Starbucks: da noi niente armi!

Articolo disponibile anche in altre lingue


Starbucks: niente armi da noi!
Dopo le riforme degli ultimi anni, non esistono più stati USA che non prevedano qualche forma di licenza per il porto d'armi a scopo difensivo

Ha già scatenato feroci polemiche, ed è stata ripresa sia dai principali network d'informazione che da piattaforme on-line dedicate quali guns.com e gunssavelives.net: si tratta del più recente capitolo riguardante la rinnovata querelle che negli USA si trascina da quasi un anno riguardo al diritto dei cittadini statunitensi di detenere e portare armi come garantito dal Secondo Emendamento della Costituzione americana. 

Diritto che, dopo la tragica sparatoria presso la scuola elementare Sandy Hook di Newtown (Connecticut) dello scorso dicembre, è stato oggetto di pesanti attacchi legislativi di stampo disarmista, con conseguenze sotto gli occhi di tutti: fallimento completo sul piano federale, alcune restrizioni in stati già storicamente anti-armi − che dunque non fanno testo, peraltro alle prese con contestazioni in tribunale che potrebbero portare all'abrogazione! − ed una generale restrizione in Colorado, che ha avuto come conseguenza un referendum straordinario che ha portato alla cacciata dei legislatori locali che avevano appoggiato le leggi disarmiste −  e già si parla di una nuovo referendum per l'abrogazione delle leggi anti-armi così rapidamente fatte entrare in vigore.

Starbucks: niente armi da noi!
Anche il porto manifesto d'armi − la quintessenza del Secondo Emendamento − è molto praticato negli Stati Uniti

La partita non è ancora chiusa, entrambi i fronti continuano a lanciarsi occhiatacce dalle rispettive trincee nonostante i tentativi degli anti-armi siano finora in gran parte falliti e le vendite delle armi siano salite alle stelle. 

Non è infatti un mistero che, in seguito alla sparatoria presso il quartier generale della Marina Militare a Washington, la scorsa settimana, il fronte disarmista USA stia timidamente − e senza troppe speranze − alzando di nuovo la voce, nonostante persino il comico Bill Maher abbia avuto a dire che "Ormai il Gun Control è morto, e l'NRA sa di poter ottenere tutto quello che vuole". 

Le sconfitte − purtroppo − non hanno mai indebolito il fronte anti-armi statunitense, così come non lo hanno mai fatto i fallimenti delle sue politiche, ad esempio quelle implementate nella città di Chicago, "patria" del Presidente Obama, che coi suoi ban sulle armi sportive moderne (quelle d'aspetto militare) e sulle armi corte resta, comunque, la capitale americana degli omicidi e dei crimini violenti.

Starbucks: niente armi da noi!
Anche negli USA, come in Italia, i titolari di porto d'armi non possono comunque entrare armati in molti edifici, pubblici e privati

In questo marasma, s'inserisce l'annuncio fatto il 17 settembre da Howard Schultz, Presidente del Consiglio d'Amministrazione della Starbucks − la più popolare catena di caffetterie d'America, e di sicuro la più famosa al mondo − e confermato da una circolare inviata a tutti i punti vendita negli USA: da oggi in poi le caffetterie Starbucks negli Stati Uniti non gradiranno più l'ingresso di clienti armati, anche in quegli Stati, in quelle località e in quelle condizioni che lo consentirebbero legalmente, con l'unica eccezione del personale di Polizia in servizio.

La decisione di Starbucks è, tecnicamente parlando, perfettamente legale. Negli Stati Uniti, infatti, qualsiasi esercizio pubblico può decidere se consentire o meno l'accesso ai propri locali alle persone che portino armi, a seconda − o a prescindere − dalle leggi e dai regolamenti in vigore al riguardo nella Città, Contea o Stato d'appartenenza. Allo stato attuale dei fatti, dopo la caduta dell'ultimo "bastione" − ancora una volta, l'Illinois − avvenuta proprio quest'anno, in tutti e 50 gli Stati USA esiste la possibilità di richiedere ed ottenere (più o meno facilmente, a seconda dei regolamenti statali) il CCW, o Concealed Carry of Weapon License, l'equivalente del nostro porto d'armi per difesa personale, concesso però generalmente in base a criteri meno restrittivi dei nostri in quanto, per l'appunto, il porto d'armi è considerato diritto costituzionale per i cittadini americani.

Non è vero − come sostengono invece i mass-media − che negli Stati Uniti si possa liberamente girare armati. In alcuni Stati, tuttavia, è consentito − previo il rilascio di una licenza, o senza licenza alcuna − il porto manifesto da parte dei cittadini incensurati: questo perché, non essendo l'arma portata a vista considerata "insidiosa", e in considerazione ancora una volta del diritto costituzionale, il porto di un'arma nascosta e il porto di un'arma, invece, in piena vista, sono considerate cose completamente separate. Anche sotto questo punto di vista, l'America risulta oggi spaccata: anche negli Stati, nelle Contee e nelle Città più permissive, si sono riscontrati ultimamente molti casi di persone che esercitavano il diritto al porto manifesto fermate dalla Polizia in maniera poi risultata arbitraria, in base a semplici politiche interne alle Forze dell'Ordine che (come in Italia!) sono ufficialmente contrarie alla diffusione delle armi tra i comuni cittadini. Inoltre, a livello locale, statale e federale, vigono delle leggi che vietano anche a chi sia in possesso dei requisiti di legge di introdurre armi all'interno di alcuni edifici pubblici − proprio come in Italia − e persino ad una certa distanza da essi: sono le famose Gun-Free Zones, in vigore ad esempio nei dintorni di tribunali, uffici pubblici e scuole, che lungi dall'essersi dimostrate efficaci si sono spesso trasformate nei teatri dei peggiori massacri che la storia americana recente ricordi, trattandosi di nient'altro che luoghi ove un gran numero di persone disarmate, dunque incapaci di difendersi, può facilmente cadere preda di criminali o stragisti armati fino ai denti, ai quali sicuramente importa poco delle leggi.

