L’ABC delle munizioni: le diverse denominazioni dei calibri per pistola e fucile (prima parte)

Abbiamo voluto preparare una serie di articoli rivolti a chi si è appena avvicinato al mondo delle armi dal momento che, a giudicare dai messaggi che riceviamo, molti aspiranti tiratori o semplici curiosi ci pongono domande "facili" ma perfettamente legittime. Tutti noi in un momento della nostra vita non sapevamo che differenza ci fosse tra una cartuccia per pistola e una per carabina; quindi, non c’è nulla di male nel dedicare un po’ di spazio alle basi della nostra passione. Una delle domande più frequenti dei lettori riguarda la definizione del calibro, inteso sia in senso tecnico che di denominazione commerciale delle munizioni.

Etimologia del termine calibro

Nelle armi ad avancarica i proiettili e la carica di lancio si incontravano solo all’interno della canna. I proiettili in piombo venivano ricavati da stampi fondipalle.

La parola calibro deriva dal francese calibre, a sua volta presa dall’arabo qàlib che significa “forma, stampo”.  Nel linguaggio tecnico riferito alle armi da fuoco il calibro è la misura del diametro di un proiettile. Il concetto, per quanto semplice, è complicato dalle diverse unità di misura adottate nel corso degli anni e alle consuetudini, legate spesso alla cultura militare e venatoria locale. Non dimentichiamo poi che le munizioni sono prodotti industriali destinati al mercato; quindi, nella loro denominazione hanno grande importanza anche fattori commerciali e di marketing.

Per generalizzare, il calibro delle munizioni per pistola e carabina, escluse quelle britanniche e fatte le dovute eccezioni, è espresso con il sistema metrico decimale, mentre le munizioni di origine americana o inglese utilizzano il sistema metrico imperiale, che prevede, nel nostro caso, la misura in pollici, o meglio nelle sue frazioni. Un pollice corrisponde a 25,4 millimetri.

La struttura di una munizione moderna e la capacità del bossolo

Una munizione da pistola o da carabina è composta da quattro elementi: il proiettile (la parte che verrà proiettata sul bersaglio), il bossolo, una struttura tubolare che contiene il propellente, l’innesco, una capsula che quando viene percossa provoca l’accensione della polvere da sparo e infine la carica di lancio vera e propria. Il termine bossolo fa riferimento al periodo in cui le cariche di polvere nera venivano portate dagli archibugieri in piccole ampolle di legno di bosso.

Le componenti principali di una cartuccia moderna per pistola semiautomatica.

Anche se le munizioni sono solitamente battezzate con il diametro della palla come prima voce, questa misura in realtà dice poco sulla velocità, e quindi sull’energia cinetica del proiettile, che viene espressa in joule. L’energia cinetica (K) è rappresentata dalla formula K= ½ (m x v2) con m=massa del proiettile e v=velocità. Questo significa che la velocità del proiettile è molto più importante della sua massa per creare il totale dell’energia cinetica.

Facciamo un esempio: un proiettile dal peso di 10 grammi che viaggia a 400 metri al secondo ha un’energia cinetica di 800 joule. Se a parità di velocità raddoppiamo il peso del proiettile, il risultato sarà di 1600 joule, ovvero un valore doppio di quello di partenza. Ma se raddoppiamo la velocità quindi spingiamo alla velocità di 800 m/s il proiettile da 10 grammi, il risultato sarà di 3200 joule, quindi di quattro volte la situazione iniziale. Ecco, quindi, che il sistema migliore per ottenere più energia da un proiettile sta nell’aumentarne innanzitutto la velocità. Dal punto di vista pratico questo si può ottenere aumentando la quantità di propellente contenuto nel bossolo, ovvero la parte della cartuccia che funge da contenitore e che ospita la sede dell’innesco, solitamente realizzata in ottone. Valga l’esempio del .38 Short Colt, una delle prime cartucce per revolver che nasce nel 1851 con un bossolo lungo 19,4mm.  Nel tentativo di rendere la cartuccia più potente, il suo bossolo fu allungato a 26,2 mm e la nuova munizione fu chiamata .38 Long Colt. 

Una confezione di munizioni .357 Remington Maximum, estremo esempio di cartuccia ottenuta allungando il bossolo a oltranza.

