Revoca e mancato rinnovo del porto d’armi: come funziona

L'Art. 11 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza

La revoca del porto d’armi è un istituto giuridico attraverso cui la Pubblica Sicurezza toglie la possibilità, ad un cittadino, di disporre, acquistare e trasportare armi, loro componenti e munizioni. 

Un primo riferimento normativo all’istituto della revoca viene fatto all’art. 11 del Testo Unico delle legge di Pubblica Sicurezza il quale, al terzo comma, prevede, seppur in maniera estremamente generica, la possibilità di revoca nei confronti di quelle persone nei confronti delle quali siano venute meno le condizioni che abbiano prima ancora permesso il rilascio della stessa licenza di porto d’armi. 

Palazzo Spada
Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato.

Continua, stabilendo che la licenza di porto d’armi debba essere revocata se, in capo al soggetto interessato, si siano presentate circostanze che, a far data della prima istanza di rilascio, ne avrebbero potuto imporre il diniego. La previsione de quo, non a caso, appare estremamente generica. 

E tale genericità, se da una parte convalida e rafforza quello che è il potere discrezionale del questore (nel caso del porto d’armi ad uso venatorio) nel rilasciare o meno il porto d’armi, dall’altra dà luogo nelle aule di tribunale ad interessanti questioni non sempre di facilissima soluzione dando vita ad altrettanto interessante giurisprudenza, che vedremo tra poco.

Riprendendo l’art. 11 del TULPS, al primo comma, evinciamo che le licenze di polizia debbono essere necessariamente negate

  1. A chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo (in cui, cioè, rileva la volontarietà dell’atto stesso) e non ha ottenuto la riabilitazione. 
  2. A chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Ragioniamo su questi due punti. Prima di tutto, come logica vuole, il testo parla di negazione del porto d’armi. Anche qui, la dicitura generica avvalora il potere discrezionale del questore il quale è chiamato a diniegare in prima istanza la licenza in oggetto nel caso in cui le condizioni ostative siano antecendenti alla richiesta stessa o, altresì, a revocarle per situazioni giuridiche venute in essere successivamente. Il porto d’armi deve essere negato a chi pone in essere reati in cui rileva la volontarietà dell’atto stesso, e cioè, come riporta il testo, non colposi. 

La pena comminata per questi reati deve essere superiore a tre anni. Interessante, sia dal punto di vista squisitamente giuridico che giurisprudenziale, è il riferimento che il legislatore fa all’istituto della riablitazione. L’istituto della riabilitazione è istituto peculiare del diritto penale e processuale penale. Esso consente alla persona condannata di ottenere l’estinzione degli effetti della condanna penale che ha subito esclusivamente dal momento in cui lo stesso soggetto ha dimostrato evidenti segni di ravvedimento. Vedremo tra poco come la Giurisprudenza interpreta questa problematica.

L'Art. 43

Altro riferimento alle casistiche di diniego o revoca del porto d’armi è ravvisabile nell’art. 43 del TULPS.

Oltre a quanto stabilito dall’Art.11, non può essere autorizzato a portare armi rispettivamente:

  1. Chi ha riportato condanna alla pena restrittiva per delitti non colposi contro la persona commessi con violenza, e cioè furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione.
  2. A chi ha riportato condanna alla pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico
  3. A chi ha riportato condanne per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.

L’art. 43 del TULPS amplia notevolmente la casistica della revoca o diniego del porto d’armi. Quelli che sono i beni giuridici anche costituzionalmente tutelati in questo caso sono la pubblica sicurezza e anche la sicurezza delle istituzioni e la loro autorità.

Pistola semiautomatica
La riabilitazione consente di riottenere il porto d'armi.

Proseguendo, all’ultimo comma è stabilito che il porto d’armi può essere ricusato a chi si sia visto comminare pene diverse da quelle di cui sopra, e non può provare la sua buona condotta o non da affidamento di non abusare delle armi. Il comma de quo è certamente interessante. Prima di tutto amplia in modo vastissimo quella che è sempre la discrezionalità del questore nel rilascio della licenza. 

Pone però la possibilità in capo al soggetto che si vede revocare o diniegare il porto d’armi, la possibilità di comprovare la sua affidabilità e non stabilisce in modo puntuale e preciso attraverso quali strumenti e quali canali dar riprova della stessa. In questo modo è possibile sottendere alla fattispecie un numero maggiore di “prove” che il soggetto può utilizzare per comprovare alla questura la sua affidabilità e la mancanza del pericolo di un abuso delle armi.

Sull’art. 43 del TULPS il Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli ha sollevato questione di costituzionalità rimettendo il giudizio alla Corte Costituzionale, organo deputato al giudizio di costituzionalità. In particolare, il Tar sostiene che sia incostituzionale quello che è il meccanico ed automatico diniego o revoca del porto d’armi nel caso in cui si presentino le condizioni espressamente previste dall’art. 43 anche se risalenti nel tempo. 

La Giurisprudenza

La Giurisprudenza in materia di revoca di porto d’armi è assolutamente vastissima. In particolare, questa ricomprende sentenze sia della Cassazione che del Consiglio di Stato. 

Partendo da quest’ultimo, e facendo un riferimento all’istituto della riabilitazione di cui sopra, è interessante l’analisi della Sentenza 27 Aprile 2017 n.1766 con cui il Consiglio di Stato. Vediamo il caso. Tizio negli anni '90 viene condannato per lesioni personali e la pena viene commutata da detentiva a pecuniaria. Nel 2010 si vede restituito il porto d’armi che gli era stato ritirato. 

Cacciatore
Il cacciatore deve dar prova di non poter abusare delle armi.

Nel 2016 si vede negato il rinnovo in quanto la condanna di cui sopra rappresentava motivo ostativo. 

Tizio impugna il provvedimento di diniego ed ottiene, davanti al Consiglio di Stato, il riconoscimento del proprio diritto. 

Interessante è la pronuncia dell’organo giudicante che l’autorità amministrativa non deve disporre senz’altro la revoca della già rilasciata licenza, ma può valutare le relative circostanze ai fini dell’esercizio del potere discrezionale.

Altra interessante sentenza è quella del TAR di Potenza (n. 394 del 26 maggio 2017). Vediao il caso. Caio riceve una condanna per reato di furto. Dopo questo episodio, e dopo aver ottenuto la riabilitazione da parte del Tribunale di Sorveglianza, intraprende uno stile di vita ispirato alla legalità, affidabilità e integrità. In fase di rinnovo del porto d’armi, la questura sostiene che la condanna da questo subita molti anni prima rappresenta motivo ostativo. A questo punto Caio presenta ricorso al TAR ed ha la meglio. In questo caso come ha ragionato il giudice amministrativo?

Per quanto vero che i reati di cui all’art.43 del TULPS rappresentino motivi ostativi, c’è da dire che l’analisi concreta delle circorstanze e dell’affidabilità del soggetto al maneggio delle armi rappresenta uno strumento di temperamenti nei confronti di una seppur così precisa ed esclusiva previsione normativa. Caio, secondo il TAR, è persona che non presta il fianco al dubbio di poter abusare delle armi che chiede di poter detenere ed usare.

Corrado Maria Petrucci 
Consulente Legale

 

Email: petrucci.cmp@gmail.com