Caccia e cinofilia: addestramento del segugio secondo la scienza

Come abbiamo tante volte ribadito il cane è un sistema complesso di apprendimento che, alla stregua dell’uomo, compie passaggi determinanti per arrivare a completare la propria formazione. In questo quadro cognitivo la componente scientifica è molto più pregnante di quanto non lo siano le nostre convinzioni su come si addestra un cane o come questo dovrebbe rispondere a certi stimoli. La scienza ci mostra un quadro quasi sempre diverso da quello attuato da noi cacciatori con il risultato che, quasi sempre, un buon cane è più frutto del caso che non della nostra capacità di metterlo in condizioni di lavorare bene.

Se la razza non ci somiglia, difficilmente riusciremo a ottenere buoni risultati perché inconsapevolmente cercheremo nei segugi comportamenti a noi più confacenti o per noi più validi, trascurando o addirittura soffocando, alcuni altri comportamenti invece tipici di quella razza.

Esiste una serie di comportamenti solo apparentemente improvvisati, una costante ripetizione di alcuni atteggiamenti che ci convincono come il cane sia una profonda costruzione di memorie, genetiche e comportamentali, capaci di generare in esso atteggiamenti e iniziative tipiche dell’educazione. Non è un mistero che l’addestramento sia una lunga scuola da cui i segugi, partecipando con disciplina e attenzione, apprendono funzioni e conoscenze richieste loro dall’uomo per assolvere i compiti loro assegnati. Come ogni altro essere, anche il cane ha diverse fasi dell’apprendimento, legate sicuramente all’età e alle esperienze, ma connesse più profondamente anche all’appartenenza, alla discendenza e al “sapere” che una specie prima ancora e una razza subito dopo, hanno fissato in centinaia di anni nell’impianto genetico di un animale.

Questi momenti formativi, inneschi che fissano processi comportamentali, si consolidano nel soggetto grazie a serbatoi di memoria su cui con grande facilità trovano appiglio. Il cane, molto più agevolmente dell’uomo, vive una condizione naturale è pertanto facilitato nel “disegnare” quel filo conduttore unico tra stimolo/esperienza e memoria/genetica. Mentre l’uomo deve farsi strada a tanti separatori e ostacoli che si frappongono tra la sua natura “animale” e la sua natura “sociale”, il cane può vivere una condizione più immediata.

Se sbagliamo nelle fasi di addestramento, imprimiamo nella memoria del soggetto traumi spesso irreparabili, come la paura allo sparo ad esempio che non è un carattere ereditario. 

Il processo di apprendimento: le tre memorie dei cani

In accordo con quanto ci insegna la Prof. Fossati, possiamo confermare che il cane abbia 3 memorie distinte che partecipano alla sua formazione: memoria di ceppo, di razza e soggettiva. Sono 3 istanze fondamentali, senza conoscere le quali, spesso ci si avventura in tentativi di educazione del cane improvvisati o infruttuosi. La memoria di ceppo è l’insieme delle caratteristiche legate alla tipologia del cane. Un cane selezionato per la guardia, la difesa o la caccia, è stato scelto e affinato in questo compito perché ha evidenziato delle caratteristiche naturali che lo hanno classificato come “utile a quello scopo”. La memoria di razza attiene a ogni singola razza selezionata dall’uomo e alle caratteristiche ha insite quella particolare linea di soggetti. Sono caratteristiche che la selezione di tanti allevatori contribuisce a imprimere nella razza, condizioni basilari tipiche che si trasmettono di soggetto in soggetto. In questa fase subentra il ruolo del cacciatore o del cinofilo e la profonda attenzione da prestare nella scelta della razza, proprio per non creare quell’attrito tra le proprie caratteristiche e quelle della razza, che tante volte abbiamo ripreso come motivo fondante di un addestramento infruttuoso.

Il cane ha 3 memorie distinte che partecipano alla sua formazione: memoria di ceppo, di razza e soggettiva.

