Le armi del bisnonno, ovvero il valore affettivo non si paga

Il paragone con una antica doppietta in calibro 12 rivela le vere proporzioni del revolver a spillo.

A tanti appassionati e non di armi, è capitato magari una volta, rovistando in una vecchia soffitta o cantina d’imbattersi in qualche vecchio particolare arnese o ritrovare un vecchio fucile avancarica o una pistola d’altri tempi.

Ricordando le modalità atte a garantire in primis la sicurezza degli astanti e la pubblica incolumità, senza incorrere in particolari problematiche con l’Autorità di PS del luogo del rinvenimento, qualora il proprietario dell’arma sia venuto a mancare, suggeriamo di non toccare l’arma che potrebbe essere carica ed avvisare senza ritardo la locale Stazione Carabinieri o il Commissariato di Polizia di zona, spiegando le modalità del ritrovamento e facendo in modo che questi provvedano al recupero ed alla successiva pratica di rinvenimento delle armi.

Il fucile monocanna ad avancarica ritrovato in soffitta e sottoposto a una operazione di semplice pulizia per mantenerne il carattere di reperto del passato.

Senza soffermarci molto sulla vigente normativa, che prevede comunque la possibilità, quando ne ricorrano i presupposti di legge, di poter prendere in custodia tali armi ritrovate, ove non vi siano motivi ostativi, quello che più ci interessa in questo articolo è tutto il valore storico affettivo che ci possa essere dietro a quel “pezzo di ferro”.

Sulla cartella laterale troviamo la stringata denominazione del costruttore: “Figli di M. Fonzo”, armaiolo napoletano attivo alla metà dell’Ottocento.

Spesso, si tratta infatti di oggetti che hanno pochissimo valore economico, in quanto magari di produzione di massa oppure rovinati dall’usura del tempo e alle volte dalla ruggine che ha intaccato le canne e quant’altro ma che, non è riuscita sicuramente ad ossidare il ricordo di un figlio o di un nipote nel rivedere quell’arma dopo decenni.

Si, perché, proprio quello che tanti considerano un oggetto fine a sé stesso e solamente da rottamare per altri invece è quella scena rimasta impressa nella mente in cui quel padre insegnava nel dopoguerra al giovane figlio (cresciuto troppo in fretta) ad andare a caccia, perché quel saper dosare la polvere nera, mettere uno stoppaccio di carta, una manciata di pallini e l’innesco non era solo tecnica, quella cornice di caccia alla lepre, padre/figlio significava per tutta la famiglia poter mangiare carne e quindi l’esigenza di esser bravi ed astuti cacciatori che rispettavano l’ambiente garantendosi continuità e risorse pur avendo poco.

Il calcio avrebbe bisogno di un restauro più approfondito, ma è stato deciso di mantenerlo in questo stato.

Restaurare quel vecchio archibugio del bisnonno all’insaputa di tutti è stato quindi il momento per ripercorrere l’albero genealogico di una famiglia, approfondendo le varie componenti dell’arma che hanno permesso così di dargli una collocazione nel tempo, capire chi fossero gli artigiani dell’epoca di varie regioni italiane che hanno montato l’oggetto, la produzione della canna ed il suo assemblaggio, i legni, le molle, il cane e quant’altro possa darci delle informazioni.

Il fucile monocanna ad avancarica in questione porta sulla cartella la firma “Figli di M. Fonzo” ed è riconducibile all’armaiolo Giacomo Fonzo, figlio di Matteo, attivo a Napoli nel 1850. In effetti tutto coincide con un fucile molto simile presente sul sito di una casa d’aste. Si tratta di un’arma dalla fattura più che onesta, che conserva tracce d'uso intensivo nell'area del calcio e qualche dettaglio intrigante, come la cucitura con spago che collega la cinghia di cuoio alla maglietta anteriore.


Un dettaglio d’epoca: particolare della cucitura a spago della cinghia in cuoio originale.
La pala del calcio, con i suoi acciacchi e i suoi segni di riparazione, testimonia una vita dell’arma piuttosto turbolenta.

Una volta identificato il fucile, l’abbiamo fatto ripulire al nostro amico armaiolo dell’Armeria Granatiere di Turbigo, in provincia di Milano, esperto del settore che restaura e costruisce pezzi unici avancarica, utilizzati in moltissime rievocazioni storiche del territorio nazionale e non solo. Senza affondare, senza stravolgere i segni di chi l’aveva adoperato per molto tempo, vediamo come una vecchia cinghia in cuoio cucita grossolanamente con dello spago diventa quel lieve ricordo di quando i nipoti nell’entrare nella sala da pranzo ricordavano il vecchio fucile del bisnonno appeso in alto sul muro, sopra la credenza.

Sostituita una molla rotta, non ci è bastato che ripercorrere quella procedura di quasi 70 anni prima, fare un leggero colpo a salve, la nube di fumo che si sprigionava e l’odore di zolfo della polvere nera addosso, ha riportato alla luce negli occhi commossi dell’anziano zio la cosa più bella, il ricordo di suo padre. Anche questa è storia e cultura armiera italiana.