Tecnologia della visione notturna

Dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni ʼ90, giunsero sul mercato europeo grandi volumi di dispositivi per la visione notturna e componenti per essi; diventava finalmente possibile acquistarne uno senza dover investire una piccola fortuna. 

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Paracadutista tedesco della divisione multinazionale, sull’elmo gli occhiali di visione notturna Simrad GN 1, sul G36 il mirino Hensoldt-NV NSA 80

Le attività di ricerca e sviluppo in fatto di visione notturna richiedono ingenti risorse; una delle ragioni di ciò è costituito dal fatto che, fino a poco tempo fa, l'impiego di questi dispositivi era appannaggio quasi esclusivo delle forze armate.

Gradualmente iniziarono a essere prodotti anche in occidente degli NVD (acronimo dell’inglese “night vision device”, dispositivi di visione notturna) più moderni destinati alle diverse categorie d’impiego, quali cacciatori, naturalisti o forze di sicurezza dello Stato. Con questo articolo ci proponiamo di gettare un po' di luce nell’oscurità, dato che i neofiti sono spesso colti da un leggero smarrimento quando, navigando sui siti dei produttori, studiando le Brochure o sentendo parlare i rappresentanti alle fiere, colgono termini quali "prima o seconda generazione", "Super Gen.", "intensificazione della luce", "XD4, XR5"… L’ottimismo iniziale, naturalmente, è prontamente sfruttato: nelle trattative commerciali, molti distributori interpretano le tecnologie o le normative vigenti talvolta in maniera bizzarra. C’è bisogno di far chiarezza.

Luce e vista. Come le onde radio o le radiazioni termiche, anche la luce è una radiazione ondulatoria elettromagnetica con campi di frequenza, ovvero lunghezze d’onda definiti. La gamma di lunghezze d’onda della luce visibile all’occhio umano spazia da circa 350 a 780 nanometri.  A seconda della frequenza, la luce assume colori differenti. Escludendo grotte e foreste, in natura esiste sempre, anche dopo il tramonto del sole, una certa quantità di luce.

Si tratta della cosiddetta luce notturna, prodotta dai corpi celesti, come il sole riflesso dalla luna e le stelle, oppure, nelle aree abitate, dall’illuminazione stradale, dalle case o dalle auto in movimento.

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Anche se la notte è illuminata (se si rende visibile questo campo di spettro), le aree abitate o quelle in prossimità di strade lo sono chiaramente di più. I dispositivi di visione notturna si dovrebbero quindi testare sempre nelle stesse condizioni

La maggior parte di queste radiazioni luminose non sono percepite dall’occhio umano, poiché rientrano nel campo di frequenza degli infrarossi con lunghezze d’onda oltre 780 nm. Quando per noi "cala il buio", il volume di radiazioni elettromagnetiche effettivamente esistenti diminuisce in maniera solo trascurabile. In realtà è "giorno anche di notte", solo che noi non lo vediamo. I dispositivi NV sfruttano la luce notturna naturale per creare, per i nostri occhi, una rappresentazione dell’ambiente circostante.  

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Un monoculare Night-Tronic 940

La struttura. La struttura dei dispositivi NV è composta da 3 gruppi di componenti fondamentali: l’obiettivo (la lente anteriore) e l’oculare (la lente posteriore) sono componenti ottici, mentre i tubi convertitori o intensificatori di immagini sono elettronici, ecco perché si parla anche di "dispositivi optoelettronici". (Nota: la tecnologia d’intensificazione di immagini digitale, o tecnologia CCD, è ancora agli albori e non sarà trattata in questa sede). Le lenti di questi obiettivi sono progettate per consentire la migliore trasparenza sia alla luce visibile, sia alla luce IR (oltre i 780 nm). 

