Decreto Legge n. 95

In questa torrida estate 2012 la materia delle armi continua a essere di attualità nelle aule parlamentari. Alla fine di giugno avevamo commentato l’emanazione del D.L. n. 79, il cui articolo 1 conteneva delle disposizioni inerenti l’attribuzione al Banco Nazionale di prova della potestà di riconoscere la natura di arma comune e la classificazione a uso sportivo, in sostituzione del soppresso Catalogo Nazionale.

Dopo circa un mese, in occasione della conversione in legge del decreto stesso, tale norma veniva cancellata dal testo approvato al Senato, riportando tutto alla situazione venutasi a creare il 1° gennaio, data di effettiva soppressione del Catalogo.

Con il Decreto Legge con il quale il Governo ha introdotto nell’ordinamento i provvedimenti di riduzione della spesa pubblica, meglio noto come “Spending Review”, è stato reintrodotto un provvedimento normativo che, di fatto, ridà vita al già visto art. 1 dell’originario testo del D.L. n. 79.

Nel D.L. n. 95 del 6 luglio 2012 (ma la sua approvazione definitiva, con l’introduzione della disposizione di cui stiamo parlando, si è avuta il 31 di luglio), all’articolo 23, comma 12-sexiesdecies, troviamo, infatti, una norma che ricalca, in linea generale, quello che fu l’art. 1 del D.L. 79.

La norma ora riproposta appare un po’ più snella e meno arzigogolata, ma nella sostanza nulla è cambiato: di fatto, tutte le armi che saranno destinate a essere immesse sul mercato italiano dovranno passare per il nostro B.N.P., che ne dovrà valutare la natura di arma comune ed, eventualmente, anche le caratteristiche che la possano far considerare arma sportiva.

Per il Banco, quindi, dovranno transitare non solo le armi comuni prodotte in Italia, ma anche quelle importate, anche se già sottoposte a prova forzata da parte di un altro banco di prova riconosciuto in ambito C.I.P. Al nostro Banco spetterà l’onere di decidere se l’arma sia da considerare di tipo vietato o, in alternativa, comune. Quale unico parametro tecnico sulla base del quale l’ente preposto dovrà basare le sue decisioni, la norma indica espressamente due riferimenti, la legge n. 185 del 1990 e la classificazione contenuta nell’Allegato 1 della Direttiva 477/91/Ce.

La legge 185 del 1990 (che dovrebbe a breve essere sostituita da un nuovo testo) è quella che disciplina il commercio dei c.d. “Materiali d’armamento”; al suo articolo 2 (ma, soprattutto, nel D.M. a esso collegato) stila un elenco dei materiali in questione. Per quanto riguarda le armi di piccolo e medio calibro (ossia, quelle portatili), cita solo quelle a funzionamento automatico, lasciando intendere che le armi semiautomatiche o a ripetizione ordinaria non possono rientrare tra quelle da guerra. Questa definizione viene però contraddetta dal successivo regolamento di attuazione, nel quale sono incluse tra i materiali d’armamento anche armi a ripetizione manuale, quali i revolver e i fucili a pompa, a condizione, tuttavia, che siano stati “appositamente progettati per impieghi militari”.

Pertanto, se un’arma non fosse in grado di sparare a raffica e non sia stata progettata specificamente per un impiego bellico, questa dovrebbe essere considerata comune. Sulla stessa linea di pensiero si colloca anche l’altra classificazione richiamata dal legislatore, ovvero l’Allegato 1 della Direttiva 477/91/Ce, che definisce le armi proibite nella categoria A: tra queste vengono incluse quelle in grado di sparare a raffica, quelle in grado di lanciare una granata e quelle dissimulate sotto altre sembianze. Tenendo conto di questa classificazione, il novero delle armi proibite si allarga, ma non poi di molto. La pistola a forma di orologio o di accendino la si trovava solo nei film di James Bond, ma non nelle armerie, mentre i tromboncini lancia granate erano già stati proibiti dalle varie circolari ministeriali che negli anni hanno disciplinato la categoria delle armi demilitarizzate.

