Comodato di armi: chiarimenti normativi e giurisprudenziali

I riferimenti normativi

Dal punto di vista delle norme che regolano la possibilità di cedere ad un terzo le nostre armi, partiamo prima di tutto dall’art. 22 della legge 18 aprile 1975 n. 110. Riportiamo, di seguito, il testo dell’articolo:

Non è consentita la locazione o il comodato delle armi di cui agli articoli 1 e 2, salvo che si tratti di armi per uso scenico, ovvero di armi destinate ad uso sportivo o di caccia, ovvero che il conduttore o accomodatario sia munito di autorizzazione per la fabbricazione di armi o munizioni ed il contratto avvenga per esigenze di studio, di esperimento, di collaudo.

Come è possibile evincere da una prima lettura, esiste un generico divieto di cessione di armi in comodato, ma il legislatore prevede una deroga, una eccezione a questo generico divieto. È infatti possibile cedere in comodato le armi per uso scenico, armi ad uso sportivo o da caccia. È altresì possibile cedere in comodato armi a chi sia titolare di licenza per la fabbricazione di armi o munizioni. In questo caso, il contratto, dovrà essere concluso per esigenze di studio, esperimento e collaudo.

In che forma avviene la cessione?

La normativa di riferimento non dice nulla circa le modalità attraverso cui si deve concludere un contratto di cessione di arma in comodato. Certo è che, ai sensi dell’art. 38 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, se la cessione supera la durata delle fatidiche 72 ore, a quel punto chi riceve l’arma sarà obbligato a denunciarla alla pubblica sicurezza.

Riguardo la forma (scritta o orale) la prassi ha pacificamente accettato che il comodato possa essere considerato come valido anche semplicemente con un accordo orale.  

Sentenze di riferimento

Vediamo ora un paio di sentenze molto interessanti in materia di comodato di armi. Partiamo dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 26994 del 2021.

Tizio ricorre in appello contro la sentenza di primo grado che lo condannava per il porto abusivo in luogo pubblico di un fucile da caccia. La corte d’appello, ridimensiona la pena, condannandolo a mesi 10 e giorni due di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.

Tizio va a caccia con Caio, ma senza avere il porto d’armi da caccia. Caio invece ce l’ha e decide di dare a Tizio, per permettergli di cacciare, il fucile di sua figlia.

Durante la battuta vengono sorpresi dai carabinieri forestali che, nel verbale, asseriscono di aver visto proprio Tizio imbracciare il fucile e sparare due o tre colpi. Scatta quindi la denuncia.

Tizio si oppone alla denuncia ed alla conseguente condanna, sostenendo che la legge in materia di comodato sia stata totalmente travisata. In particolare, secondo il difensore di Tizio, il fatto che questi sia stato sorpreso nello sparare due, tre colpi non integra il reato di porto abusivo. Egli infatti asserisce di aver avuto in mano il fucile per il tempo strettamente necessario a sparare. Secondo la difesa non è porto abusivo.

Le motivazioni di Tizio vengono completamente rigettate. Vediamo perché. Secondo la Corte di Cassazione infatti il negozio giuridico che intercorre tra due soggetti nel quale l’uno trasferisce all’altro una certa arma riguarda unicamente la cessione e non già il porto o la detenzione. È chiaro quindi che entrambi i soggetti rimangono assolutamente obbligati nel senso di dover procedere a denuncia che riguarda appunto la detenzione. Rimane il generale divieto di porto dell’arma stessa se non con un titolo che abiliti, appunto, al porto.

Vediamo adesso, invece, la sentenza del Consiglio di Stato n. 0662 del 14 ottobre 2020.

Nell’ambito di un controllo da parte delle Forze dell’ordine (Forestali) nei confronti di Tizio, lo stesso veniva colto assieme ad altra persona che esercitava l’attività venatoria in giornata di silenzio venatorio. Veniva inoltre ritrovato un fucile e sul medesimo era stata realizzata una filettatura finalizzata alla installazione di un silenziatore, anche questo rivenuto in sede di controllo.

Immediatamente scatta la revoca della licenza comminata dalla Questura di Trento che considera i fatti appena menzionati e riportati idonei ai fini di una revoca del porto d’armi a causa della mancata dimostrazione di  quella necessaria affidabilità del titolare.

Inoltre, fatto di non poco conto, ai sensi delle attuali normative in materia, il silenziatore è da considerarsi parte di arma da guerra, di cui è assolutamente vietata la vendita e l’impiego in ambito civile. Inoltre il fatto che il silenziatore fosse montato sull’arma al momento del controllo  comporta che la stessa sia da considerarsi arma da guerra.

Il Consiglio di Stato stabilisce, sostanzialmente, che non c’è  automatismo tra quella che è l’assoluzione in ambito penale e quella in ambito amministrativo. In particolare, come abbiamo evidenziato sopra, gli esiti in ambito amministrativo prescinderanno da quelli in ambito penale. La gravità dei fatti ricostruiti giustifica pienamente il ritiro del porto d’armi. È naturale pensare che la colpa sia di chi, concretamente, utilizza e modifica in modo illecito l’arma. Se sul piano penale tale ragionamento trova piena legittimità, non è però lo stesso sul piano amministrativo. Inoltre, ed è qui che il Consiglio di Stato comunque riesce a trovare una connessione tra la cessione in comodato dell’arma e l’utilizzo che di questa si fa, è assurdo pensare che la filettatura all’arma sia stata eseguita il medesimo giorno del controllo e che chi l’ha fatta non avesse avvertito tempestivamente il proprietario chiedendone anche il permesso.

Normative di riferimento

Art. 22 legge 18 aprile 1975 n. 110

Art. 38 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (TULPS)

Video: Chiarimenti normativi e giurisprudenziali sul comodato di uso



Corrado Maria Petrucci 

Esperto in Diritto delle Armi e della Caccia 

Responsabile rubrica legale  All4shooters.com  /  All4hunters.com      

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