Caccia di selezione

Caccia di selezione
Un esemplare di cervo femmina: oggetto della caccia di selezione non sono solo gli esemplari malati o anziani
Caccia di selezione
Una coppia di mufloni al poscolo: la caccia di selezione impone una scelta ponderata e scientifica del capo da abbattere

Iniziamo con il dire ciò che non è la caccia di selezione. Non consiste nell’abbattimento di animali malati o anziani, poiché quest’ultimi rientrano nella categoria degli "abbattimenti sanitari", al fine di evitare epidemie tra la fauna selvatica.

La caccia di selezione è un sistema di caccia di origine mitteleuropea. Essa si basa sul conteggio (ovvero censimento) degli animali appartenenti alle specie cacciabili e sul piano di abbattimento suddiviso per classi di età (piccoli, adulti, subadulti, femmine). Il primo passo è la stima del numero di animali da abbattere a seconda dello scopo che si vuole raggiungere: ad esempio, data una precisa area geografica, potrebbe essere necessario far aumentare una popolazione di animali selvatici, oppure farla diminuire o ancora mantenerla stabile. In relazione all’obiettivo da raggiungere, vengono in seguito stabiliti quanti e quali esemplari abbattere.

La caccia di selezione e coloro che sono preposti a praticarla si prefiggono lo scopo fondamentale di conservare e mantenere inalterata la struttura della popolazione della fauna selvatica (cuccioli, subadulti, adulti, femmine, maschi), in relazione all’ecosistema nel quale sono inseriti.

Generalmente viene considerato controproducente non realizzare almeno al 90% un piano di abbattimento su dati e statistiche demografiche certe, lasciando altresì una struttura di popolazione squilibrata e non a forma piramidale con i cuccioli (molti) alla base e i vecchi (pochi) all'apice, perché si otterrebbero risultati nocivi all’ambiente.

Per caccia di selezione, quindi, si intende quella pratica venatoria con la quale si riducono principalmente i danni causati dalla fauna selvatica alle colture agrarie, boschi e all’ecosistema in generale.

Caccia di selezione
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Disciplinata da apposite leggi, questa modalità di caccia si realizza nel pieno rispetto di un piano di abbattimento della fauna selvatica (in Italia generalmente sono gli ungulati), suddivisa per classi di sesso e di età. Attraverso un vero e proprio censimento, che tiene conto dei principi dell’ecocompatibilità e dell’ecosostenibilità, la caccia di selezione viene autorizzata da Regioni, Province e, per le aree naturali protette, dagli Enti Parco secondo i rispettivi ambiti di competenza.

Gli abbattimenti programmati salvaguardano la densità (o piramide demografica) della fauna selvatica, con lo scopo di mantenere in equilibrio l’ecosistema attraverso il prelievo esclusivo dell’incremento annuo, ossia la “rendita” della popolazione animale.

Selezionando i capi da abbattere non vengono ovviamente intaccate le potenzialità di sviluppo di una determinata specie, ossia il “capitale” selvatico: il metodo scientifico utilizzato nella caccia di selezione, suddivide gli abbattimenti per  diverse classi di sesso e di età, al fine di evitare dannosi sbilanciamenti tra le varie componenti della fitocenosi (l'unità fondamentale della vegetazione) e della zoocenosi (il complesso degli organismi animali che in un ecosistema compongono una biocenosi).

Colui il quale è incaricato di mettere in pratica la caccia di selezione è un cacciatore abilitato ed autorizzato dalle autorità competenti, dopo che quest’ultimo abbia conseguito la qualifica di “selecontrollore” tramite un corso di formazione e superamento dell’esame finale.

Le indagini demografiche disegnano un quadro preciso sulla densità della popolazione della fauna selvatica esistente in un determinato territorio.  Successivamente, vengono contati gli animali da abbattere nell’arco temporale stabilito dal calendario regionale.

Allo stato attuale, la caccia di selezione nel nostro Paese ha assunto un ruolo fondamentale nella gestione del territorio, poiché sono sensibilmente diminuiti i predatori naturali (come orsi, lupi, sciacalli, linci e aquile) che avrebbero  determinato un naturale equilibrio dell’ecosistema.

L’eccessiva espansione demografica di ungulati artiodattili comporta non solo uno squilibrio nel mondo animale, ma anche danni alle produzioni agricole, ai terreni coltivati, ai pascoli, ai soprassuoli boschivi giovani e (non poco importante) alle autovetture in transito sulle strade.

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La Sauer 303 al lavoro sul selvatico
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Il Sauer 303 con un bel esemplare di cinghiale abbattuto

Il selvatico maggiormente oggetto della caccia di selezione è il cinghiale, il “responsabile” dei più significativi danni sulla fitocenosi: quest’ultimi consistono nella diminuzione della biomassa vegetale causata dal grufolare di questo selvatico.

Alcune indagini hanno però evidenziato che anche i bovidi come camosci, stambecchi, mufloni e capre inselvatichite, ed i cervidi come cervi, daini e caprioli, provocano problemi all’ambiente naturale brucando le plantule, gli apici vegetativi dei rami e lo strato arbustivo.

L’eccessiva presenza di animali selvatici di questo tipo in una determinata area geografica, può comportare  un reale pericolo per il rinnovamento naturale del territorio.

Tenendo in considerazione le caratteristiche di ciascuna area verde, le psecie vegetali più a richio sono, in linea generale, l'abete bianco, l'abete rosso, il pino cembro, il pino mugo, pino uncinato, il pino silvestre, il larice, il sorbo degli uccellatori, il frassino, l'acero montano ed il faggio.

Le indagini campionarie hanno dimostrato che ad esempio i cervidi maschi provocano danni con lo scortecciamento ed lo sfregamento dei loro palchi su tronchi e rami più bassi, soprattutto durante il periodo del cambio del velluto e della demarcazione del loro territorio.

Inoltre, caprioli, cinghiali, daini e cervi sono, nell’ordine, gli ungulati maggiormente responsabili di incidenti automobilistici sulle strade che costeggiano boschi e radure, con danni non solo alle autovetture ma anche ai passeggeri a bordo.

Indubbiamente, l’intensità e la quantità dei danni provocati dalla fauna selvatica sono direttamente proporzionali alla grandezza delle popolazioni di ungulati che vivono in una determinata area geografica: più numerosa è la popolazione di questi animali in una data zona, minore sarà la capacità portante di quell’area e, di conseguenza, maggiori saranno i danni riscontrati in quel territorio.

Da qui nasce l’esigenza di controllare e monitorare costantemente la popolazione delle specie più numerose e potenzialmente più nocive.

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Per essere obiettivi, però, occorre sottolineare che sono gli animali selvatici a pagare le azioni incongrue dell’uomo. Il fenomeno dell’antropizzazione del territorio (ossia  l'intervento che l'uomo effettua sull'ambiente naturale con lo scopo di conformarlo, quindi modificarlo e manipolarlo) ha spezzato la catena alimentare di molti ecosistemi, compromettendo i delicati equilibri che regolano i rapporti tra le varie componenti della biocenosi. L’assenza di predatori naturali ha comportato quindi un aumento delle prede (ungulati) che determinano di conseguenza i danni descritti qualche riga sopra.

La caccia di selezione è allo stato attuale lo strumento più immediato ed efficace per ripristinare l’equilibrio nell’ecosistema, ma non è il solo.

La rivalutazione e la salvaguardia di determinate aree geografiche nelle quali reinserire predatori naturali, rappresenterebbe un valido aiuto nel mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema. In questo caso, sarebbe la natura a lavorare per noi.