Bello e bravo, il cane come dovrebbe essere, ma ci crediamo tutti davvero?

Prendo spunto da uno scritto di Giovanni Battista Pesenti Gritti del 1954 che il Giudice Raimondi ha pubblicato sulla rivista ufficiale del Club Italiano Bleu de Gascogne “Chien”. È uno scritto appassionato, sincero, che non fa sconti e non si cura di quel consueto profilo equilibrato e politically correct cui siamo ormai abituati nella nostra epoca e che spesso, al di là di un corretto e rispettoso approccio più cauto agli argomenti, crea spesso una nebbia talmente fitta sulle opinioni delle persone tale da non riuscire più a comprendere se quelle stesse persone siano d’accordo o siano contrarie a quelle cose. 

Bellezza morfologica del cane e miglioramento delle performance sul lavoro

La questione è quella di cui, a quanto pare, dal 1954 a oggi non si è ancora trovato un sufficiente punto di incontro nel mondo della cinofilia tra coloro che coltivano con maniacalità la bellezza morfologica del cane e coloro che si impegnano senza sosta nel miglioramento delle performance sul lavoro. In mezzo a questo universo di cinofili, cacciatori, appassionati e allevatori, si pongono i mediatori, solitamente il corpo giudicante, incaricato, unitamente alla valutazione del segugio, di trasferire ai conduttori i valori e le utilità di costruire nel processo di selezione un cane che sia sempre più attinente allo standard morfologico e di lavoro. Queste due istanze sono due facce di una stessa medaglia e non ripeteremo per l’ennesima volta un concetto ormai acquisito: entrambi questi aspetti, quello morfologico o psico-attitudinale e quello di lavoro, ovvero venatorio, sono interdipendenti e l’uno è accessorio all’altro. Per tale ragione trascurare questi aspetti è tanto grave quanto privilegiarne uno solo. 

Se noi segugisti e appassionati, amiamo investire su soggetti costellati di titoli acquisiti unicamente sulle pedane delle esposizioni, l’allevatore produrrà soggetti sempre più in linea con le caratteristiche fenotipiche richieste da quel tipo di giudizio e continuerà a trovare clienti che, in molti casi, resteranno poi delusi dell’incapacità del cane di diventare, un buon soggetto a caccia

Nella selezione l’eccesso di cura nella bellezza che fa recedere la funzione venatoria del segugio o l’esasperazione delle caratteristiche venatorie del cane che lo rende in certi casi quasi un alieno allo standard di razza, compromettono inevitabilmente il miglioramento del segugio e disattendono la funzionalità generale per cui quella tipologia è stata selezionata, fissata in uno standard definito e acquisita nell’elenco delle razze tutelate dalla FCI. Nel caso del segugio, in particolare, la sua selezione è stata utile e necessaria per consentire all’uomo di cacciare specie di animali da pelo di piccole o grandi dimensioni. Questo obiettivo è e deve restare un assioma nel processo di selezione e non deve mai essere trascurato per non disattendere la finalità stessa della cura del cane. Tuttavia, questo esercizio delle doti venatorie è indubbiamente espletato dal cane nel migliore dei modi, solo nel momento in cui il soggetto è forte di tutti quei requisiti morfologici che gli sono richiesti, proprio perché quei dettagli e quei pregi sono accessori al suo lavoro. Per dirla in termini meno raffinati potremmo dire che un operaio che debba costruire un muro ha bisogno di mattoni, di una cazzuola, di calce e un secchio e dovrà anche metterci una certa abilità manuale nel distenere la malta e fortificare ogni singolo blocco che comporrà la sua opera. Quell’operaio troverà grande difficoltà nel completare il suo lavoro se la cazzuola non avrà la giusta forma ma sarà un bastone che rende difficile mescolare e sollevare la malta, sarà impedito nel realizzare un muro che abbia un piombo spiccato e una bolla ben equilibrata se i mattoni non saranno tutti della stessa dimensione e sicuramente impiegherà molto più tempo se la sua abilità non sarà forte di movimenti sinuosi, sicuri che gli facciano risparmiare tempo e energie. Alla fine della sua giornata, l’operaio avrà comunque eretto il suo muro e avrà sicuramente realizzato il suo obiettivo ma sarà stanco, logorato, la sua opera sarà scomposta e con buona probabilità quel muro non si mostrerà mai come un manufatto lineare e ben realizzato.

Il segugio

Questa premessa è necessaria, perché pur apprezzando l’invettiva sincera e focosa del Pesenti Gritti, non dobbiamo cedere alla passione ma osservare sempre con doveroso raziocinio le cose e i fatti. “Rispondo all’interrogatorio posto dall’Avv. Fioravanti nel n.13 di Diana e con me tutti i segugisti, quei cacciatori pratici amanti del segugio buono, il segugio che rende, che lavora, serve in caccia e non il mammalucco da esposizione selezionato solo per far di sé bella mostra su una pedana, istruito solamente per passare davanti al giudice. Questo è il segugio di facile produzione e la maggioranza degli allevatori italiani lo ha scelto per smerciare facilmente e a prezzo elevato, imbrogliando così legalmente l’ingenuo pubblico dei segugisti con l’ostentazione dei numerosi premi, dei CAC e dei titoli di Campione, messi in risalto nei lunghi pedegree, ottenuti dagli antenati nelle principali città d’Italia”. 

