Ritengo che questa “bufala” ‒ vale a dire quella che vuole la resa balistica delle armi lisce migliori in assenza di pulizia interna delle medesime ‒ sia attribuibile a due soli fatti possibili: 1) quello che forse (ma molto forse) “anticamente”, in armi di bassa qualità e con alesaggi e forature mal eseguiti, un significativo livello d’impiombatura della canna – magari ‒ poteva anche servire a correggere i difetti di fabbricazione (ma non esiste nessun parametro di plausibilità scientifica al riguardo). 2) La comunque celebre “pigrizia” del cacciatore medio: sparatore certamente, ma poco propenso alla cura certosina di quel che il destino gli ha dato in sorte e sempre pronto a giustificare in positivo i propri difetti e mancanze. Comunque siano andate le cose, si sappia tuttavia che in entrambi i casi trattasi di una vera e propria eresia, sia sul piano pratico che su quello etico, la quale ora più che mai non trova giustificazioni di sorta. Gli è infatti che oggidì tutti i tubi, di tutti i fucili, di ogni tipo e marca, sono perfettamente eseguiti da macchine in cui il margine d’errore è nullo o riscontrabile in termini di micron, cioè con livelli assolutamente ininfluenti al risultato che si vuole ottenere. Senza poi dire che mai un fucile sporco funzionerà meglio di uno pulito; essendo che anzi, un’arma mal curata, può dare vita a situazioni potenzialmente pericolose; eventualità che nel nostro caso, trattandosi di armi da fuoco e non di giocattoli, sono di quelle che “una volta basta” per poi piangere sul serio!
Stiamo quindi parlando di acquisizione di conoscenza e responsabilità. La prima, tutta volta verso gli oggetti con cui esercitiamo la nostra passione, la seconda indirizzata invece verso la necessaria riqualificazione della figura del cacciatore, che si profila all’orizzonte del III millennio quale sapiente, coscienzioso gestore della natura e delle sue risorse.
Sia ben chiaro quindi che il fucile va pulito e spesso, il più spesso possibile. Poiché tanti sono i nemici delle nostre canne e bascule, castelli e meccanismi. E canne corrose portano certamente peggio le rosate, divenendo altresì pericolose per la nostra ed altrui incolumità. Almeno quanto fucili sporchi tout court, specie se trattasi di semiauto, possono dare a vita a inceppamenti e cattivi ciclo di riarmo i quali, oltre al presentare situazioni sgradevoli di per se stesse, possono costringerci a compiere smontaggi sul campo ‒ o peggio ‒ manovre e smanettamenti non privi di pericolo. Senza considerare poi il costo economico di rotture significative causate dall’incuria e relative riparazioni o sostituzioni in toto dei pezzi... Ne deriva quindi che il grado di cura del fucile è testimonianza del grado di civiltà del cacciatore medesimo, vorrei dire della sua classe a prescindere dal valore intrinseco della/e sua/e arma/i. Che non concepirà mai come semplici attrezzi per ammazzare gli animali, ma come oggetti con… un’anima; e dunque da conservare con amore e mostrare con orgoglio a chi viene a visitare la sua, la nostra dimora.
La domanda si pone quindi sovrana: come procedere alla corretta manutenzione delle armi? Risposta: secondo due metodiche precise che attengono ai periodi di messa in opera e riposo delle medesime. Iniziamo dunque dal periodo di caccia…
Si parta dunque dalla considerazione che, un fucile da caccia – a prescindere dalla sua tipologia ‒ è essenzialmente una macchina complessa atta a compiere uno specifico lavoro. Sue componenti principali ne sono metalli (in prevalenza acciai di più o meno buona qualità) e (normalmente) legno. Ora si consideri che il “nemico naturale” di entrambi è essenzialmente l’acqua in tutti i suoi stati. Da quello liquido più palese sotto forma di pioggia o nebbia, sino a quello “occulto” rappresentato dalla semplice sospensione di microparticelle nell’atmosfera. Attaccando il metallo lo fa arrugginire, aggredendo i legni li fa gonfiare, limitando comunque la funzionalità complessiva dell’attrezzo e accorciandone in maniera significativa la durata d’utilizzo (altrimenti assai elevata). Sarà dunque da lei che soprattutto dovremo preservare la nostra arma. Vero è – starà pensando il pigro ‒ che l’industria armiera ha concepito alcuni accorgimenti atti ad allungare la vita utile dei fucili proteggendoli dagli agenti idrici, brunitura e trattamenti dei legni su tutti; ma altrettanto vero è che non esistono acciai, bruniture e oli/vermicette in grado di sfidare una bella inzuppata! Senza poi dire che i legni, specie le astine, sono quasi sempre trattati solo esternamente, mentre l’acqua penetra dappertutto.
Ne consegue che al ritorno da ogni cacciata, sarebbe buona cosa dare come minimo una bella asciugata all’arma nel suo complesso, per poi smontarla ed oliarla tutta con panni di lana leggermente imbevuti l’uno di lubrificante specifico per armi, e l’altro – specie con calciature finite a olio ‒ con prodotti ad hoc per la cura dei legni (coppale o similari, che vanno passati anche nella parte interna, quella rivolta verso la canna/canne dell’astina). Oltre a fare ciò, personalmente, a scopo preventivo, quando caccio con climi assai umidi sono uso stendere sulla canna e sui legni (senza toccare gli zigrini) un sottilissimo velo del medesimo grasso che uso per gli scarponi, avendo altresì cura di non dimenticare mai sia i tappi dei semiauto che i meccanismi d’aggancio delle astine in paralleli e sovrapposti e le attaccature per la cinta su tutti. Non me ne sono mai dovuto pentire.
