Negato porto d’armi a guardia giurata: scatta il risarcimento

Le premesse

Una guardia giurata faceva richiesta di rinnovo del porto d’armi da difesa personale e relativo decreti di nomina a guardia giurata. Il Prefetto, dopo una prima valutazione della domanda, intravede profili di potenziale inaffidabilità del soggetto al porto di pistola da difesa personale e quindi nega il rinnovo della suddetta licenza. Tale diniego rappresenta grave pregiudizio nei confronti del richiedente che, ovviamente, vedendosi negata la licenza non può esercitare  la propria attività lavorativa. Alla base di questo diniego vi è il fatto che la guardia  era stata in passato sottoposta a procedimento di carattere penale dal quale era poi uscito con assoluzione in formula piena.

La valutazione dei casi analoghi

Non è certamente la prima volta che la Magistratura si trova a valutare casi del genere. In particolare la questione che si pone agli occhi dei giudici è quella di valutare se effettivamente il richiedente non solo di porto d’armi da difesa personale ma anche sportivo o da caccia, sia affidabile nel maneggio di armi.

La valutazione che i giudici devono porre in essere per la valutazione circa l’affidabilità di un soggetto al porto d’armi deve essere una valutazione che non si limita a valutare  il  singolo caso elemento (es. condanna) che  potrebbe far scattare il diniego in modo automatico. Giurisprudenza affermata infatti stabilisce che non è possibile sottoporre per sempre un soggetto agli effetti di una condanna. Nel senso che il soggetto che, ad esempio, anni prima vedeva comminarsi una pena non può vedersi preclusa per sempre la possibilità di ottenere il porto d’armi. Questa valutazione deve tenere conto di elementi ben più ampi, come la condotta che il soggetto ha assunto negli anni successivi ed eventuali riabilitazioni ottenute dai tribunali.

La decisione del Tar Catania

Tornando alla valutazione del caso sopra esposto, il Tar Catania stabilisce che la valutazione di cui abbiamo appena parlato non veniva intrapresa dal Prefetto il quale si limitava ad applicare la normativa in modo automatico.

In particolare veniva eccepito come al soggetto non veniva concessa la possibilità di proporre osservazioni ai sensi della L. 241/90.  Nel provvedimento inoltre mancava una autonoma valutazione da parte dell’Amministrazione. 

Il Tar Catania riconosce così il risarcimento chiesto dal soggetto constatando come vi fosse un collegamento totale ed automatico tra il provvedimento di diniego del porto d’armi e l’evento dannoso (in questo caso la mancata possibilità per il soggetto di lavorare). Questo elemento rappresenta un danno risarcibile proprio perché è mancata nei confronti della soggetto una retribuzione derivante da attività lavorativa che, a causa di un provvedimento manchevole sotto molteplici aspetti, era stata preclusa.


Corrado Maria Petrucci

Consulente Legale

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