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Un dispositivo disponibile dalla 2° generazione in sezione. L’obiettivo lascia passare anche onde oltre 780 nm e proietta l’oggetto sul fotocatodo. Gli elettroni vengono “gettati” sullo schermo al fosforo dalla MCP, lì convertiti nuovamente in immagine elettronica, che viene ingrandita dall’oculare
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Il Night-Tronic 941 è un visore monoculare leggero, che è possibile trasformare in sistema binoculare integrando lo stesso con un secondo modello identico attraverso un ponte di collegamento. È disponibile con tubi Gen 2 (2 S CG, 2+ Ultra) o con tubi conformi alle specifiche militari (XD 4 o XR 5)

L’obiettivo cattura le informazioni sull’immagine illuminata dalla luce notturna e restituisce un’immagine nitida sulla parte anteriore dell’intensificatore; come sui binocoli o i cannocchiali, è presente un sistema di messa a fuoco in relazione alla distanza degli oggetti osservati. L’oculare ingrandisce ulteriormente la piccola immagine sullo schermo posteriore del tubo intensificatore. La regolazione della nitidezza oculare consente, come per il binocolo, una certa correzione della messa a fuoco. In questo caso si parla di equilibratura delle diottrie, che non deve essere inferiore a più/meno tre diottrie.

In caso di oculare singolo si parla di visione monoculare, se gli oculari sono due, invece di visione bioculare. Da qui, il sistema di denominazione dei rispettivi dispositivi. La visione tridimensionale si ha però soltanto con dispositivi NV dotati di due obiettivi, tubi e oculari. In questo caso si parla di visori binoculari o semplicemente di "Binoculari". 

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Un tubo intensificatore di immagini V8C di costruzione attuale russa, impiegato nella stragrande maggioranza degli strumenti ottici Gen 1

Tubo intensificatore di immagini: anche denominato IIT (dall'inglese "Image Intensifier Tube"), il tubo converte l’immagine non visibile a occhio nudo, in modo da consentire il riconoscimento dettagliato della stessa. Affinché ciò avvenga, l’immagine ottica è prima convertita in un flusso di elettroni. Questo fascio elettronico è intensificato attraverso l’apporto di energia elettrica ad alta tensione e, similmente a come accade in un tubo catodico televisivo, riconvertito in un’immagine ottica visibile. I principi di questa tecnologia si basano sul brevetto ottenuto nel 1934 in Germania dal Dr. Schaffernicht e trovarono impiego pratico già a partire dalla metà degli anni ʼ30: a marzo del 1945 furono registrati oltre 4.000 dispositivi NV (soprattutto destinati alle autovetture) in servizio presso le forze armate tedesche, nonché 200 dispositivi del tipo “Vampyr”. Sulla scia dei progressivi sviluppi tecnologici, nei decenni successivi si iniziò a categorizzare i singoli tipi di tubo in base alle caratteristiche tipiche e nacque così il concetto di "Generazioni".

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Uno dei primi tubi Gen 0, impiegato nello Snooperscope montato sulla carabina M3 calibro .30-M1 usata nella Seconda guerra mondiale e in Corea

Generazione zero: un rivestimento chimico sensibile alla luce (argento, ossido di cesio) ricopre la parte anteriore del tubo IIT, detta fotocatodo. Perciò, quando l’immagine ottica è focalizzata dall’obiettivo sul fotocatodo, i fotoni che la compongono colpiscono gli elettroni dalla parte posteriore del fotocatodo e, come in una cella solare, l’immagine ottica è convertita in elettroni. In questo modo si perde l’informazione relativa ai colori. Tra il fotocatodo e il componente adiacente, l’anodo conico, c’è alta tensione. La tensione accelera gli elettroni attraverso il tubo conico, subendo un’inversione (si parla di lente elettrostatica poiché, come in una lente ottica l’immagine è capovolta) per poi impattare sulla parte posteriore del tubo (“schermo”). 

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Lo Agfa Fero 51 è un convertitore di immagini Gen 0; è un 6x attivo, e per funzionare necessita di una potente sorgente di luce IR (l’enorme riflettore montato sopra all'apparecchio)

Lo schermo è rivestito di fosforo addizionato ad atomi di zinco e cadmio; gli elettroni “eccitano” il rivestimento al fosforo, restituendo un’immagine ottica monocromatica. Il colore verde è, tra tutti quelli dello spettro luminoso, quello meglio percepito dall'occhio umano; ciò significa che tra tutti i colori siamo in grado di riconoscere le tonalità del verde anche di minima intensità e distinguiamo perfettamente le sue sfumature. 

Quindi gli schermi al fosforo sono dotati di sostanze chimiche, che alla comparsa dei fasci elettronici si illuminano in verde.

Per la generazione 0 è assolutamente necessaria una fonte di luce a infrarossi con lunghezza d’onda da 600 a 1000 nm, per consentire l’illuminazione supplementare “invisibile” dell’ambiente circostante, per cui in questo caso si parla di dispositivi NV “attivi”. A voler essere rigorosi, non si tratta di intensificazione della luce residua, bensì di una semplice conversione delle immagini.

