L’annoso problema del fucile basculante è che deve aprirsi con facilità, ma quando spara deve essere chiuso. La realizzazione di questa chiusura, nelle doppiette, ha portato a una proliferazione di catenacci che vanno da quello a doppio tronco di cono di Greener ai chiavistelli scorrevoli tipo Purdey o Holland & Holland, dalla finissima triplice chiusura di Rigby fino a improbabili quadruplici o anche cosiddette quintuplici chiusure. In linea di massima, su ogni fucile a canna liscia ma anche sulla maggior parte degli express, con pochissime eccezioni, una duplice Purdey eseguita a regola d’arte non ha necessità di rinforzi ed è più che sufficiente. Ma che cosa vuol dire, esattamente, che una chiusura è eseguita a regola d’arte?
Teniamo presente che in qualunque sistema in cui due parti debbano unirsi e separarsi con facilità, la corrispondenza completa delle parti senza tolleranze non ci sarà mai. Non è possibile che a fucile chiuso non vi sia alcun gioco tra le parti, perché in quel caso non sarebbe possibile assemblarle.
Il sistema di tolleranze albero-foro prevede che anche la tolleranza più stretta, per un albero da 6-10 mm, si traduca in un diametro dell’albero inferiore di quasi un centesimo rispetto a quello del foro. Comunque, un albero più stretto di un centesimo si inserisce nel foro a interferenza, con la pressa. Un sistema albero-foro in un fucile c’è, basti pensare al perno cerniera e al semiforo del tenone anteriore che deve appoggiarvisi e deve scorrervi intorno per consentire l’apertura del fucile. Altre tolleranze le avremo tra il duplice chiavistello di chiusura e gli scassi in cui deve entrare, e dai quali deve uscire, con la normale forza che si può esercitare sulla chiave. Anche se i giri di compasso si realizzano senza scorrimento reciproco e con appoggio perfetto, quindi, alcuni giochi ci devono necessariamente essere. Ma occorre che siano ridotti al minimo. In un fucile industriale, dove gli aggiustaggi sono del tutto da evitare, queste tolleranze hanno un intervallo di variabilità che determina la riuscita più o meno felice di un fucile.
Non pensate che lavorando a macchina si possa acquisire, a livello di produzione di massa, una precisione come quella che deriva da sapienti aggiustaggi. Non è vero che a macchina si fa meglio, a meno di avere macchine speciali, procedimenti speciali, un’officina a temperatura costante e un sistema di raffreddamento termostatato per gli oli da taglio. Più tutta una serie di altre avvertenze. Basta affacciarsi una volta da Fabbri per capire quanto sia complicato, anche con le migliori macchine, raggiungere una vera precisione. Se i fucili di Fabbri hanno un prezzo robusto e trovano persone competenti disposte a pagarlo, un motivo c’è. E se raggiungere quella finezza costruttiva fosse facile, tutti farebbero i fucili di Fabbri, anziché lui solo.
In un fucile fine la tolleranza delle macchine per produzione di serie, che lavorano con la precisione teorica del centesimo ma in pratica non hanno alcuna possibilità di raggiungerla, semplicemente non è accettabile.
L’avanzamento delle canne al momento dello sparo non crea problemi. Se i giri di compasso non sono a strisciamento e vanno davvero in contatto ad arma chiusa, le superfici di contrasto appoggiano le une sulle altre. Inoltre l’avanzamento del chiavistello di chiusura ha spinto le canne contro il perno cerniera. L’arretramento, però, deve fermarsi a contatto pieno con la faccia di bascula. A maggior ragione trattandosi di una doppietta. La canne non si limitano a oscillare sul piano verticale, ma la prima canna tirerà a destra e la seconda a sinistra. Immaginiamo la situazione nel momento in cui lo sciame di pallini sta per lasciare la volata e quindi sta impegnando la strozzatura. C’è il massimo braccio di leva possibile, che tende a spostare la canna facendo forza sui tenoni, in quel momento alloggiati negli appositi scassi della bascula. La bascula è temprata, i tenoni no. Si torcerebbero, se non fosse per l’appoggio del vivo di culatta contro la faccia di bascula.
Quell’appoggio deve essere perfetto. Per quanto la ramponatura sia ben eseguita, qualche piccola variazione c’è sempre. Non ha molta importanza per un fucile industriale. In fin dei conti nessuno si aspetta che una doppietta di serie duri per oltre cent’anni in condizioni perfette, come è successo ai fucili fini inglesi. Ma quella è la prestazione che ci si attende da un fucile fine, che costa dieci volte di più. Ebbene, l’appoggio perfetto si ottiene con l’aggiustaggio manuale. Lo abbiamo visto fare a Ivano Tanfoglio, di Rizzini e Tanfoglio, che in quel di Gardone costruisce fucili di pregio assoluto. I migliori fucili del mondo, al giorno d’oggi, si fanno in Italia. Gli artigiani in grado di lavorare a quei livelli, o meglio le botteghe, che formano le nuove generazioni, perché solo Cortesi lavora in splendida solitudine, si contano sulle dita di due mani, ma senza impiegarle tutte. E ciascuno di quegli artigiani, con la sola eccezione di Fabbri che fa categoria a sé, eccelle nelle lavorazioni manuali che portano un pezzo meccanico a perfezione.
Una tecnica ancor oggi valida, come lo era un secolo fa, è quella del controllo con nerofumo. Serve anche per verificare altri punti di contatto, ad esempio lo strisciamento dei fianchi dei ramponi nelle loro sedi. Si usa una lampada a petrolio, che lascia il nerofumo in uno strato più sottile rispetto a una candela. Affumicate che siano le culatte e la faccia di bascula, si aggancia il perno e si sbatte violentemente, più volte, la bascula contro il vivo di culatta. Violentemente, perché occorre avvicinarsi quanto più possibile alla botta provocata dallo sparo. L’operazione va fatta a bascula temprata, altrimenti è diverso il limite elastico e i segni non restano altrettanto nitidi e precisi.
Il primo contatto solitamente è già migliore di quanto avvenga su una realizzazione industriale. E altrettanto solitamente è considerato del tutto inaccettabile. Il contatto deve essere perfetto, senza accontentarsi di nulla di meno. Allora si dà di piglio a una lima sottile e si opera nei punti della culatta che sono più sporgenti rispetto agli altri. La lima non deve mangiare troppo, perché altrimenti si avrebbe un accoppiamento troppo lasco. Quindi è intasata con gesso, che riempie i solchi e lascia spazio solo a un attacco minimo. L’estremità della lima è foggiata a raschietto, perché a volte anche con il gesso si morde comunque troppo. Dopo l’intervento, si puliscono bascula e culatta, si riaffumicano e si ripete il procedimento. Non “provando e riprovando” come disse Dante e come fu motto dell’Accademia del Cimento. Ma verificando e perfezionando, avvicinandosi ogni volta un po’ di più alla perfezione, fino a giungervi così vicino da non rendere più possibile l’andare oltre. L’operazione finisce quando finisce la pazienza. Che è molta, in un artigiano che fa fucili di pregio. E la pazienza, guarda caso, finisce solo quando ci si rende conto che anche insistendo non sono più possibili miglioramenti.