Dobbiamo conoscere molto bene una razza prima di sceglierla, studiarla, analizzarla, possibilmente osservarla tante volte in azione, seguendo l’esibizione di diversi soggetti perché si possa individuare da questo studio quelle caratteristiche peculiari e capire se fanno al caso nostro. Come i cani, noi stessi abbiamo una nostra “memoria di razza”, una serie di condizionamenti e processi cognitivi che provengono dal nostro retaggio culturale, dalla nostra discendenza, dalla nostra cultura. Siamo pertanto inclini ad apprezzare alcuni aspetti del cane, privilegiare certe espressioni e dare più seguito a particolari caratteristiche. Se il cane non ha quelle attitudini, detta più semplicemente: se la razza non ci somiglia, difficilmente riusciremo a ottenere buoni risultati perché inconsapevolmente cercheremo nei segugi comportamenti a noi più confacenti o per noi più validi, trascurando o addirittura soffocando, alcuni altri comportamenti invece tipici di quella razza. 

Questi aspetti si notano in noi cacciatori quando passiamo da una razza all’altra o tentiamo di inserire in un gruppo di soggetti di una razza, qualche altro soggetto proveniente da una razza spesso diametralmente apposta. Per esempio: cinofili e cacciatori abituati a cacciare con segugi maremmani troveranno difficoltà a rapportarsi con modi e standard di lavoro di segugi francesi, efficaci cacciatori anch’essi ma molto diversi nel modo e nella forma di cacciare. L’uomo dovrà in quel caso “resettare” quanto ha appreso dai propri cani e quanto creda sia corretto per la loro preparazione e “ascoltare” più le esigenze della razza per meglio indirizzare i nuovi soggetti. Questo passaggio è tanto critico quanto raffinato e non sempre la nostra pazienza ci aiuta ad affrontarlo nel modo giusto. C’è poi un’ultima memoria, quella soggettiva, l’insieme di caratteristiche fissate in ogni soggetto e che solo a quel soggetto appartengono. Sono impresse nel cane da condizioni ambientali, dalle abitudini, dal luogo in cui vive, dalla possibilità di uscire o avere spazi olfattivi ampi in cui esercitarsi e sentirsi libero, dipende dall’addestramento, dalle nostre scelte e da come lo conduciamo. In questa fase la presenza dell’uomo è determinante e creare quelle condizioni ideali perché il cane possa trovare libertà e piena attività è fondamentale. Quest’ultima memoria è la più evidente per noi e spesso anche quella più importante.

È necessario conoscere molto bene una razza prima di sceglierla, osservarla tante volte in azione, seguendo l’esibizione di diversi soggetti perché si possa individuare da questo studio quelle caratteristiche peculiari e capire se sono a noi congeniali.

Se sbagliamo nelle fasi di addestramento, imprimiamo nella memoria del soggetto traumi spesso irreparabili, come la paura allo sparo ad esempio. Su questo tanto dibattuto punto vale la pena ricordare che la “paura allo sparo” non è un carattere ereditario. 

L’idea che possa esserlo e il consiglio di tanti allevatori e cacciatori di non far riprodurre padri e madri con questo problema è sbagliata, è un’altra chimera frutto della caccia vissuta solo per consuetudine e fin troppo lontano dalla scienza. In realtà la paura allo sparo, ripetiamolo ancora, è un trauma acquisito da un soggetto. 

Questo problema può verificarsi in soggetti che hanno una certa “delicatezza” psicologica, che non manifestano particolare vigore o peccano di forza caratteriale, sono soggetti più “delicati” pertanto più inclini a subire traumi permanenti, di qualsiasi genere. Un padre e una madre che abbiano manifestato paura allo sparo non producono cuccioli con la medesima paura, è un’eresia, potrebbero produrre cuccioli con caratteri delicati da instradare alla caccia con attenzione senza anticipare i passaggi. Sulle fasi operative dell’addestramento è ormai opinione comune che l’apprendimento cognitivo sia quello più fruttuoso e decisamente in linea con un rapporto uomo-natura sempre più sostenibile e corretto. L’apprendimento cognitivo contempla un rinforzo positivo durante le esecuzioni ben condotte dal cane, un premio, che valorizza il lavoro del cane mantenendo vivo quell’entusiasmo per l’azione di caccia ben condotta.