Starbucks: niente armi da noi!
Sono in molti a vedere, nella decisione di Starbucks, un ennesimo colpo di coda disarmista in seguito alle sconfitte subite dal fronte anti-armi negli ultimi mesi
Starbucks: niente armi da noi!
La proibizione va in controtendenza coi dati, che dimostra come le località USA con le leggi meno restrittive sul porto d'armi siano quelle più tranquille dal punto di vista della criminalità

Tuttavia, sinora, la catena Starbucks si era dimostrata piuttosto sensibile al tema del rispetto dei diritti garantiti dal Secondo Emendamento: così come altre catene quali McDonald's e Dunkin' Donuts, la loro posizione sul porto d'armi entro i loro punti-vendita era stata fino ad adesso improntata ad una politica di rispetto di leggi e regolamenti vigenti nelle diverse giurisdizioni d'appartenenza − Città, Contee, Stati − senza l'applicazione di restrizioni aggiuntive. 

Questo aveva portato alcuni osservatori a definire "pro-armi" la catena Starbucks, che è molto radicata nelle città più importanti (New York, Boston, Chicago, Los Angeles), che sono proprio quelle con le leggi più restrittive e proibizioniste al riguardo. Ufficialmente, è questo il motivo per cui la catena ha cambiato politica: nel comunicato si dichiara che Starbucks non prende posizione, né "Pro", né "Contro", ma che, per non "disturbare o offendere alcuni clienti che potrebbero non vedere di buon occhio gente armata nei locali", da oggi "rispettosamente chiederà a tutti i clienti − ad eccezione dei membri delle Forze dell'Ordine in servizio − di non entrare armati nei locali"

Tuttavia, al personale dei punti vendita è stato richiesto di "non affrontare, non cacciare e non 'chiedere di andarsene' a nessun cliente che entrasse armato nei locali": una posizione che, per usare un termine tipicamente italiano, potremmo definire "cerchiobottista", un tentativo di mantenere una certa neutralità sul tema − della quale comunque nessuno dubitava la mancanza da parte di Starbucks anche prima! − e di non perdere la clientela degli appassionati di armi, che sono maggioritari soprattutto negli Stati centro-meridionali degli USA e che, in generale, potrebbero portare un grave danno economico all'azienda se decidessero di scatenare un boicottaggio.

Starbucks: niente armi da noi!
Le "Gun-Free Zones", negli Stati Uniti, lungi dal garantire maggiore sicurezza sono state teatro delle peggiori stragi degli ultimi anni

Quale sarebbe, dunque, il problema? Secondo molti analisti vicini al fronte pro-2nd Amendment statunitense, il tutto s'inserirebbe all'interno di una strategia concertata per vanificare le recenti leggi americane a favore del porto d'armi, e a far venire invece in essere una sorta di "ripicca" del fronte disarmista contro tali leggi stesse e contro le bocciature dei suoi provvedimenti. Sono infatti molti − troppi, secondo gli analisti pro-gun − in tutt'America gli esercizi commerciali che decidono di chiudere le porte ai clienti legalmente armati

La strategia sarebbe di una semplicità disarmante: vanificare gli sforzi che negli ultimi anni hanno portato al riconoscimento universale del diritto degli americani di circolare armati per difesa, semplicemente limitando il numero di luoghi in cui essi possono entrare portando con sé le proprie armi difensive, legalmente detenute e portate. Sempre secondo gli stessi analisti, non è un caso che a fare queste scelte siano alcune delle catene più importanti, o con ramificazioni e radicazioni importanti nelle più grandi città d'America: tutto si ricollegherebbe al supporto della èlite finanziaria USA alla lobby anti-armi.

Starbucks: niente armi da noi!
Eppure, ancora numerosi locali pubblici continuano a dare il "benvenuto" ai clienti con armi al seguito... meno male!

Non è becero complottismo: è un fatto che numerosi importanti magnati americani, a prescindere dal loro orientamento politico − dal repubblicano Michael Bloomberg, Sindaco di New York, al democratico George Soros, consigliere di Barack Obama − abbiano spesso manifestato il loro aperto appoggio ai movimenti anti-armi statunitensi ed internazionali, finanziandone anche pubblicamente le campagne. 

È il caso del recente referendum in Colorado di cui abbiamo parlato in testa a quest'articolo, ove i politici disarmisti "licenziati" − Angela Giron e John Morse nello specifico − sono stati sostenuti, nella loro campagna per il mantenimento delle loro posizioni, dai fondi elargiti da Michael Bloomberg medesimo.

Salta certo all'occhio di tutti gli americani, e di chiunque altro osservi bene la situazione, come cotanti filantropi, che da una parte sostengono la necessità di disarmare i comuni cittadini americani per "maggiore sicurezza dei nostri figli", dall'altro si godano la vita dietro il riparo offerto da generose scorte armate − spesso anche di quelle armi da guerra prodotte dopo il 1986 che il cittadino americano comune non può possedere in nessun caso, anche qualora abbia la fortuna di ottenere la rarissima licenza che consente l'acquisto di armi a raffica! − a volte pagate proprio dai contribuenti americani.