A caccia con il setter gordon: un punto sulla razza con il dresseur Enrico Marchetti

Come molte altre razze il setter gordon ha visto nel tempo alleggerita la sua struttura a favore del galoppo e della resistenza nelle impegnative giornate di caccia in territori profondamente cambiati rispetto al passato. Questi adattamenti e miglioramenti operati dalla selezione lo rendono un cane ancora apprezzato dai cacciatori

Nulla finisce, ma tutto cambia e si trasforma. Potremmo iniziare parafrasando Lavoisier a parlare di quella che nella cinofilia è la costante selezione ed evoluzione delle razze in cui i soggetti che manifestano le migliori qualità vengono impiegati nella riproduzione per trasmettere e fissare tali caratteristiche nei cani che verranno poi apprezzati e dunque allevati dagli appassionati. Ma a quali caratteristiche si fa effettivamente riferimento? E a quale scopo? Le risposte a queste domande complesse trovano spesso risposte parziali che cercano di collocarsi a metà strada fra il rispetto della natura e della storia delle diverse razze e l’utilità che inevitabilmente contraddistingue la ricerca delle migliori prestazioni in questi cani selezionati fin dalle origini per la caccia e dunque il lavoro a contatto e in collaborazione con l’uomo. Parlando del setter gordon come per molti altri cani da ferma, inclusi i setter inglesi, ma anche continentali, è invevitabile domandarsi cosa sarebbe oggi di questi cani se non fosse avvenuto il lavoro di selezione genetica che li ha portati ad adattarsi al profondo mutamento dei territori e dei selvatici differentemente diffusi rispetto al passato? Come possibile rinunciare oggi all’ampiezza della cerca e alla morfologia più funzionale alla resistenza nelle giornate di caccia spesso avare di incontri?

Inevitabilmente se non fosse avvenuta una certa selezione, l’interesse dei cacciatori si sarebbe concentrato su poche razze più diffuse a discapito di altre ancorate ai canoni di standard appartenenti al passato con una fine certa per questi cani non più apprezzati per la loro venaticità ma allevati come bellissimi esemplari da compagnia perdendo completamente tutta la storia legata alle origini di cani da caccia. Invece le storie dei cani da caccia sono fortunatamente legate a quelle di appassionati cacciatori, quindi cinofili e allevatori che non hanno voluto rinunciare a cani belli ma anche funzionali a caccia come il setter gordon che sicuramente ha visto la propria morfologia e mentalità cambiate negli ultimi decenni, ma proprio per questo ancora ricercati da chi vuole vivere le emozioni della caccia con dei cani capaci di adattarsi a diversi ambienti alla ricerca di altrettanti differenti selvatici. La caccia tutta infatti, soprattutto quella direttamente correlata alla cinofilia, viene oggi praticata per passione e coltivata ai livelli di un’arte estetica, ma non rinuncia per questo alla sostanza, dunque all’incontro con i selvatici che può realizzarsi solo con cani capaci di ispezionare con avidità e metodo i territori sempre più avari di occasioni.

Negli ambienti umidi e nella caccia al beccaccino il setter gordon selezionato sin dalle origini nelle torbiere della Scozia esprime ancora al meglio le sue qualità

Dal mutamento dei territori derivano cani che non possono perdere concentrazione e ritmo nel movimento, mantenendo un raggio d’azione ampio e una cerca avida, attenta a non sciupare emanazioni che devono poi concludersi in modo efficace arrivando alla ferma solida e sicura sui selvatici dando la possibilità al cacciatore di raggiungere il punto dell’incontro e finalizzare l’azione. Semplice da dire, molto faticoso da vedersi realizzare, ma le probabilità aumentano quando si mettono in campo cani provenienti da linee di lavoro selezionate e per questo molto più inclini a sviluppare quelle qualità morfologiche e psichiche in funzione della caccia. Ne parliamo con Enrico Marchetti, che utilizza i setter gordon sia nelle prove cinofile specialistiche, sia nella caccia al beccaccino, nelle risaie della Lomellina che ricordano sicuramente più di molti altri, gli ambienti palustri e le faticose torbiere scozzesi in cui questa razza è stata creata e selezionata in origine per ottenere dei cani resistenti e collegati nell’azione di caccia.  

Collegato e solitamente collaborativo con il conduttore,  il setter gordon si adatta alla caccia in diversi ambienti

I primi gordon stando alle fonti ufficiali erano indubbiamente cani di temperamento ma altrettanto imponenti nella struttura pesante che oggi risulterebbe macchinosa, lenta e poco funzionale nella maggior parte dei territori. Per questo la selezione ha operato un alleggerimento non solo degli arti ma anche del cranio di questi cani lasciandoci ammirare oggi dei soggetti dalle forme armoniche e proporzionate, fisico potente e saldo sugli arti ma inevitabilmente più snello e fluido nei movimenti. Alla morfologia segue un potenziamento del galoppo che pur rispettando l’indole più riflessiva e collegata dei setter gordon rispetto ad altre razze non rinuncia ad un’azione brillante nel ritmo e ad una cerca avida e ampia nel raggio. Nei buoni soggetti, perché sappiamo che nella cinofilia ha molto più senso parlare di soggetti piuttosto che di razze, il setter gordon è oggi un cane molto godibile nell’azione, sempre collegato al proprio conduttore ma intraprendente nell’ispezione del terreno di caccia che viene perlustrato con attenzione e metodo. La mia personale esperienza con questa razza, al di là degli studi e degli approfondimenti personali conta soltanto poche stagioni di caccia condivise con un giovane soggetto che sto ancora addestrando ma che tuttavia evidenzia buone potenzialità; lascio dunque alle immagini e alle parole del ben più navigato dresseur Enrico Marchetti il compito di tracciare un profilo tecnico e attuale dei suoi setter gordon.

Video: Il setter gordon a caccia