Carne selvaggia: carnivori di tutto il mondo unitevi! Grow: sostenibilità in cucina al massimo livello

Due fratelli giovanissimi che gestiscono cucinano e servono ai tavoli del ristorante, si occupano dell'orto, allevano galline, producono da soli formaggi e salumi, utilizzano energia completamente rinnovabile e hanno intessuto una rete di fornitori locali. Soprattutto, per la carne e il pesce, si rivolgono esclusivamente a cacciatori e pescatori. Scelte radicali, quelle di Matteo e Riccardo Vergine: il loro Grow Restaurant (https://growrestaurant.it/) ad Albiate (Mb) non è totalmente sostenibile, ma quasi. Sostenibilità è una parola oggi anche abusata… «Noi ci avviciniamo al concetto di sostenibilità, un ristorante non può essere completamente sostenibile, ma abbiamo deciso di cambiare rotta», spiega Riccardo, 29 anni, maître di sala e sommelier. «Andiamo controcorrente, abbiamo eliminato dalle materie prime le carni provenienti da allevamenti intensivi o dalla grande distribuzione organizzata, abbiamo trovato il terreno per l’orto e facciamo tanta, tanta ricerca».

Nel gennaio del 2022 i due ragazzi hanno acquistato un piccolo appezzamento di terra, 2.000 metri quadrati a pochi chilometri dal ristorante, sulla scorta dell’esempio dei nonni contadini che hanno saputo trasmettere loro il valore della terra e dell’agricoltura. Lo hanno dissodato con le proprie braccia e, a fine inverno, hanno iniziato a piantare le prime colture disponendole a rombo, anziché in filari paralleli, puntando su cipolle, patate. Il metodo di concimazione è del tutto naturale e proviene in parte dalle nove galline di varie razze che vivono nel pollaio costruito dai ragazzi, e in parte dal compost realizzato con i (pochi) scarti del ristorante. Matteo e Riccardo, poi, abitano a Seregno, poco distante. Il territorio, come sempre, ha grande importanza: «Noi non offriamo la cucina tradizionale, ma abbiamo studiato e studiamo la tradizione antica del luogo in cui ci troviamo, la Brianza, per riportarla alla luce sotto un punto di vista differente. Questo territorio è inespresso, un po’ omologato, e identificarlo sotto un altro punto di vista è rarissimo: riscoprire e riportare quello che si è perduto, è scelta difficile, ma a nostro parere necessaria».

Cucina agricola e trapper

Cortile (menu Growing) è un piatto cardine della filosofia del ristorante, l’uovo centenario – prodotto da un amico cinese dei Vergine e conservato per 100 giorni – al centro, affiancato dal cuore di coniglio scottato, la cresta di gallo bollita, il cotone d’oca, ovvero il petto d’oca stufato ed essiccato con zucchero, immersi in un brodo di cortile non filtrato. Un piatto in cui compaiono tutti i valori di Grow: la terra di appartenenza, la campagna dei nonni, l’uso delle interiora che oggi è sinonimo di zero waste e rispetto del sacrificio dell’animale, ma che in realtà costituisce da sempre i ricettari di campagna, i brodi, il senso del tempo che plasma il gusto e le consistenze, l’attesa. 

Il pesce, rigorosamente d’acqua dolce, e le carni, non allevate, ma cresciute selvatiche e quindi cacciate da cacciatori che poi ne certificano la provenienza. Il concetto di cucina si potrebbe pertanto definire agricolo, ma è anche determinato dal fattore tempo, perché questo è certamente un ingrediente cruciale nel dare concretezza al gusto di Grow. D’altra parte, il nome suggerisce un divenire, una crescita che è senz’altro quella dei due giovani ristoratori, ma anche dei clienti, di un nuovo modo di pensare l’ambiente e anche la ristorazione stessa.

«L’idea che avevamo era di utilizzare la cucina come veicolo di comunicazione per trasmettere il nostro pensiero. Questa è la nostra prima attività, in un mondo che non conoscevamo e quindi non abbiamo ricevuto nessun consiglio o aiuto. Dovevano aprire a dicembre del 2019, ma c’è stato il Covid. Poi il secondo lock-down ci ha insegnato moltissimo, abbiamo avuto ancora tanto tempo per studiare, per concretizzare il nostro pensiero originale. Nel 2021 abbiamo cominciato con cautela, poi da settembre molto bene. Il Covid ci ha insegnato tanto anche per l’aspetto sociale, l’importanza del recupero degli scarti, anche se già originariamente avevamo scelto quel filone: evitare gli sprechi, risparmiare energia. Abbiamo visitato tutti i fornitori per conoscerli, proprio per ritrovarvi la nostra stessa filosofia, da subito abbiamo puntato sulla selvaggina».