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Paracadutisti in assetto di lancio HALO con autorespiratore, visore notturno sul casco e parecchi chili di equipaggiamento e dispositivi high-tech sul torace
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Il binocolo NOX B3 della Night Owl Optics è un modello civile economico (sotto i 1000 euro) a tre ingrandimenti, con tubi di prima generazione. Il LED IR attivabile mediante interruttore è posizionato tra gli obiettivi

Oggi l'utilità tattica dei dispositivi di questo tipo è piuttosto scarsa, poiché la fonte di luce IR è facilmente localizzabile dai nemici. Lo svantaggio principale nell’impiego civile è ancora costituito dalla necessità di una fonte di luce IR efficiente. A parte questo, i dispositivi di questa generazione continuano a offrire un’eccellente risoluzione d’immagine e contrasto. Più è buio e meglio si comportano questi apparecchi dei tempi del loro fondatore, rispetto ai moderni dispositivi NV.

Secondo gli standard odierni i tubi Gen.0 sono obsoleti, anche se con un’illuminazione supplementare possono offrire ancora ottime prestazioni. I tubi sono sensibili alle radiazioni luminose forti e anche la loro durata è molto breve, alcune centinaia di ore di funzionamento.


Prima generazione: Rispetto alla generazione 0 i dispositivi della prima, abbreviati con “Gen. 1”, praticamente non presentano alcuna differenza in termini strutturali. Solo il fotocatodo è realizzato in maniera differente, già come elettrodo a multi-alcali, e oltre all'argento e al cesio contiene metalli alcalini come il potassio e il sodio. L'efficienza dei fotocatodi alcalini, che emettono un numero maggiore di elettroni a parità di fotoni, risulta ovviamente molto superiore.

L’intensificazione d’immagine attraverso l’accelerazione elettrostatica ha i suoi limiti. Già comune e noto negli anni ʼ70, il collegamento in serie di più tubi consecutivi consente di ottenere immagini più chiare; lo schiarimento però, va a discapito di nitidezza e contrasto. Uno dei più noti rappresentanti di questi dispositivi con collegamento in serie è il congegno di puntamento “Starlight” (AN/PVS-1 e 2), impiegato dalle truppe USA durante il conflitto in Vietnam. Gli schermi al fosforo P-20 ottimizzati della 1° generazione sono più sensibili al fascio elettronico e garantiscono quindi una migliore qualità d’immagine.

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In condizioni di luce ideali, anche i dispositivi Gen.0 e 1 possono restituire immagini eccellenti; in questo caso, la notte era rischiarata da un quarto di luna

Se è presente sufficiente luce ambientale, non è necessaria alcuna illuminazione supplementare per i dispositivi Gen. 1. I tubi IIT Gen 0 e 1 si contraddistinguono perché per un breve periodo dopo lo spegnimento conservano una luminescenza residua causata dalla carica dell’anodo conico, che si comporta come un condensatore e consuma la sua carica solo gradualmente. La massima sensibilità per questo genere di dispositivi, cioè il loro migliore intervallo di funzionamento, è tra 750 e 800 nm; tale valore corrisponde al campo di lunghezza d’onda ottimale per un’illuminazione supplementare. I tubi Gen. 1 e 1+ (dotati di fascio in fibra di vetro invece che di vetro sul tubo) sono ormai considerati obsoleti.

Per la loro struttura, i tubi IIT della generazione 0 e della 1° emettono raggi X più o meno forti, cosa che ha indotto le autorità USA a imporre limitazioni al loro impiego sin dai tempi della prima immissione sul mercato libero dei modelli di Surplus ex-sovietici. Approfondite analisi e ricerche sono attualmente in corso anche sulle emissioni di raggi X dai tubi IIT più recenti.

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Un visore notturno binoculare 910, di fatto una versione civile dello NVD AN/PVS 7 statunitense, con due aggiuntivi ottici “Booster”, set di lenti di ingrandimento ausiliari che portano l'ingrandimento nativo dell'apparecchio rispettivamente a 3x e 5x

Seconda generazione: A metà degli anni ʼ70 una svolta tecnologica rese possibile la realizzazione di una generazione di tubi IIT in grado di garantire prestazioni fino ad allora impensabili. L’anodo conico delle Gen.0 e Gen.1 fu sostituto dalla cosiddetta MCP ("Micro-Channel Plate", piastra a microcanali): una piastrina in vetro del diametro di circa 18 mm dotata di milioni (!) di canali paralleli e inclinata di circa 8 gradi rispetto all’asse del tubo. Nei primi MCP i canali erano “solo” un milione circa, divenuti oltre 10 milioni in quelli più recenti.