Nel giusto equilibrio fra le doti venatorie e il rispetto dei canoni di appartenenza alla razza si trova il segugio ideale

Così il Gritti replica nel dibattito a distanza aperto con l’Avv. Fioravanti, mostrando, oltre alla sua profonda passione per il cane da lavoro, una evidente invettiva contro tutti quegli “imbroglioni” che utilizzano la selezione e le esposizioni per raccogliere titoli e qualifiche da ribaltare sul mercato del segugio per piazzare soggetti che nella loro vita non saranno mai buoni cani da caccia e, nel migliore dei casi, potranno diventare soggetti mediocri. Ancora oggi, la diatriba è aperta e il fronte dei cacciatori e appassionati, insiste sulla scelta di soggetti pratici ed efficaci, valutati unicamente per le prestazioni venatorie e destinati a diventare riferimenti indiscussi del loro universo cinotecnico. Dall’altra parte l’attinenza allo standard fa preferire soggetti morfologicamente ideali, belli in pedana e capaci di riempire gli occhi anche dei meno esperti, in grado di rastrellare qualifiche e CAC a sufficienza per diventare punti di riferimento nel panorama quella razza e magari raccogliere anche qualche immeritato successo sul campo, frutto più della sommatoria di punti in morfologia che per una effettiva capacità di interpretare il ruolo di segugio deputato al rintraccio, allo scovo e alla seguita di un animale da pelo, lepre o cinghiale che sia. Come sempre in medio stat virtus (nel mezzo sta la verità). In questo caso il punto di mezzo non è una sfumatura che accenna per par condicio ai due estremi, ovvero: un po’ di bellezza e un po’ di lavoro per tenersi in equilibrio; vuol dire invece un punto di incontro in cui la componente morfologica e quella venatoria siano fissate al punto in cui l’una esalta l’altra, l’una è accessoria all’altra e l’una aiuta a raggiungere i livelli di eccellenza cui la selezione del segugio deve tendere.

La bellezza nel cane è un aspetto morfo-attitudinale che include, oltre a proporzioni armoniose, tratti caratteriali equilibrati, movimenti in ottimo stile di razza, voce e capacità di interpretare con il proprio conduttore il ruolo di ausiliare preposto alla caccia. 

Richiamando il Solaro, il Gritti muove un’altra accusa verso i “puristi” della bellezza, un monito che richiama la ritempra della razza come necessaria per evitare di perdere proprio quelle doti venatorie necessarie al cane per essere un buon ausiliare e che, per il desiderio di modellare stilisticamente i soggetti in maniera esasperata, rischia di perdersi nella consanguineità, nella perdita di caratteristiche antiche, nella soppressione della razza stessa piuttosto che uscire dall’impronta di indubbia piacevolezza del cane che ne compromette la funzionalità. 

Una visione cruda, che richiederebbe periodicamente anche la possibilità di inserire soggetti esteri di altra estrazione nelle cucciolate per rinforzare il patrimonio genetico generale e rinvigorire quei tratti che l’utilizzo degli stessi stalloni spesso rischia di far perdere in molti allevamenti. Ci sono da fissare due aspetti a chiusura di questo passaggio: il concetto di bellezza e la funzione dell’allevatore nella selezione di una razza. Per quanto concerne la bellezza, nel segugismo non parliamo mai di “bellezza estetica”, queste caratteristiche appartengono all’arte, alla moda, al gusto, sono aspetti puramente marginali che nel cane non riscontriamo. La bellezza nel cane è un aspetto morfo-attitudinale che include, oltre a proporzioni armoniose e a pregi oggettivi, tratti caratteriali equilibrati, movimenti armoniosi e in ottimo stile di razza, voce e capacità di interpretare con il proprio conduttore il ruolo di ausiliare preposto alla caccia. Dunque, in virtù di quanto detto finora, se di bellezza parliamo non ci discostiamo poi molto dalle caratteristiche venatorie del cane, non me ne vogliano i tassonomisti ma la bellezza nel cane è di fatto una componente determinante delle caratteristiche venatoria. Dall’altra parte è evidente il ruolo degli allevatori. Questi, in molti casi, sono prima di tutto imprenditori, hanno obiettivi economici e costruiscono il loro prodotto in relazione a quello che il mercato assorbe meglio e paga di più. Questa brutale applicazione delle regole di marketing alla cinofilia sembra spaccare in due il cuore di quella che per molti di noi è e resta unicamente una pura passione, eppure così stanno le cose. Chi vende cani cura il suo “prodotto” e la sua aziende seguono regole che il mercato è disposto ad accettare. Se il mercato, ovvero noi segugisti e appassionati, amiamo investire su soggetti costellati di titoli acquisiti unicamente sulle pedane delle esposizioni, l’allevatore produrrà soggetti sempre più in linea con le caratteristiche fenotipiche richieste da quel tipo di giudizio e continuerà a trovare clienti che, in molti casi, resteranno poi delusi dell’incapacità del cane di diventare, non tanto un fenomeno, ma anche solo di raggiungere il minimo sindacale richiesto a un cane da seguita. Il Pesenti Gritti è portatore di un messaggio genuino, anche se eccessivamente schierato, tuttavia è importante rileggerlo per capire come a distanza di oltre mezzo secolo non siamo ancora riusciti a trasferire alla comunità cinofilia il messaggio di cane “bello e bravo” occupandoci tanto, anzi tantissimo di organizzare eventi e concedere qualifiche e titoli e poco, anzi pochissimo, di formare i conduttori, trasferire conoscenza, educarli, concedere il tempo necessario a ognuno di loro per addentrarsi nel vivo della selezione e scoprire che dietro il cane non c’è solo il lavoro ma c’è una razza e dall’altra parte dietro la bellezza non c’è solo l’opportunità ma un accessorio determinante per il segugio per costruire le sue fasi di lavoro e dare soddisfazione al proprio conduttore dopo una seguita lunga, lunghissima ed emozionante.