Ma l’energia della cartuccia era ancora considerata insufficiente per un uso in combattimento, ed ecco che nel 1898 la lunghezza del bossolo viene portata a 29,3 mm. Nasce così il 38 Special, un calibro per arma a tamburo popolarissimo ancora oggi. Nel 1934 l’americano Elmer Keith allungò il bossolo della cartuccia alla quota di 33 millimetri e lo ribattezzò .357 Magnum (vedremo in seguito perché il numero è cambiato) creando un altro classico assoluto delle munizioni da revolver. Con questa cartuccia nasce anche il termine commerciale Magnum (in latino "grande") che indica munizioni dalla potenza superiore alla media. Ma non è finita: nel 1983 Remington e Ruger presentarono il potentissimo .357 Maximum, inventato da Elgin Gates con un bossolo lungo 40,8 mm. La differenza in termini di energia tra la prima e l’ultima di queste munizioni, accomunate dal diametro della palla, è spettacolare: si va dai circa 245 joule di energia del .38 Short Colt (con palla da 129 grani) ai 1.900 joule di una .357 Maximum con palla da 158 grani. Quindi il solo diametro nominale della palla non è sufficiente a quantificare l’energia di una munizione. Il discorso vale anche e soprattutto per le munizioni da carabina, dove a parità di diametro della palla troviamo bossoli dalla capienza ancor più variabile, con un ventaglio prestazioni energetiche ancora più ampio.

Calibri per fucile a canna liscia, una misura che viene da lontano

Cartucce da tiro per fucile a canna liscia in calibro 12/70. La denominazione delle munizioni spezzate segue regole particolari.

Altro discorso è quello che riguarda le munizioni a canna liscia: qui il calibro è espresso con un numero (12, 20, 16 eccetera) che equivale al numero di sfere dal diametro pari a quello della canna, che possono essere ricavate da una libbra di piombo (una libbra corrisponde a 453,592 grammi). Si tratta di un sistema di misura che oggi è anacronistico, ma che aveva un senso agli albori dell’uso militare delle armi, quando le palle per i moschetti venivano prodotte anche sul campo di battaglia dagli armaioli di reparto. Sapere quanti proiettili si potevano ricavare da una data quantità di piombo, magari razziato al nemico, rappresentava un vantaggio tattico non indifferente. Ora questo modo di misurare il calibro non ha più senso pratico, ma è rimasto nell’uso comune e ben difficilmente sarà soppiantato. Tradotto in millimetri il diametro di una canna in calibro 12 con foratura standard è di 18,5 millimetri, quello di una in calibro 20 è di 15,6 mm e quello di una in calibro .36 è di 12,8 mm. Tuttavia, anche nel calibro 12 si è agito sulla capienza del bossolo allungandolo, quindi a parità di diametro possiamo aver cartucce più corte o più lunghe (e potenti) e in questo caso la lunghezza del bossolo è indicata in millimetri nei paesi europei e in pollici in quelli anglosassoni.  Il calibro 12 standard si chiama anche 12/70 (mm) oppure 12/2” e ¾ mentre il 12 Magnum si chiama 12/76 (mm) e in inglese diventa 12/3”. Il calibro 12 Super Magnum, infine, può essere indicato come 12/89mm oppure 12/3 ½. Altra consuetudine entrata ormai nel linguaggio balistico vuole che il calibro dei fucili a canna liscia sia espresso in inglese con il termina gauge mentre per le munizioni per canne rigate si usa il termine caliber.

La denominazione delle cartucce europee

Una scatola di cartucce calibro 9x21 e una di 9 Luger, detto anche 9 Parabellum. Quest’ultimo è del tutto legale sul mercato civile italiano solo da quest’anno.

Per non essere pedanti ci limiteremo ad alcuni esempi di calibri per carabina e pistola ben conosciuti. Partiamo dal 9 Parabellum, ideato da George Luger nel 1902. Questa cartuccia ha la palla dal diametro di 9mm e una lunghezza del bossolo di 19 mm; quindi, si può trovare indicata anche come 9x19 oppure come 9 Luger. Tutte queste definizioni sono esatte e intercambiabili. La denominazione “Parabellum” deriva dalla frase in latino “Si vis pacem para bellum” ovvero “Se vuoi la pace, preparati alla guerra” che era il motto della DWM (Deutsche Waffen und Munitionsfabriken) l’azienda di Berlino che produsse le prime pistole Borchardt e Luger, anche quest’ultima chiamata per estensione Parabellum. In Italia fino al 2022 il calibro 9 Parabellum era considerato “da guerra” e proibito nelle armi corte semiautomatiche sul mercato civile: certamente la sua denominazione commerciale, che richiamava l’uso bellico non l’ha aiutato a sfuggire dalle maglie della burocrazia più paranoica. Ci fermiamo qui perché questa digressione rischia di portarci lontano dall’argomento di partenza.

