I sistemi di funzionamento: la chiusura labile

Maxim Popenker ci parla dei più diffusi sistemi di funzionamento delle armi da fuoco: nel primo articolo, la chiusura labile
La pistola semiautomatica tedesca Bergmann mod.1894, progettata da Hugo Schmeisser, è stata la primissima arma da fuoco a chiusura labile prodotta in serie
Maxim Popenker ci parla dei più diffusi sistemi di funzionamento delle armi da fuoco: nel primo articolo, la chiusura labile
Un disegno tecnico dal brevetto di Hugo Schmeisser e della fabbrica d'armi Theodor Bergmann per la pistola modello 1894

Genericamente, le armi da fuoco si possono suddividere in due categorie: le armi a ripetizione manuale e le armi a ripetizione automatica (da non confondersi con le “armi automatiche”). 

Le armi a ripetizione manuale necessitano dell'intervento diretto del tiratore per mettere in moto i meccanismi che, dopo ogni sparo, estraggono ed espellono il bossolo vuoto, camerano un nuovo colpo e riarmano il cane o il percussore; le armi a ripetizione automatica effettuano l'intero ciclo di riarmo senza necessità d'intervento da parte del tiratore.

Queste possono essere a loro volta classificate in diverse sotto-categorie, ciascuna identificata in base alla fonte dell'energia utilizzata per il riarmo automatico dei meccanismi; la maggior parte di esse sfrutta l'energia generata dalla detonazione di ciascun colpo per riarmarsi in vista del seguente, mentre un piccolo numero di sistemi, in genere prettamente militari e non individuali, impiegano sistemi d'alimentazione esterni elettrici o idraulici.

In questa serie di articoli esploreremo i più comuni sistemi di funzionamento automatico e semi-automatico delle armi da fuoco portatili, a cominciare dal più semplice: la chiusura labile, ove la pressione dei gas generati dallo sparo è sufficiente ad effettuare il riarmo.

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Il prototipo di una pistola semiautomatica a chiusura labile realizzata in via sperimentale da Hiram Maxim attorno al 1896
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Un disegno tecnico dal brevetto della pistola semi-automatica a chiusura labile sperimentale di Hiram Maxim

Anzitutto, è necessario ricordare che la maggior parte delle munizioni moderne – ad eccezione di alcuni calibri integralmente silenziati, molto particolari – sono strutturalmente troppo deboli per contenere all'interno del bossolo i livelli di pressione generati dalla detonazione del propellente senza spaccarsi. 

La cartuccia deve dunque essere supportata sui lati dalle pareti della camera di cartuccia, e sul fondello dalla faccia dell'otturatore, quando si fa fuoco. Le pressioni che si sviluppano entro una cartuccia a percussione centrale si aggirano in genere entro le due tonnellate per centimetro quadrato, anche se tale pressione si sviluppa solo per un periodo di tempo brevissimo.

La maggior parte delle armi a percussione manuale impiegavano un qualche tipo di connessione rigida per mantenere la connessione tra l'otturatore e la camera di cartuccia al momento dello sparo; automatizzare i meccanismi non fu facile, ma ai tecnici vennero in aiuto le semplici leggi della fisica applicate all'inerzia: essi scoprirono che l'impiego di un blocchetto di chiusura svincolato, capace di muoversi orizzontalmente e munito di una molla di recupero sarebbe stata sufficiente a mantenere la cartuccia entro la camera di scoppio fintanto che la pallottola si muoveva lungo la canna e la pressione nel sistema era ancora alta.

Ovviamente sia la cartuccia che il blocchetto di chiusura avrebbero iniziato a subire una spinta retrograda sin dal momento della partenza del colpo, ma in un sistema a chiusura labile ben progettato e costruito, il movimento retrogrado iniziale sarebbe stato troppo breve per esporre le pareti del bossolo finché la pressione interna del sistema non fosse diminuita significativamente.

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La Browning 1900, prodotta in Belgio dalla FN, fu la prima pistola a chiusura labile prodotta in massa a godere di un indubbio successo commerciale
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Un disegno tecnico dal brevetto della pistola Browning 1900; notate come, sebbene il brevetto dica “Arma a recupero di gas”, nei termini tecnici odierni si tratta di una semplice e classica chiusura labile

Un altro beneficio del sistema è dovuto dal fatto che la spinta retrograda e la pressione residua, al momento dell'apertura, imprimono sul bossolo vuoto una spinta sufficiente ad espellerla dalla camera di cartuccia. 