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Il caschetto per sostenere il dispositivo di visione notturna all’altezza degli occhi. Il monoculare Night-Tronic 941 può anche essere tenuto in mano per essere portato agli occhi all’occorrenza

Se anche un solo elettrone entra in uno di questi canali, toccando le sue pareti cariche, esso causerà una cascata di elettroni, “strappandoli” dalle pareti. L'effetto d'intensificazione è molto superiore rispetto alla Gen.1 nonostante la bassa carica d'accelerazione, dato che gli elettroni che costituiscono l’immagine non sono solo accelerati, ma anche efficientemente aumentati (fattore di intensificazione da 100 a 1000 volte). Questi tubi sono più compatti, e in virtù della minore distorsione e della bassa tensione restituiscono un’immagine più fedele (a causa della messa a fuoco “di prossimità”) ed emettono meno raggi X. L’ottimizzazione delle prestazioni di intensificazione delle prime versioni, tuttavia, ha avuto effetti negativi sulla risoluzione: l’immagine è “puntualmente” intensificata e, in termini di pixel, si vede come una foto di giornale – più sono i fori nella piastra MCP, migliore è la qualità dell’immagine. La robustezza meccanica dell’MPC però ne risulta diminuita. Inoltre questi tubi, in caso di luce notturna insufficiente, restituiscono una “tempesta di neve” come nelle immagini televisive della peggiore qualità.

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Un'immagine ripresa nell'oscurità pressochè totale attraverso un monoculare militare statunitense AN/PVS 14 con tubo Gen III Omni IV

I tubi più moderni sono dotati di schermi al fosforo S20 ulteriormente ottimizzati. Il limite di saturazione della MCP, in termini di prestazioni di intensificazione, costituisce un’efficace protezione contro la bruciatura. Per ottenere ciò sono stati integrati elementi di protezione nell’elettronica di controllo, che riducono il livello di prestazioni in caso di luce eccessiva (regolazione automatica della luminosità “ABC” — automatic brightness control). L’intervallo di funzionamento è tra 780 e 850 nm.

Successivamente, la tendenza fu quella di rendere il fotocatodo dei tubi IIT più sensibili alla luce con lunghezze d’onda più ampia. Dato che si tratta della quota di gran lunga maggiore delle radiazioni elettromagnetiche esistenti in natura, lo sfruttamento di questo campo dello spettro si traduce in una qualità d’immagine sempre migliore. 

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In una piastra a microcanali (MCP - Micro Channel Plate) ci possono essere molti milioni di minuscoli canali, un marchio di riconoscimento a partire dalla 2° generazione. In questo modo gli elettroni che urtano dappertutto all’interno del tubo vengono accelerati e moltiplicati

Lo MCP dei cosiddetti Tubi Gen 2+, rispetto a quelli della 2° generazione, sono dotati di un numero di canali considerevolmente maggiore, normalmente 4 milioni e anche di più. L’inclinazione ottimizzata di questi canali combinata con un migliore rivestimento del fotocatodo, abbreviato con S-25, consente immagini migliori e meno “rumoreggiamenti”; inoltre insieme al migliorato rivestimento al fosforo dello schermo permette di ridurre la durata dei tempi di luminescenza residua. Per la prima volta, venne integrata anche una protezione per il “sovra-abbagliamento” che rende possibile l’osservazione contro fonti di luce chiara, senza la quale l’intera immagine si oscurerebbe. Nei tubi Gen 2 Super si trova il fotocatodo detto “S20R”. La “R” sta per “redshift”, cioè la sensibilità, rispetto ai normali fotocatodi S20 è ancora più spostata nel campo degli infrarossi.

In Europa si proseguì quindi su questa strada    ‒ MCP con fino a 12 milioni di canali, rivestimenti ottimizzati e un’elettronica di regolazione sempre più sofisticata ‒ mentre negli USA lo studio si volse altrove.