Per Grow i fratelli Vergine hanno elaborato un manifesto che porta il titolo di “Wildlife hunting” e che descrive quest’idea. Grow è “Rinnovare: non inventiamo ma riportiamo in vita, rimettiamo in circolo le energie mentali e naturali, dando nuova energia ai flussi e al gusto”. La cucina di Grow cerca di essere l’espressione del “Territorio: si manifesta come atto di devozione e riconoscenza alle nostre radici”. Conservare è un concetto cardine: “Conserviamo la memoria di quello che ci è stato insegnato così come conserviamo quello che la natura ci dona”. Per questo gli insaccati di selvaggina, ma anche i garum di pesce e le conserve. Il “Tempo è memoria dei gesti del passato, ma è anche quello che serve per le fermentazioni, le frollature del pesce e della carne” e anche il tempo medio per ogni degustazione scritto in secondi sul menu, ma non per fare fretta al cliente, per concedergli invece di prendersi tempo...

«Tutto il pesce viene da Montisola da un unico pescatore, che chiama la mattina e ci dice quello che ha pescato, così possiamo scegliere. Il mondo dei cacciatori in realtà si è rivelato l’unica via per avere una carne realmente sostenibile. L’unica alternativa all’allevamento intensivo. A seconda del calendario venatorio, attraverso il comprensorio di caccia e il centro di lavorazione selvaggina in Val d’Intelvi, acquistiamo animali interi, principalmente ungulati: cervo, capriolo, cinghiale. Anche camoscio, ma quest’anno ancora no. Non tanti animali, perché ci siamo imposti un limite che è quello dei nostri cinque tavoli e quello di utilizzare completamente la carcassa. L’animale arriva intero, completamente controllato, noi lo porzioniamo e lo frolliamo: con alcuni tagli facciamo ragù, salami e bresaole, mentre gli altri tagli li serviamo».

Matteo, lo chef, ha appena 25 anni e, dei due, è quello che studia e ricerca maggiormente. «I nostri genitori facevano tutt’altro, non abbiamo nessuna tradizione famigliare nella ristorazione», spiega ancora Riccardo. «Mio fratello ha fatto l’alberghiero, si è ispirato a molti chef, ne ammira tantissimi soprattutto del Nord Europa: prende spunto, cerca di capirne e carpirne le idee, coglie l’ispirazione. Ha fatto corsi e prove, studia incessantemente. Io ho fatto il perito meccanico e ho sviluppato una passione per la sala, ho avuto varie esperienze, sono sommelier».

Tra gli antipasti del menu Spore si trova l’accoppiata anguilla e anatra frollata 20 giorni e cotta su brace e bagnata in cottura con fondo da carcasse frollate nei mesi, e servita con fondo concentrato. Un piatto in cui domina il gesto del mangiare con le mani, di sicuro impatto al palato per la concentrazione del sapore, e che nel menu Growing arriva con la zampa di anatra. 
Tra gli antipasti del menu Spore si trova l’accoppiata anguilla e anatra frollata 20 giorni e cotta su brace e bagnata in cottura con fondo da carcasse frollate nei mesi, e servita con fondo concentrato. Un piatto in cui domina il gesto del mangiare con le mani, di sicuro impatto al palato per la concentrazione del sapore, e che nel menu Growing arriva con la zampa di anatra. 

A chilometro zero

Tutti gli ingredienti che entrano in cucina sono lombardi (al 90%), ma appena un 5% dei clienti provengono dalla provincia di Monza-Brianza. «Alcuni si fanno tanti chilometri per venire da noi, l’80% arriva da Milano, Bergamo, Como, il 10% anche dall’estero e addirittura da altri continenti».

Nella cantina la stessa filosofia della cucina. Un centinaio di etichette di vini nazionali e naturali. «Sono andato alla ricerca di piccoli produttori, di vitigni autoctoni e poco conosciuti. Gli abbinamenti li studiamo quando stiliamo i menu, che sono stagionali ma anche semestrali, perché siamo legati alle stagioni e al calendario; dunque, alcuni prodotti variano perché seguiamo il ciclo della natura. Studiamo la carta in base alla stagione e facciamo assaggi dei vini che variano davvero tanto nel tempo, così cerchiamo di essere noi stessi dinamici».