La denominazione della cartuccia per carabina 5,6x61 Vom Hofe Super Express lascia ben poco spazio all’immaginazione. (foto Roberto Allara).

Dicevamo che tutto sommato i calibri europei espressi in sistema metrico decimale sono abbastanza facili da comprendere: il primo numero è generalmente il diametro della palla in millimetri, il secondo, se c’è indica la lunghezza del bossolo. Spesso al posto del secondo numero troviamo il nome dell’inventore o dell’azienda produttrice, oppure un marchio commerciale, un aggettivo o entrambi. Possiamo citare qui il 9 Glisenti o il 7,63 Mauser e l’8 Lebel. Le denominazioni dei calibri europei possono essere anche piuttosto impegnative: prendiamo il 5,6x61 Vom Hofe Super Express, che ci rivela il diametro della palla e la lunghezza del bossolo in millimetri, il cognome del suo creatore (il berlinese Ernst August Vom Hofe) e per ulteriore chiarezza aggiunge due termini che alludono alla straordinaria velocità del proiettile.

Non mancano eccezioni: il .338 Lapua Magnum, ad esempio, deve la sua denominazione in frazioni di pollice al fatto di essere stato sviluppato dalle finlandesi Sako e Lapua in collaborazione con la britannica Accuracy International.

Due diverse cartucce calibro .450 3” (n°2). Questa munizione fu prodotta in Inghilterra con tre lunghezze di bossolo: 2 3⁄8, 3 e 3 1⁄4 pollici. (foto Roberto Allara).

Parliamo ora delle cartucce inglesi sviluppate tra la metà e la fine dell’Ottocento. Molte sono accomunate dal lungo bossolo cilindrico e dal calibro importante, poiché la ricerca era molto influenzata da quella che ai tempi era l’arma lunga d’ordinanza dell’esercito britannico, ovvero il fucile monocolpo Martini Henry a blocco cadente. Il termine inglese Express fu molto popolare nell’Ottocento, secolo di innovazioni tecnologiche, per denominare le munizioni particolarmente potenti e allude ai treni espressi, che potremmo paragonare a quelli ad alta velocità di oggi. 

Quindi l’aggettivo Express, spesso unito a “Nitro” che indicava una munizione caricata con propellente a base di nitrocellulosa (quindi la più potente polvere infume) veniva usato per indicare cartucce di elevata potenza destinate alle battute di caccia nelle colonie britanniche. Un esempio su tutti, il celebre .600 Nitro Express, dove .600 è il diametro della palla in millesimi di pollice. 

Nel caso del .600 Nitro la lunghezza del bossolo non è indicata, mentre in altri calibri analoghi, come il .450 Nitro Express 3” (ovvero 3 pollici) questa fa parte della denominazione completa e serve a distinguerla da cartucce simili ma con bossolo più lungo o più corto come appunto il .450 Nitro Express 3”1⁄4. Curioso notare come nella seconda metà dell’Ottocento i proiettili veloci venissero paragonati ai treni, mentre oggi i treni ad alta velocità, nel parlare comune di molti paesi vengono definiti “treni proiettile”.

Per il resto i calibri di provenienza britannica pongono pochi problemi nell'identificazione poiché nella maggior parte dei casi seguono lo schema diametro palla/produttore. Tra questi citiamo a caso .375 Holland & Holland, .416 Rigby, .455 Webley, .505 Gibbs, Fa eccezione il .38/200 per la rivoltella d'ordinanza Webley, dove il secondo numero alludeva al peso della palla in grani.

Nella cartuccia britannica .38/200 il primo numero indica il diametro della palla in centesimi di pollice, il secondo il suo peso in grani. 200 grani equivalgono 12,95 grammi (Foto Oleg Volk).