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Secondo i dati del produttore, il CML 4-M, con i suoi soli 235 g di peso, dovrebbe essere il visore notturno monoculare più leggero in commercio. Alla sua destra il dispositivo di ingrandimento CML 2,5x e la compatta lampada a riflettore a infrarossi CML 207

Terza generazione: Già a partire dal 1982 negli Stati Uniti si effettuarono esperimenti con tubi IIT dotati di fotocatodo a semiconduttore. Infatti, la caratteristica tipica dei tubi della 3° generazione, prodotti solo negli USA, in Russia e in Giappone, è costituita dal rivestimento in arseniuro di gallio (GaAs) del fotocatodo. Tale rivestimento sposta ulteriormente la sensibilità del tubo verso gli infrarossi, tra 780 e circa 920 nm. I rappresentanti più moderni di questa tipologia non sono neanche più dotati del vecchio P-20, bensì di uno schermo al fosforo P-43. Il sensibile rivestimento GaAs deve essere protetto da una pellicola di ossido di alluminio per garantire la durata desiderata compresa tra 5000 e 10000 ore di esercizio. Purtroppo questa barriera di ioni riduce leggermente l’efficienza dei fotoni del fotocatodo. L'esportazione di tutti i tubi Gen 3 prodotti negli Stati Uniti è soggetta a rigorose direttive imposte dal Governo federale, e sono praticamente impossibili da reperire legalmente al di fuori degli USA. Tubi molto buoni con un FOM (cifra di merito) pari a 1600 e oltre non possono essere esportati, (FOM è il prodotto tra risoluzione in linee per mm e rapporto segnale/rumore). All’interno della 3° generazione le “classi OMNI” servono a distinguere i diversi livelli prestazionali; la classificazione va dalla OMNI I del 1982 fino alla OMNI VIII.

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Le forze armate tedesche impiegano l’“Arctic Warfare”.50 BMG della Accuracy International come arma per tiratori scelti “G 24” , con ottica Hensoldt-ZF 3-12x56 SSG e dispositivo di visione notturna NSV 80


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Lotti di Night-Tronic 940 pronti per la spedizione. La IEA di Nagold produce questi dispositivi secondo specifiche proprie, anche con tubi XD 4 e XR 5
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Un tubo intensificatore di immagini DEP - Photonis XX2540, basato sulla tecnologia XR 5

Quarta... o ancora no: Il noto produttore statunitense ITT, qualche anno fa cercò, senza successo, di ottenere una classificazione ufficiale di “4° generazione” per un tubo con struttura speciale. Il progetto naufragò perché la commissione di classificazione ritenne troppo esiguo l’aumento del livello delle prestazioni, così come il potenziale innovativo. Nei tubi di questo tipo il rivestimento protettivo in ossido di alluminio è estremamente sottile o solo parziale (thin film - pellicola sottile), o addirittura assente (filmless - senza pellicola). La maggiore efficienza fotonica e anche le basse perdite di assorbimento si traducono nell’ottimizzazione delle prestazioni, rispetto ai normali tubi della Gen 3.

Per ottenere tempi idonei alle applicazioni oppure ottimizzarli nonostante la mancanza della protezione, il tubo è stato temporizzato. Pertanto non è sempre in funzione, ma solo per frazioni di secondi (“Autogating”). L’occhio umano non lo percepisce data l’elevata frequenza di temporizzazione. Neanche i tubi “dotati di gate” sono idonei per la luce solare, ma presentano solo una maggiore tolleranza a fonti di luce di forte intensità, in termini di durata ed effetti di disturbo per l’immagine.


La storia della X: XD 4, XR 5, Mil-Spec… nelle pubblicità e negli articoli tecnici troviamo anche queste abbreviazioni.

Si potrebbe dedurre che nel caso della XD 4 si tratta di un tubo della quarta e nel caso XR 5 di uno della 5° generazione e così via.

Di conseguenza un XH 72 sarebbe un tubo della 72° generazione — a questo punto è chiaro che dietro queste denominazioni si cela un significato diverso: si tratta infatti di classificazioni di qualità per i tubi Gen 2 del produttore europeo Photonis.

“Mil-Spec” significa che il tubo è conforme alle specifiche militari, che quasi sempre sono molto rigide.

I tubi “CG” (commercial grade) sono prodotti secondo specifiche militari, ma a causa di qualche difetto di fabbricazione, ad esempio macchie nere, non sono più conformi. XR 5 invece corrisponde, come prestazioni, a un tubo americano OMNI-V.

