Caccia e gestione: stagione riproduttiva, come salvaguardare i selvatici nascituri

Panorama collinare
La cooperazione fra agricoltori e cacciatori può mantenere sul territorio le condizioni ideali alla presenza e alla riproduzione della selvaggina.

Inizia il periodo riproduttivo per i selvatici e per il cacciatore quello delle speranze che tutto possa andare per il meglio contando di ritrovare un ambiente integro alla fine dell’estate e popolato da nuovi selvatici nati e cresciuti nel miglior modo possibile. Solitamente il cacciatore è uomo anche pragmatico e non si affida alla sola speranza ma interviene sul proprio territorio per monitorare e cercare di migliorare per quanto gli è possibile e concesso dalla legge, l’ambiente e le popolazioni delle specie selvatiche che vi risiedono e che lui ovviamente conosce. Nel periodo in cui scriviamo le aspettative devono rivolgersi purtroppo quasi esclusivamente alla passiva speranza che tutte le condizioni ottimali si verifichino senza il suo contributo perché ci è imposto di stare a casa, ma possiamo immaginare di tornare a breve a visitare le campagne in punta di piedi valutando se tutto stia andando per il meglio. 

Caccia alla volpe
La caccia alla volpe come quella ai corvidi, oltre a rappresentare un confronto affascinante con un selvatico vero è un impegno utile del cacciatore sul territorio a favore di altre specie predate

Ci riferiamo soprattutto alle specie di selvaggina stanziale come lepre, fagiano, dove ovviamente questa specie resiste e si riproduce autonomamente, starne, pernici e ungulati in genere. In natura gli equilibri si mantengono spontaneamente per alcune specie; ad esempio è del tutto normale che in zone montuose i lupi e qualche volpe sottraggano dei piccoli di capriolo o di lepre, molto più raramente di cinghiale. Rientra nella normalità della catena alimentare e anzi favorisce la selezione dei soggetti biologicamente migliori anche la predazione del fagiano, della starna o delle pernici rosse sempre da parte di volpi, faine o rapaci. Diventa però un problema quando il degrado e l’abbandono dell’ ambiente favoriscono la proliferazione soltanto dei predatori o delle specie considerate opportuniste a discapito di altre stanziali. Entriamo più nello specifico.

Presenza di acqua e colture a rotazione sono elementi fondamentali al sostentamento dei selvatici che nei periodi invernale e primaverile possono efficacemente essere implementati dall'uomo

È necessario ricorrere a qualche nozione fondamentale di etologia che ogni cacciatore dovrebbe possedere per capire ciò di cui parliamo. L’abbandono delle zone rurali e la diminuzione dei pastori, l'agricoltura diventata soprattutto intensiva, l’antropizzazione  con periferie e rifiuti sempre più vicini alle campagne hanno ridotto drasticamente l’habitat di alcune specie come il fagiano, la starna e la lepre che necessitano non solo di appezzamenti e colture variegati, ma anche di prati naturali, siepi, piccoli boschi e margini incolti fra i coltivi per avere il rifugio necessario per sfuggire ai predatori e soprattutto un ambiente in cui nidificare, ricco di erbe spontanee con i loro semi e un proliferare di insetti essenziali al nutrimento dei piccoli nelle fondamentali prime 3 settimane di vita. 

Cane con preda
L'attenta e competente gestione del territorio è l'unica condizione che permette al cacciatore il confronto con selvatici veri e presenti in numero costante.

L' assenza di queste condizioni, con l’avanzamento invece di macchie spontanee al posto dei campi, il degrado delle periferie cittadine e l’abbandono dei rifiuti, l’uso di pesticidi e insetticidi nelle campagne hanno prodotto due risultati nefasti; decimato specie di piccoli uccelli e selvaggina stanziale e favorito quei selvatici onnivori e capaci di nascondersi e adattarsi a territori sempre più impervi dunque impenetrabili e sicuri, usando a proprio favore anche le attività e i rifiuti creati dall’uomo.  Fanno parte di queste specie la volpe, il cinghiale e tutte le tipologie di corvidi e rapaci. A questi selvatici cibo e riparo, le due condizioni necessarie alla proliferazione non mancano mai. Ecco dunque che al di fuori di alcuni esempi di gestione messa in atto dagli stessi cacciatori in comprensori privati come le aziende faunistico venatorie, nel territorio libero sono sempre più critiche le situazioni lasciate all’abbandono in balia di questi fattori.

La caccia ai corvidi non è affatto da screditare, ha bisogno di competenza e dedizione da parte del cacciatore.
Il cinghiale è senza dubbio impattante sulle specie di selvaggina nidificante a terra, ma oltre che con la caccia ed il prelievo andrebbe controllato attraverso la custodia dell'ambiente e la sottrazione di troppi possibili rifugi.