Sinonimi e differenze geografiche

Ma non tutto fila così liscio: prendiamo tre calibri da pistola come che in Europa chiamiamo rispettivamente 6,35 Browning, 7,65 Browning e 9 Corto: furono creati tutti e tre da John Moses Browning, i primi due per la FN di Herstal, in Belgio e il terzo per la statunitense Colt: sul mercato americano sono noti tutti e tre come .25 ACP, .32 ACP e .380 ACP, dove ACP sta per Automatic Colt Pistol indicando che erano destinati a essere sparati in pistole (semi)automatiche della Colt. Certamente la diversa denominazione nasce dalla necessità di far comprendere in modo più immediato la natura dei calibri a una platea di utenti a loro agio con piedi, yarde e pollici. Curiosamente, il 9 Parabellum è sfuggito almeno in parte a questa logica di ribattezzare i calibri, e nella consuetudine americana viene chiamato semplicemente 9mm. Occasionalmente ci è capitato di leggere su qualche sito americano la definizione 9 NATO, tutto sommato coerente. Come se non ci fosse già abbastanza confusione, a volte sono le lingue a complicare le cose: il calibro 9x23 Bergmann fu adottato dall’esercito spagnolo nel 1905 insieme alla pistola Bergmann Bayard e in seguito fu camerato in altre armi. Ebbene, per distinguerlo fu ribattezzato 9 Largo, e in spagnolo “largo” in realtà significa “lungo”…

Una confezione di cartucce calibro 9 Largo (9 Bergmann-Bayard) prodotte alla metà del secolo scorso dalla Fabrica Nacional Palencia in Spagna.
Una pistola QS Armi 107 in calibro 7 Penna, uno dei pochi a portare un nome italiano, in questo caso del suo inventore, Leonardo Penna.

I calibri da pistola “Italiani”

La Uzi Defender, versione semiautomatica della pistola mitragliatrice israeliana Micro Uzi fu la prima arma catalogata in calibro 9x21 a essere venduta sul mercato italiano.

Veniamo ora ai calibri che nascono per precisi motivi legati a leggi locali. Il primo e più evidente caso che abbiamo sotto gli occhi da sempre è il 9x21, nato in Italia nel 1980 su iniziativa di Erasmo Giordano e Armando Piscetta. Dal momento che il 9 Parabellum era proibito ai civili, i due decisero di aggirare l’ostacolo sviluppando una munizione che di fatto avesse le stesse prestazioni del “micidiale” 9x19 ma che non ne permettesse l’intercambiabilità. Svilupparono così una cartuccia con bossolo lungo 21 mm ottenuto accorciando di due millimetri quello del 9 Steyr (9x23). Il 9x21 è noto anche come 9x21 IMI poiché lo sviluppo finale della cartuccia fu curato dalla Israeli Military Industries (oggi IWI) che produsse le prime armi in questo calibro. La prima arma in 9x21 a essere venduta ai civili fu la UZI Defender, una versione semiautomatica della pistola mitragliatrice Micro Uzi. Nel corso degli anni il 9x21, nato sostanzialmente come un ripiego, ha saputo conquistare il mercato nazionale e attualmente è il più diffuso sul mercato civile. 

Altrettanto non si può dire del .45 HP (Hirtembeger Patrone) che fu sviluppato dal produttore di munizioni tedesco Hirtemberg per aggirare il divieto, vigente fino al 1996, di utilizzare cartucce in calibro .45 ACP in quanto considerate anch’esse da guerra. In questo caso, tuttavia, il bossolo del .45 HP era più corto di un millimetro rispetto a quello del .45 ACP. Negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso il mercato italiano pullulava di pistole Colt 1911 e di qualche altro produttore in calibro .45 HP e se ne trovano ancora come occasione in armeria, mentre le munizioni commerciali sono ormai introvabili. Altro calibro che conobbe un discreto successo in Italia più per l’impossibilità di detenere l’originale (indovinate un po’? ...ebbene sì, era considerato da guerra) fu il 9x18 Ultra, progettato in Germania tra le due guerre mondiali e rispolverato dalla Walther nella sia pistola PP Super del 1972. In quegli anni il 9 Corto era ancora considerato calibro da guerra in quanto in dotazione a carabinieri e finanzieri, armati con la vetusta Beretta 34. Per alcuni anni l’Italia fu un’isola felice dove il 9x18 Ultra ebbe un discreto successo, tanto che aziende come la Benelli produssero armi specifiche in questo calibro, come la pistola B82.

La .45 HP (Hirtrmberger Patrone) è una delle munizioni create per il mercato italiano, dove per lungo tempo munizioni come il .45 ACP, dalle prestazioni pressoché identiche, erano vietate ai civili.
Una Walther PP Super in calibro 9x18 Police prodotta nel 1975. Questo interessante calibro fu adottato dalla polizia tedesca per breve tempo.
Una scatola di cartucce 9x18 Police con palla troncoconica da 100 grani prodotta della Fiocchi Munizioni. Ci risulta che non siano più prodotte. (foto armeria Berrone).