Lingua è una bresaola di lingua di cervo servita in purezza e in parte cotta su brace con licheni alla base, a significare l’habitat invernale dell’ungulato e, sopra, una salsa verde. La tecnica di stagionatura è stata appresa in Valtellina, ed è stata impiegata la parte terminale della lingua che è più tenace e solitamente scartata. Quando il piatto arriva in tavola viene nebulizzato con un infuso di muschio da annusare prima di apprestarsi a mangiare.

I due ristoratori non sono cacciatori, ma svolgono un importante ruolo di divulgatori. «Nella caccia servono abilità, conoscenza e competenza. L’abbattimento per noi è la via più etica per la salvaguardia della natura stessa per la gestione faunistica. Facciamo una serata apposta, un evento sociale aperto a otto sconosciuti in cui parliamo solo della caccia, dell’etica dell’uccisione che è solo un gesto in un contesto più ampio e importante. C’è molta curiosità attorno alla caccia e alla selvaggina, anche da parte dei giovani che ricercano l’etica. La nostra clientela è in età, ma il giovane davvero non vede l’ora di venire da Grow, vuole capire e ci riempie di domande. La nostra generazione non vuole lasciare alle generazioni future il problema della sostenibilità. Sta cambiando la comunicazione nel mondo caccia e secondo noi anche tanti ambientalisti, che contrastano lo sfruttamento dell’animale, cominciano a vederla con occhi diversi».

Filetto di cervo cotto alla maniera dei trapper. L’impiattamento prevede licheni e vegetazione che ricordano l'habitat invernale del selvatico. 

Il ristorante propone tre percorsi di degustazione, senza la carta, da scegliere in fase di prenotazione e per tutto il tavolo, proprio per evitare lo spreco, così i Vergine sanno già cosa acquistare. Il menu Substrato ha 4 portate, il menu Spore ne ha 9 e Growing è il menu in libertà, sperimentale, dove Matteo si spinge più all’estremo. «Il piatto Carni del bosco lo manteniamo in tutti i percorsi: è un taglio della selvaggina, arricchito con varie parti o dello stesso animale o di animali diversi, in questo periodo, per esempio è capriolo, all’interno coscia e sella, cervo cinghiale, daino e capriolo possono essere serviti tutti e quattro in maniera differente. Ci ispiriamo alla cucina dei trapper, che viaggiavano in terre sconosciute senza utensili e cucinavano quello che si procuravano in natura, cuocendo sul fuoco. Era una cucina semplice ed essenziale, naturale, quella che oggi si potrebbe definire ancestrale. Gli stessi principi cui ci ispiriamo noi oggi. Per esempio, nell’impiattamento, nel modo di presentare, nelle porcellane, nell’arredamento. Cuociamo tutto alla brace, esattamente come il trapper, ma non facciamo percepire l’affumicato, lo manteniamo in sordina perché non sovrasti i sapori che sono intensi decisi. Manteniamo le cotture lunghe su fondi e salse, ma le carni sono cotte sempre in maniera espressa, sempre al sangue. Cerchiamo di esaltare il sapore della selvaggina, vogliamo si percepiscano le differenze».

I tavoli del ristorante sono stati creati appositamente per la sala da un artigiano toscano scelto per il suo impiego di materiali naturali come il legno d’olivo e lo stagno. Il suo modo di riempire le fessure del legno come nell’arte del kintsuji orientale fa sì che i tavoli, uniti tutti insieme, disegnino un intreccio di vene e linee come corsi d’acqua. Ogni tavolo è parte di un mosaico che rappresenta la terra brianzola, e il tavolo di accoglienza all’ingresso del ristorante rappresenta il corpo di una Venere. Agli angoli della sala completano l’arredo dei “soprammobili organici”, ovvero dei barattoli con ortaggi in salamoia e fermentati.

Il concetto di sostenibilità così presente nella filosofia di Gorw non si limita solo all’attenzione ambientale, ma coinvolge anche la sfera del sociale: i fratelli Vergine hanno stretto nel 2022 una collaborazione con la Regione Lombardia e varie associazioni di volontariato per cui una parte del terreno è diventato un orto collettivo al cui mantenimento provvedono persone disagiate, affette da disabilità o ex detenuti in cerca di occupazione. (14-continua)