Consigli pratici, il fondamentale connubio cacciatori e agricoltori

Cartucce da caccia
Il controllo dei corvidi può iniziare con impegno da parte dei cacciatori già durante la stagione venatoria dedicando alcune giornate di caccia a questi selvatici

Se nei distretti gestiti privatamente si arriva ad ottenere dei risultati concreti e soddisfacenti in termini di contenimento dei predatori e successo delle nidiate di selvaggina stanziale è grazie all’accordo e alla collaborazione attiva fra cacciatori e agricoltori. Un impegno reciproco e conveniente ad entrambi per avere una campagna che non sia soltanto produttiva e fonte di reddito ma anche fonte di vita. Qui infatti viene svolta la fondamentale attività di assistenza alimentare nei confronti dei fagiani e altri selvatici nei periodi più critici dell’inverno e in primavera, si interviene poi in modo razionale sia nella semina che nella raccolta delle varie colture in atto, mettendo anche in conto di lasciare alcuni spazi, delle terre di mezzo fra i coltivi adibite proprio al rifugio, alla alimentazione e alla riproduzione delle specie in questione, come il fagiano la strana e la lepre. Inoltre, nel momento della mietitura e dello sfalcio, consapevoli del fatto che le zone predilette dai selvatici per la costruzione dei nidi si trovano nei punti marginali dei campi, le macchine agricole, attrezzate anche delle fondamentali barre di involo, procedono nel lavoro dal centro del campo verso l’esterno dando maggiore possibilità di fuga ai selvatici presenti o in cova. Questo vale anche per alcuni ungulati come i piccoli di capriolo che restano immobili e mimetizzati nell’erba per sfuggire alla vista e all'olfatto dei predatori ma non ad un pericolo così imminente e inesorabile. 

Gabbie con esca
Le varie tipologie di gabbie con esca viva sono molto efficaci nel controllo dei corvidi.

Per quanto riguarda i corvidi e le volpi inizierei la disamina da un punto di vista oggettivo e autocritico come l’attività giornalistica onestamente svolta pretende. Nei confronti dei corvidi e delle volpi quindi a tutela delle future nidiate almeno nell’ultima parte della stagione venatoria potrebbero dedicarsi più tecnicamente e con serio impegno molti cacciatori che vivono invece queste tipologie di caccia tra l’altro affatto semplici e dunque affascinanti come una rinuncia e una sottrazione al proprio tempo utile da dedicare alle altre cacce. Nessuno farà mai qualcosa al nostro posto per il territorio in cui cacciamo, quindi nel tempo che ci è concesso consiglierei di sfruttare meglio le nostre occasioni. Il problema di certo non si risolverebbe immediatamente ma sarebbe un contributo utile nel medio periodo. A stagione conclusa poi, sapendo di non poter contare su periodi ulteriori di controllo attraverso l’uso del fucile come accade in Francia e altri paesi, possiamo continuare dove possibile il controllo nel caso dei corvidi attraverso l’utilizzo delle gabbie Larsen. Pur trattandosi di specie particolarmente  diffidenti i corvidi hanno infatti il punto debole di essere territoriali e aggressivi dunque questi dispositivi che si avvalgono dell’esca viva percepita come intrusa dai selvatici della zona funzionano benissimo nel contenimento, ma occorre ovviamente anche qui impegnarsi nel controllo giornaliero delle trappole per assicurarne l’efficacia. Arrivando al cinghiale parlando di specie in esubero occorre anche qui essere seri e obbiettivi nella considerazione di diversi aspetti. È senza dubbio vero che parliamo di una specie onnivora e dotata di un olfatto straordinario, basti pensare che i nostri cani da caccia di cui vantiamo le doti olfattive hanno una canna nasale almeno di un terzo inferiore a quella del suide capace di individuare da grandi distanze e  dunque cibarsi delle uova di quei selvatici che nidificano a terra come i fagiani e le starne. Detto ciò occorre anche ammettere che la diffusione del cinghiale è strettamente connessa alle macchie e i boschi incustoditi che offrono le potenziali rimesse. Prima di individuare la carabina come unico mezzo dobbiamo anche ammettere che tornando alla custodia dell'ambiente, alla gestione dei boschi e alla circoscrizione delle zone di rimessa si ridurrebbe di molto l'impatto e la presenza di questi selvatici che tornerebbero ad occupare aree boschive più estese e vocate dove allora si la caccia è possibile e anche molto più efficace. Non sono utopie, soluzioni impegnative certamente si, ma anche appaganti. Ci sono esempi ed esperimenti portati avanti da tecnici faunistici che hanno rivelato l'importanza e l'efficacia di questi accorgimenti dando risultati considerevoli in alcune zone d'Italia e non solo. Illuminanti a questo proposito i testi scritti da alcuni di loro come Roberto Mazzoni Della Stella e Francesco Santilli di cui consiglio vivamente la lettura. La caccia e i cacciatori sono un bene prezioso per l'ambiente solo se sostenuti da cultura, informazione ed impegno pratico.