Da quando digitali? L’intensificazione d’immagine digitale è ancora agli albori, così come il rivestimento in nanoparticelle. Solamente la tecnica per la produzione del calore sembra fare dei progressi, consentendo di realizzare convertitori di immagini della grandezza di un pugno. Probabilmente il futuro sta nella combinazione delle tecniche di imaging.

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Una PDW (Personal Defence Weapon, arma di difesa personale) FN P90 in calibro 5,7x28 mm, equipaggiata per l'impiego notturno. La canna spara, la lampada SureFire illumina... ma il raggio del puntatore laser IR a destra è visibile solo quando si utilizzano occhiali per visione notturna!

Notti bianche: per alcuni tipi di attività di osservazione la luce notturna disponibile non è sufficiente. In questo caso scatta l’ora dell’“invisibile” illuminazione supplementare a infrarossi. L’illuminazione IR migliora le prestazioni di osservazione anche dei dispositivi di visione notturna meno performanti — un dispositivo Gen 1 con una buona illuminazione IR può superare uno Gen 3. Per sfruttare al meglio il potenziale della combinazione di NVD e illuminazione IR è necessario armonizzare i componenti, tenendo in considerazione le specifiche condizioni base delle finalità d’impiego previste. In linea di principio sono disponibili tre tipi di dispositivi di illuminazione: lampade a riflettore o torce elettriche dotate di filtro, speciali lampade a infrarossi con LED o laser IR.

La luce di una lampada a incandescenza anche in caso di tecnologie che coinvolgano xeno, kripto o altro, è prodotta dall’accensione di un filamento incandescente attraversato da corrente. Questa tecnologia trasforma solamente una piccola percentuale della potenza elettrica nella luce visibile; il resto si dissolve in calore. Idonei filtri davanti alla lampada lasciano passare solo un determinato campo dello spettro, lo stesso fanno i filtri IR con una parte più o meno limitata dello spettro degli infrarossi. Con un filtro adatto, praticamente qualsiasi lampada tradizionale con tecnologia a incandescenza può fornire la “giusta” luce a qualsiasi NVD, quindi con qualsiasi spettro di frequenza, in cui opera il tubo. La difficoltà però sta nel trovare un filtro idoneo e montarlo nella lampada o sulla stessa in maniera corretta.

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Come le moderne torce elettriche, le lampade a riflettore IR si accendono sulla parte anteriore dove è possibile anche regolare la luminosità mediante, ad es. un regolatore rotativo. Nella maggior parte dei casi le batterie al litio (3 Volt, tipo CR 123) si trovano nel corpo lampada; solo la piccola lampada a riflettore della Peli (estrema destra) è dotata di quattro batterie a bottone

Se si vuole utilizzare una lampada tipo SureFire o equivalente solo come fonte di luce IR, è più adatto un filtro integrato tra il riflettore e la piastra anteriore rispetto a uno mobile o pieghevole. Date le possibili elevate temperature, il filtro dovrebbe essere di vetro e non di plastica, che potrebbe sciogliersi e inoltre presenta peggiori proprietà di passaggio della luce. I filtri economici spesso lasciano passare anche luce in campi di frequenza vicini all’infrarosso. Pertanto, l’uscita spesso si illumina di rosso intenso e ciò comporta il pericolo di essere scoperti. Dato che in presenza di un filtro il campo di illuminazione è scarso (dal 50 al 66% circa, rispetto al funzionamento senza filtro), sarebbe opportuno optare per una lampada potente. In questo modo, anche col filtro, è possibile illuminare aree con ampiezza di oltre 100 m.

Le torce elettriche a LED sono difficilmente utilizzabili in presenza di filtri IR. Il loro elevato livello di efficienza è reso possibile anche grazie al fatto che non generano radiazioni IR o termiche, ma soltanto luce visibile. Di conseguenza, i filtri sono pressoché inutili e si dovrebbe scegliere una torcia dotata di LED IR.

