve (non si parlerebbe di “armi” nel caso di meri simulacri inerti). Quelle in grado di simulare perfettamente il normale ciclo funzionale di un’arma automatica o semiautomatica, sono armi vere che subiscono solo una modifica che ne occlude parzialmente la canna, allo scopo di rafforzarne il rinculo con l’uso di cartucce a salve e per impedire che un proiettile possa accidentalmente essere sparato. 

Esse, tuttavia, sono da considerarsi armi a tutti gli effetti di legge, sia perché le modifiche apportate sono facilmente reversibili, sia perché tutte le altre parti fondamentali sono perfettamente efficienti. Ecco perché la legge disciplina il comodato d’uso di tali armi e perché chi le detiene a scopi professionali deve essere appositamente autorizzato dall’autorità di P.S. (il questore per le armi comuni ed il prefetto per quelle da guerra) a svolgere la propria attività di locazione, con obbligo di tenuta degli appositi registri delle attività giornaliere. 

Attualmente la normativa non disciplina le procedure tecniche per modificare un’arma per renderla uso scenico, ma è in questi giorni all’esame del Parlamento una proposta di legge che, tra le varie cose, vuole introdurre anche questa disciplina.

PISTOLE LANCIARAZZI

In base a quanto previsto dall’art. 2 della legge 110/75, sono da considerarsi armi comuni. Fanno eccezione i soli modelli destinati alla segnalazione nautica, che debbono essere approvati con decreto del Ministero dei Trasporti (all’epoca della legge era quello della Marina Mercantile) e quelli da usarsi nelle attività di soccorso. 

Tali armi sono destinate a camerare munizioni a salve, ma hanno la canna solo parzialmente occlusa, in modo che i gas generati dalla combustione della carica di lancio possano giungere sotto pressione fino alla volata, dove dovrà essere collocato, in un apposito tromboncino (che potrà essere solidale alla canna o avvitato ad essa tramite una filettatura posta sulla volata) il razzo da accendere e lanciare. 

Come tutte le altre armi comuni, anche queste debbono rispondere ai normali requisiti imposti dalla legge. Quelle che, invece, sono consentite, rimangono pur sempre armi, seppur improprie, il cui possesso e porto potrà essere consentito solo in presenza di giustificato motivo (le lanciarazzi nautiche, ad esempio, si possono acquistare solo nei negozi di forniture navali, esibendo i documenti di possesso del natante e potranno essere trasportate in macchina solo quando ci si sta recando al porto per usare la propria imbarcazione).

STRUMENTI DA SEGNALAZIONE ACUSTICA

Sono generalmente conosciuti come “armi a salve” o “scacciacani”. Si tratta di repliche di armi che debbono essere realizzate interamente in zama (lega di alluminio particolarmente fragile). La canna è occlusa con un inserto di acciaio. Ogni modello in commercio deve preventivamente essere stato approvato dal Ministero dell’Interno (sulla confezione di vendita deve essere indicato il numero del decreto di approvazione) e provato dal B.N.P. con l’apposizione del relativo punzone. Sono di libera vendita e detenzione; anche il loro porto è consentito, ma un eventuale uso potrebbe costituire reato (se per quel reato è prevista l’aggravante costituita dall’uso di armi). 

Contrariamente a quanto molti credono, per questi strumenti non esiste l’obbligo del tappo rosso in volata, in quanto esso è previsto per i soli giocattoli riproducenti armi. A tale proposito è opportuno segnalare che i giocattoli sono disciplinati da una normativa europea del 1988 (Direttiva 88/378/CEE), recepita con il decreto 20 ottobre 2004. 

Tale disposizione prevede espressamente che non possono rientrare nella definizione di “giocattolo” tutti gli strumenti che riproducono fedelmente armi da fuoco o siano in grado di espellere un proiettile.

ARMI DEMILITARIZZATE

Sono le armi nate in origine a raffica, che sono state modificate, secondo le regole tecniche stabilite nella circolare del Ministero dell’interno del settembre 2002, per impedire loro il funzionamento automatico e trasformarle in armi comuni.

ARMI DISATTIVATE

Sono armi da fuoco che sono state rese inerti seguendo le procedure tecniche stabilite nella circolare del Ministero dell’interno del 20 settembre 2002; le operazione debbono essere eseguite da un fabbricante munito della licenza del Prefetto di cui all’art. 28 del T.U.L.P.S. (per le armi da guerra) o anche da un “riparatore” per le armi comuni. 

Chi esegue la disattivazione deve produrre una certificazione in duplice copia: una deve essere consegnata all’ufficio di P.S. presso il quale l’arma era denunciata, affinché provveda alla sua cancellazione dalla banca dati, mentre l’altra dovrà sempre seguire il simulacro di arma per dimostrare che è inerte. 

La procedura sopra descritta impedisce, di fatto, di importare armi disattivate dall’estero, in quanto i certificati di disattivazione prodotti in altri Stati non avrebbero alcun valore legale in Italia.

ARMI ALTERATE

Non si tratta di una tipologia di armi, ma di un comportamento illecito previsto e punito penalmente dall’art. 3 della legge 110/75. Tale disposizione, infatti, punisce chiunque dolosamente altera le caratteristiche meccaniche di un’arma da sparo al fine di aumentarne la potenzialità di offesa o ne modifichi le dimensioni per migliorare la sua occultabilità. Si tratta, quindi, di un reato a dolo specifico. 

Pertanto, un’arma può considerarsi alterata quando, ad esempio, se ne sostituisce la canna con altra di calibro maggiore, si aumenta la capacità del caricatore (un maggior volume di fuoco a disposizione è certamente sinonimo di maggiore potenzialità di offesa) o viene forata la canna per trasformare una pistola lanciarazzi in una vera. 

Non si può parlare, invece, di arma alterata, nel caso in cui si trasformi un’arma semiautomatica in una automatica, perché ciò che si ottiene è un’arma da guerra e non un’arma alterata, né quando si trasformi uno strumento da segnalazione acustica in una pistola, in quanto, in questo caso, si sarebbe illegalmente fabbricata un’arma clandestina. Si potrebbe avere, inoltre, un concorso di reati nell’ipotesi in cui un’arma da guerra illegalmente detenuta venisse accorciata per renderla più occultabile. 

Per accertare un intervento di alterazione in un’arma comune sarà sempre necessario verificare le sue caratteristiche originali riportate nel Catalogo Nazionale; per le armi a canna liscia (che non erano soggette all’iscrizione nel Catalogo), si potrà accertare una eventuale modifica apportata alla canna controllandole il peso e confrontandolo con quello accertato dal B.N.P. all’atto della punzonatura; fino a qualche anno fa il B.N.P. stampigliava direttamente sulle canne dei fucili a canna liscia il loro peso. 

Oggi, ovviamente, in assenza del Catalogo Nazionale, detto raffronto potrà essere fatto con i dati riportati nella scheda di omologazione del BNP.


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