Il blocchetto di chiusura, spinto all'indietro, comprime al massimo la molla di recupero; quando la forza d'inerzia si esaurisce, questa è libera di distendersi rimandando l'otturatore in chiusura e camerando una nuova cartuccia, concludendo il ciclo di riarmo. 

A seconda dell'architettura dell'arma, lo stesso sistema riarma il percussore separato o il cane dell'arma, quando un percussore non sia integrato direttamente nel blocchetto di chiusura.

Si tratta, dunque, di un sistema estremamente semplice ed efficace, i cui primi esempi si notano nelle pistole semi-automatiche del tardo 19mo secolo – camerate com'erano per calibri caratterizzati da bossoli relativamente corti e cariche a bassa pressione che dunque ben si adattavano ad un simile assetto tecnico.

Tra queste, a titolo di mero esempio, troviamo la pistola Bergmann 1894 (alcuni dei primi modelli della quale, peraltro, impiegavano cartucce con bossolo senza collarino e non presentavano neppure un sistema d'estrazione ed espulsione, visto che il bossolo vuoto veniva “sputato” fuori dalla camera dalla pressione residua!); la pistola sperimentale di Hiram Maxim del 1896; e le Browning modello 1900 e 1903, di gran lunga le più celebri dell'epoca e delle autentiche pietre miliari per l'industria negli anni a venire.

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Un'altra classica pistola semiautomatica a chiusura labile progettata da John Moses Browning: la FN modello 1903
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La prima vera pistola mitragliatrice di sempre – la tedesca Bergmann Mp18 – impiegava una semplice chiusura labile, e ha costituito per lungo tempo un esempio da seguire nel settore

Più tardi, dal 1918 in poi, la chiusura labile fu applicata ad una nuova classe di armi a raffica: le pistole-mitragliatrici. La prima PM tecnicamente riuscita, la Bergmann Mp18 tedesca, presentava un otturatore di foggia cilindrica, molto semplice, che scorreva orizzontalmente entro un affusto tubolare. Tale assetto fu copiato in tutto il mondo, ed è ancora alla base di numerose pistole-mitragliatrici impiegate dai corpi dello Stato in tutto il mondo.

A partire dalla Seconda Guerra Mondiale si iniziò a sperimentare il design dell'otturatore telescopico – caratterizzato dalla concentrazione di una notevole massa dell'otturatore sulla sua parte posteriore, che in fase di chiusura va ad “avvolgere” la porzione posteriore della canna in modo da ridurre la lunghezza totale del sistema senza che l'otturatore sia alleggerito troppo.

Durante e dopo la Prima Guerra Mondiale, la chiusura labile era stata sperimentata anche su alcune armi automatiche pesanti come il cannoncino Becker M2 da 20mm; queste risultavano decisamente meno potenti se confrontate con altri pezzi d'artiglieria dell'epoca, e presentavano camere di scoppio molto profonde e cartucce con fondello ribassato per contenere le pressioni all'interno del sistema per tempi più lunghi durante le fasi iniziali del ciclo di riarmo. Ad oggi la chiusura labile è impiegata anche su diversi lanciagranate automatici da 30mm e 40mm, che impiegano munizioni a pressione relativamente bassa.

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Una delle pistole a chiusura labile più diffuse e di maggior successo dei tempi moderni: la russa Makarov PM calibro 9x18
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Ad oggi l'impiego della chiusura labile è comune soprattutto su armi lunghe come le pistole-mitragliatrici o le carabine semiautomatiche in calibro da pistola
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Un disegno tecnico dell'epoca, tratto dal relativo brevetto, che descrive a grandi linee una pistola mitragliatrice a chiusura labile derivata dalla Bergmann Mp18
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Questo brevetto postbellico descrive una variante della chiusura labile molto comune dopo la Seconda Guerra Mondiale: l'otturatore telescopico, utilizzato su pistole mitragliatrici come la Vz.25 cecoslovacca, l'UZI israeliana o la Beretta PM-12 italiana

Nonostante gli ovvi vantaggi in termini di semplicità e basso costo, la chiusura labile porta con se anche numerosi lati negativi innegabili.