Le altre aggressioni che interessano le armi sono poi di due tipologie ben precise: chimica l’una, e meccanica l’altra, ed entrambe in vario modo e congiuntamente a quella idrica, interessano sia l’esterno che l’interno delle medesime, ossia i loro meccanismi. Per aggressione chimica è da intendersi essenzialmente quella procurata dai residui di combustione di polveri e inneschi che insistono sull’interno delle canne di tutti i fucili e sui vari sistemi di presa di gas di quei semiauto che si avvalgono di tale principio per azionare il di ciclo di riarmo. È per tal ragione che oggigiorno tutte le canne e le parti a contatto coi gas, appaiono rivestiti da più o meno ben eseguite cromature. Pur tuttavia non c’è cromatura che tenga, sul lungo periodo, contro quell’azione corrosiva cui i residui acidi di combustione sottopongono gli acciai, specie poi se in combinazione con altri “agenti patogeni” dei metalli quale la suddetta umidità. Da ciò ne consegue che le canne (e i sistemi di presa di gas) andrebbero puliti al ritorno da ogni battuta di caccia in cui si abbia avuto a sparare, specie se parecchio. Al riguardo una leggenda venatoria vorrebbe che gli scovoli metallici rovinino le canne. Non è vero niente! Specie poi se trattasi di eliche nuove e ben eseguite, senza poi dire che, al limite, sarebbe sempre meglio un piccolo segno che la corrosione delle canne vera e propria… Ed è per questo che io mi regolo così.
Canne: scovolo a bacchettone con elica d’acciaio o bronzo fosforoso imbevuta in nafta, cinque o sei belle passate che eliminano anche l’impiombatura e poi, dopo aver controllato che siano lucenti, passo con uno straccetto asciutto un paio di volte, cambio la testina e ripasso con scovolo di lana (pulito!) leggermente unto in olio per armi. Similarmente faccio con il pistone e le varie parti dei sistemi di presa di gas, che pulisco con spazzolini da denti e nafta, e finisco con straccetti asciutti ed un’ultima passata con altri ed un’idea d’olio prima di procedere a riassemblare.
Quanto alle problematiche di tipo meccanico vediamo come queste possono venire ad interessare sia le parti interne che quelle esterne dei nostri fucili. E trattasi nel primo caso dell’intrusione di rametti, terriccio, sassolini e foglioline etc. che possono compromettere il buon funzionamento di estrattori, scatti e specificatamente nei semiauto le loro parti più delicate, vale a dire i gruppi di riarmo. Mentre nel secondo parliamo di graffi e significative ammaccature che potremo comunque prevenire seguendo pochi semplici accorgimenti. Per rametti & company si proceda dunque in tal senso: si smonti spesso il fucile ‒ soprattutto dopo cacce boschive in ambienti assai sporchi come quelle a beccacce nei forti ‒ e con un pennello imbevuto in nafta si puliscano accuratamente tutte le sue parti. Meglio poi se con una pistola ad aria compressa. Ciò fatto si asciughi bene il tutto, si spazzoli di nuovo con uno spazzolino da denti asciutto e pulito, si finisca con una spruzzatina di olio spray che useremo anche per le batterie e gli alloggi dei percussori, tralasciando solo i molloni ed i freni dei lungo-rinculo che mai, mai vanno lubrificati (mi raccomando!).
Quanto alla prevenzione di graffi ed ammaccature che possono interessare le parti esterne è sufficiente usare qualche piccolo accorgimento: 1) il fucile non è un bastone, quindi evitare di appoggiarcisi sopra o usarlo per percuotere roveti e spinare!; 2) ancora in molti (sempre troppi!) hanno la pessima usanza d’indossare la cartucciera sopra il giaccone o il gilet, cosa nefasta poiché oltre a conferire a chi lo fa l’aspetto di un guerrigliero serbo-bosniaco ‒ di una sorta di ridicolo Pancho Villa alla cacciatora ‒ fa sì che durante l’esercizio venatorio il fondello metallico delle munizioni venga inevitabilmente a sfregare ed urtare contro il fucile graffiando, segnando e ammaccando in maniera significativa bascule, castelli e parti in legno.
Un discorso a parte merita ora la fase di pulitura preventiva al periodo di lunga messa a riposo dell’arma. In questo caso diviene di utilità assoluta disassemblare tutto il fucile, procedere come sopra per una pulizia ancor più minuziosa, avendo cura innanzitutto di rimuovere ogni molecola di sporcizia e precedenti lubrificazioni con nafta, pennelli e compressore, per poi passare a lubrificare ex novo ogni singola componente che lo necessiti, viti e strozzatori intercambiabili compresi. La calciatura, se necessario, andrà ricondizionata: con specifico trattamento a cera o ad olio per i legni finiti in tal senso; con vernicette sintetiche per tutti gli altri. Una volta riposto in specifico armadietto blindato, che va collocato in locale asciutto, è bene che una volta al mese come minimo il fucile sia ripreso in mano e rioliato esternamente. Orbene, è certo che anche i fucili si possono poi rompere ‒ meno delle automobili e di tante altre diavolerie elettroniche d’ultima generazione (che paiono siano state fabbricate apposta per non durare), ma possono farlo ‒ se ben tenuta tuttavia, un’arma da caccia dura una vita e oltre, possedendo quindi la magica possibilità di cangiarsi in vero e proprio testimone da passare alle generazioni future perché la grande tradizione venatoria possa essere un valore condiviso per sempre. E chi ha provato il sommo piacere di ricevere in eredità i fucili del nonno e del babbo, talmente ben conservati che ancora li adopera per andarci a caccia, sa bene quanto sia bello poter stringere tra le mani dei veri e propri talismani su cui è come incisa l’anima di qui vecchi scomparsi che per tramite delle loro armi, del nostro amore, e del ricordo, ci camminano al fianco ad ogni uscita in campagna…!