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Un monoculare Night-Max M 5, con una coppia di illuminatori IR: al centro la lampada a LED IR Night-Fire 3, a destra il Laser-Fire 3 con Dimmer integrabile come luce supplementare

Lampade a LED a infrarossi: In virtù della loro struttura i LED emettono luce in una banda di frequenza molto ristretta. Una lampada a diodi IR, pertanto, si deve utilizzare solo come fonte IR e non anche come normale lampada. Il vantaggio: a parità di prestazioni, rispetto alla lampade con filtro, quelle a diodi IR sono considerevolmente più compatte. Le luci a LED a fuoco fisso senza cono di luce regolabile sono più economiche rispetto alle lampade a fuoco regolabile consigliate, con cui è possibile modificare il cono di luce in base alle esigenze — dalla semplice “illuminazione dell’area antistante” fino all’illuminazione più o meno precisa di oggetti lontani. Come le lampade a luce bianca con filtro, anche le luci a LED IR sono sicure per gli occhi, anche se non si dovrebbe guardare nel raggio.

Secondo l’esperienza, è sufficiente una potenza da alcune centinaia fino a 1000 Milliwatt. Il produttore, tuttavia, oltre allo spettro di frequenza di emissione, dovrebbe obbligatoriamente specificare se, per quanto riguarda le potenza, si faccia riferimento solo a quella assorbita dal diodo oppure a quella di irraggiamento misurata. Al contrario delle lampade a luce bianca leggermente “suscettibili” a riguardo, i LED IR sono veramente duraturi. Le ore di funzionamento pubblicizzate, che vanno da 50.000 a 100.000, si raggiungono solo in condizioni di laboratorio, ma anche in caso di temperature variabili e condizioni di utilizzo gravose i LED IR di buona qualità possono operare per qualche migliaia di ore e in questo intervallo consumano solo circa il 10-25% delle batterie rispetto alle “sorelle bianche”.

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Lampade di illuminazione per dispositivi NVD (da sinistra): Laserluchs (50 mW-Laser IR classe 1), una Streamlight NF 2 ( LED con filtro IR integrabile a monte), una Wolf Eyes “Sniper” con LED, una lampada a riflettore IR modificata con paraluce, la cui luminosità e messa a fuoco possono essere regolati, una lampada a riflettore a diodi IR CML 207 con interruttore rotante a tre posizioni e una piccola lampada a riflettore IR Peli per leggere le mappe di notte

Laser a infrarossi: questo terzo gruppo, sia per prestazioni che per compattezza e prezzo, si attesta al livello superiore e generalmente ricadono nel campo dei prodotti militari. Grazie alla loro ottica di espansione del fascio e al variatore di luminosità (dimmer) sono ideali per aree di grandi dimensioni e l’illuminazione di precisione. Le dimensioni dei laser disponibili sul mercato variano solo in maniera poco significativa per circa 30 mm in termini di diametro e 160 mm di lunghezza. I laser efficienti rappresentano un pericolo per il tubo del dispositivo e per gli occhi, perché, in frazioni di secondo, possono causare irreparabili macchie cieche nel rivestimento del tubo o bruciare la retina dell’occhio. Non è necessario alcun irraggiamento diretto, poiché bastano semplicemente riflessi dall’area circostante, dalla segnaletica stradale o dal fogliame bagnato nei dintorni. Cosa particolarmente insidiosa, la luce laser IR non si vede a occhio nudo e spesso i danni causati sono rilevati solo quando è troppo tardi. Un certificato relativo alla sicurezza dell’apparato visivo è assolutamente necessario (laser della classe 1), mentre un sistema di segnalazione, che indichi quando il laser è spento/acceso, utile. 

I laser sono meno adatti per l’illuminazione di vicinanza, l’espansione del fascio in alcune circostanze è moderata, cosa che può portare da un lato a un irraggiamento troppo selettivo e dall’altro (in mancanza di un variatore di luminosità), a fenomeni di abbagliamento. Dato che è possibile ottenere solamente un piccolo cono di 15 gradi, l’illuminazione di superficie dà risultati soddisfacenti solo a partire da distanze di 30 m.

Praticamente tutte le fonti di infrarossi hanno lo stesso problema, cioè la cosiddetta luce diffusa. Con questa definizione si intende una debole luce attorno al cono di luce effettivo. Gli oggetti vicini riflettono questa luce e causano effetti di abbagliamento o una densità di luce attorno all’osservatore, tale da far azionare i dispositivi di protezione dall’abbagliamento nel tubo intensificatore. In questo caso può essere di aiuto uno strumento ausiliario, il cosiddetto paraluce. Si intende un tubo in gomma, cartone o anche plastica sulla testa della lampada, che, a seconda delle esigenze, può essere da tre a cinque volte più lungo del diametro.