In sostanza, quindi, se il BNP, nella sua attività di verifica dovrà tener conto solo dei limiti fissati dalle due norme indicate dal legislatore, come prima conseguenza si avrà che nessun limite potrà più essere posto all’introduzione sul mercato di pistole semiautomatiche o a ripetizione manuale. Quindi, non solo il “micidiale” revolver in cal. 500 S&W Magnum non potrà più essere considerato arma tipo guerra, ma neanche tutte le pistole semiautomatiche in cal. 9x19 mm (il famigerato 9 Para), a meno che il Banco non riesca a dimostrare che si tratti di progetti destinati a un esclusivo impiego militare.

Stesso discorso dovrebbe valere per le armi lunghe in calibro .50 B.M.G. o similari; dovrebbero considerarsi vietati i fucili progettati per forniture militari, ma nessuna preclusione potrebbe essere posta a quelli d’impostazione prettamente sportiva.

Il discorso diventa più complesso quando si vuol valutare la capacità di sparare a raffica di un’arma; se si dovesse interpretare alla lettera la legge, il Banco dovrebbe limitarsi a verificare se l’arma ha un selettore per il tiro automatico e se questo funzioni o meno. Si tratterebbe di una semplice prova oggettiva da farsi in pochi secondi e con costi ridottissimi; basterebbe mettere 2 colpi nel caricatore, porre il selettore in posizione Full Auto, ammesso che ci sia, tirare il grilletto e vedere cosa accade. Se fosse così la cosa, sarebbe talmente semplice che non ci sarebbe neanche bisogno di scomodare un ente tecnico.

I problemi potrebbero sorgere se, invece, il Banco fosse chiamato dal Ministero dell’Interno (dal quale, tuttavia, non ha alcuna dipendenza) a dare applicazione alla circolare ministeriale del 20 settembre 2002 sulle armi “demilitarizzate”. Questa circolare prevede che su tali tipologie di armi, non solo non debbono essere presenti tutti quegli accessori tipicamente militari (tipo il grilletto invernale o l’alzo per le granate), ma il congegno di scatto non deve essere intercambiabile con quello montato sull’omologo modello militare. Per verificare l’osservanza di questa disposizione (che, comunque, essendo stata prevista da una circolare non ha alcun valore di legge e, quindi, non può vincolare un organo esterno all’Amministrazione della P.S. qual è il BNP), la CCCCA si avvaleva della collaborazione del Polo Mantenimento Armamento Leggero dell’Esercito di Terni, presso la cui “Raccolta Tecnica” (il museo delle armi più ricco e affascinante che si possa visitare in Italia) si trovano pressoché tutti i modelli di armi militari prodotte al mondo. Qui le armi da catalogare venivano smontate e confrontate con il loro corrispettivo bellico e ciò consentiva di accertare se le parti fossero o meno intercambiabili. Tutto ciò il BNP non può farlo, non perché non ne abbia le competenze, ma solo perché non possiede una raccolta di armi da guerra con cui fare i raffronti.

Da un punto di vista strettamente giuridico, il BNP non sarebbe tenuto al rispetto di quella circolare, ma solo della nuova legge, che, per giunta, non la richiama.

Tutto ciò dovrebbe significare (quando si parla di certi argomenti il condizionale è sempre d’obbligo) che le verifiche operate dal Banco saranno più snelle e semplici di quelle che faceva il vecchio Catalogo tramite la Commissione Consultiva Centrale.

Il problema di fondo, come tra l’altro puntualmente sottolineato dal giudice Mori in un suo recente scritto, semmai, sarà di natura amministrativa; di fronte a un diniego del Banco, cosa può fare il cittadino?

Il BNP, ad oggi, non è una pubblica amministrazione e, quindi, non emana atti amministrativi. Se questo ente dovesse rifiutare la punzonatura per una pistola in 9 Para o un fucile in cal. 12,7 mm, a chi si potrà ricorrere contro questa decisione? Non essendo quello del Banco un atto amministrativo, non certo al TAR e in assenza di una dipendenza gerarchico-funzionale con un Ministero, non si potrà adire il ministro competente con un ricorso gerarchico. L’unica soluzione percorribile rimarrebbe quella della magistratura ordinaria, in sede civile o penale, potendosi ravvisare un patito danno economico o un abuso di potere (in questo caso si dovrebbe ravvisare la qualifica di pubblico ufficiale per il direttore del BNP).