La denominazione dei calibri statunitensi

La munizione di origine statunitense .45/70 Government. In questo caso il primo numero si riferisce al diametro della palla, il secondo al peso della polvere nera contenuto nel bossolo originale.

Negli Stati Uniti d’America, che impiegavano il sistema metrico imperiale, la creazione e produzione di nuovi calibri ebbe un grande impulso con la guerra di secessione e in genere con la turbolenta e aggressiva adolescenza del Nuovo Mondo. Siamo nella seconda metà dell’Ottocento, e il passaggio dalle armi ad avancarica a quelle a retrocarica, a dire il vero piuttosto lento soprattutto in campo civile, vede la nascita di un piccolo esercito di calibri per pistola e carabina. Ricordiamoci che all’epoca il propellente per i proiettili era la polvere nera, relativamente poco efficiente; in questo periodo nascono munizioni come il .45/70 Government o il 50-140 Sharps che rispettano la tipica attribuzione dell’epoca, dove la prima cifra è il diametro del proiettile espresso in centesimi di pollice e la seconda è il peso della carica di polvere nera espresso in grani (un grano corrisponde a 0,06 grammi). A volte seguiva anche il nome del produttore della munizione o dell’arma in cui era camerata. Ci sono anche in questo caso le eccezioni, alcune delle quali abbastanza enigmatiche: la munizione a percussione anulare .56/56 Spencer, ad esempio, prendeva il nome dal diametro del bossolo alla base e alla bocca, che era poi lo stesso. Un altro esempio di denominazione è quello della popolare cartuccia per carabina .30-06 Springfield, dove la prima cifra si riferisce al calibro, mentre la seconda allude all’anno in cui la munizione fu adottata dall’esercito USA, ovvero il 1906.

I revolver in calibro .357 Magnum come questo Kimber K6s Combat possono sparare anche munizioni calibro .38 Special, ma non viceversa.

Succede poi che l’evoluzione di una munizione veda cambi di denominazione che confondono ulteriormente le idee. Prendiamo come esempio il già citato calibro .38 Special. Oggi il diametro effettivo della palla è di 357 millesimi di pollice, tanto che per la ricarica del .38 Special e del .357 si usano le stesse ogive, ma in origine non era così. Come abbiamo visto il .38 Special deriva dal .38 Long Colt, che a sua volta deriva dal .38 Short Colt. La prima di queste munizioni fu sviluppata negli anni Sessanta dell’Ottocento per poter essere sparata in revolver Colt convertiti dall’avancarica alla retrocarica. Come sappiamo, le cartucce dell’epoca erano caricate con polvere nera e spesso avevano una palla di tipo “heel jacket” che potremmo tradurre in “camicia a tacco” con la parte esposta che aveva lo stesso diametro del bossolo, mentre la parte interna aveva un diametro leggermente inferiore. Si tratta di un tipo di palla che oggi sopravvive solo nelle cartucce calibro.22 a percussione anulare (.22 Short, .22 Long e .22 Long Rifle). Il diametro originale della palla del .38 Short Colt era di 37,8 millesimi di pollice, arrotondati a 38 nella denominazione commerciale. 

La denominazione cartuccia americana .32/20 segue la stessa logica della .45/70. Poteva essere sparata sia in carabina a leva sia in revolver.

Le palle di tipo “heel” erano solitamente dotate di solchi ingrassati, che avevano la tendenza a raccogliere polvere e sabbia e creare problemi di alimentazione e affidabilità piuttosto che a risolverli. Presto questa forma arcaica di proiettile fu soppiantata a favore di un’ogiva di diametro inferiore a quella del bossolo. Già nel 1875 il .38 Long Colt montava un proiettile convenzionale con diametro di .357 millesimi di pollice. 

Dal momento che il .38 Long derivava direttamente dal .38 Short, la denominazione, per quanto imprecisa fu mantenuta, anche quando nel 1898 da essa fu ricavato il .38 Special, allungandone ulteriormente il bossolo. Altro esempio è il potentissimo .454 Casull, una munizione per revolver sviluppata allungando e irrobustendo il bossolo del .45 Long Colt. Entrambe le cartucce montano in realtà la stessa palla con diametro di .452 millesimi di pollice.

Concludiamo questa prima puntata senza aggiungere altri dati che potrebbero appesantire la lettura. Nella prossima puntata approfondiremo il discorso sui calibri da pistola più recenti, esaminandoli sia dal punto di vista tecnico sia commerciale, con esempi di grande successo e di qualche fiasco clamoroso... Restate sintonizzati!

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