Anzitutto, un'arma a chiusura labile ben realizzata deve presentare una camera di cartuccia con pareti estremamente lisce e impiegare munizioni con bossoli d'alta qualità per evitare che i livelli di pressione interna causino danni al bossolo stesso o al suo collarino. In secondo luogo, il bilanciamento tra la massa del blocco-otturatore, la forza della molla di recupero e la lunghezza della sua corsa deve essere perfetto: se la molla è troppo debole o l'otturatore troppo leggero, esso si aprirà quando le pressioni interne sono ancora troppo alte, con conseguenze disastrose.

Se la molla di recupero è troppo dura, l'arma sarà difficoltosa da riarmare manualmente, e se l'otturatore è troppo pesante, il suo movimento in fase di riarmo causerà altissimi livelli di vibrazioni che incideranno negativamente sulla precisione. Inoltre, all'aumentare della potenza della munizione (in questo caso, data dal rapporto tra il livello di pressione interna e la capacità del bossolo) aumenta il peso che l'otturatore deve necessariamente avere per mantenere in chiusura il sistema.

Normalmente, le pistole-mitragliatrici in calibro 9 Parabellum presentano un blocco-otturatore del peso di circa mezzo chilo; con una cartuccia intermedia da fucile – si pensi al .223 Remington o al 7,62x39mm russo – il peso dell'otturatore arriva fino a circa 2 chilogrammi; con munizioni più potenti, ad esempio il 7,62x51mm NATO, si possono sfondare abbondantemente i quattro chili. Ciò significa che, su armi in tale calibro, la chiusura labile sarebbe molto poco pratica – nonché, dati gli altissimi livelli di pressione, decisamente inaffidabile.

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All'inizio degli anni '70, la tedesca Heckler & Koch ebbe successo dal punto di vista tecnico (non altrettanto a livello commerciale) nello sviluppo della VP70, una pistola semiautomatica a chiusura labile calibro 9 Parabellum e 9x21 IMI
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Le pistole americane Hi-Point, armi a chiusura labile, a causa dei loro calibri molto potenti – 9 Parabellum, .40 Smith & Wesson e .45 ACP – si caratterizzano per l'impiego di un carrello-otturatore grosso e pesante

Ciò non rappresenta un problema sui citati lanciagranate automatici, che sviluppano livelli di pressione molto bassi e in genere si assicurano su treppiedi o si montano su veicoli; neppure la scarsa precisione, causata dal movimento di un pesante otturatore che oscilla in avanti e indietro, è in questo caso un problema, in quanto i lanciagranate sono considerate armi per l'interdizione d'area, e non armi di precisione.

Come già menzionato, l'utilità della chiusura labile è limitata dai livelli di pressione che si sviluppano entro il sistema all'atto dello sparo, ai quali deve corrispondere un otturatore del giusto peso e una molla di recupero della giusta resistenza.

Per le armi da pugno come le pistole semi-automatiche, il cui peso limite è di circa un chilogrammo, questo significa che il calibro 9x19mm “Parabellum” è il massimo con cui si possa sperimentare con sufficiente affidabilità la chiusura labile.

Anche se nel corso degli anni sono state sviluppate e prodotte pistole a chiusura labile in tale calibro – tecnicamente riuscite, commercialmente meno, come la Heckler & Koch VP70 tedesca e la serie Hi-Point americana – la maggior parte delle odierne pistole a chiusura labile è camerata per il 9 Corto o per calibri ancora inferiori; la più famosa e diffusa, oggi, è sicuramente la Makarov 9x18mm PM di origine russa.

Le armi da spalla, come le pistole-mitragliatrici o le carabine semi-automatiche in calibro da pistola, possono rimanere pratiche pur impiegando otturatori più pesanti, e dunque esistono moltissime carabinette e “mitra” in calibro 9 Para, .40 Smith & Wesson e .45 ACP. Nessun fucile o arma automatica in calibro intermedio o di grosso calibro è mai entrato in produzione di serie.

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