Il controllo da parte delle Forze dell’Ordine nei confronti del cittadino titolare di licenza di porto di fucile ad uso caccia sulle modalità adoperate da quest’ultimo per la custodia delle armi rientra nel novero di quei poteri che la legge definisce come poteri di Polizia Giudiziaria attribuiti alle Forze dell’Ordine. Cerchiamo innanzitutto di inquadrare e di definire correttamente che cosa si intende con “poteri di polizia giudiziaria”.
È necessario prendere in esame, in questo caso, tre articoli fondamentali e di riferimento in materia di custodia delle armi. Prima di tutto l’art. 55 primo comma del Codice di Procedura Penale. “La polizia giudiziaria deve, anche di sua iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”. Questa dicitura si riferisce al potere di Polizia Giudiziaria in senso strettamente generico.
Assumendo un’ottica più specifica da un punto di vista giuridico, è necessario fare riferimento ad un secondo articolo di legge, altrettanto importante, che sancisce il potere di controllo che la legge riconosce alle autorità di Pubblica sicurezza. Sulla base dell’art. 38 comma 3 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza (TULPS), “L’autorità di Pubblica sicurezza ha la facoltà di eseguire, quando lo ritenga necessario, verifiche di controllo […] e di prescrivere quelle misure cautelari che ritenga indispensabili per tutelare l’ordine pubblico”.
Partendo da questa definizione è subito possibile notare come la Legge attribuisce un potere di autonoma iniziativa alle Forze dell’ordine riguardo la possibilità di operare controlli all’interno dell’abitazione del cittadino e di verificare in che modo questo conserva e custodisce le proprie armi.
Questo potere permette di operare non solo un controllo cosiddetto attivo (accertando quindi l’esistenza di reati già posti in essere) ma anche, e soprattutto, preventivo della consumazione di reati che ancora non hanno avuto luogo ma che potrebbero, eventualmente, consumarsi successivamente. Per ultimo, ma non meno importante, l’art. 20 della Legge n. 110 del 1975 stabilisce che “la custodia delle armi […] e degli esplosivi deve essere assicurata con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica”. Ciò che interessa a noi cacciatori, però, è capire e conoscere come e in che modo questo potere legale si inserisce e si applica al mondo venatorio e, più precisamente in questa sede, come il controllo sulle modalità di custodia dei fucili e pistole viene svolto e quali sono i comportamenti e le attenzioni da tenere per non incorrere in sanzioni.
Custodia da parte dei privati
La legge, come è noto, necessita di interpretazione, questa avviene mediante il lavoro congiunto delle forze dell’ordine e dei tribunali, di vario grado che, attraverso le sentenze, indicano in che modo le fattispecie debbano essere interpretate e quali sono le normative da applicare alle stesse. In particolare, la materia che stiamo trattando è caratterizzata da un impianto normativo assai generico. In particolare l’art. 20 della L. 110 del 1975 utilizza una definizione assai generica che ben si presta alle interpretazioni più disparate e non per forza fondate su un principio di giustizia e giustezza.
È di grande interesse e di grande aiuto il riferimento ad una recente sentenza delle Corte di Cassazione circa la definizione e soprattutto la designazione dei “confini” semantici e di fatto attribuibili alla dicitura “ogni diligenza possibile” dell’art. 20 della legge in oggetto. In particolare i dispositivo della Sentenza n. 16609/2013 ben ci spiega che cosa è possibile intendere con questa dicitura. “L’obbligo di diligenza nella custodia delle armi […] deve ritenersi adempiuto alla sola condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni di fatto, possano esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit”. Che cosa significa ? Vediamo il caso.
L’imputato era stato condannato dal GIP del Tribunale di Palmi alla pena di 300 euro di ammenda ai sensi dell’art.20 L. 110/1975, per aver omesso di custodire presso la propria abitazione con la necessaria diligenza, nell’ordine: un fucile ad avancarica cal.12 un revolver a 6 colpi ed una pistola a colpo singolo ad avancarica.
Sostanzialmente l’imputato ricorreva in Cassazione adducendo come motivazione il fatto che, nella valutazione da parte del tribunale giudicante, doveva tenersi conto non già dell’esclusivo dovere di diligenza nella custodia delle armi, ma anche al grado di funzionalità delle stesse. In sintesi: le armi erano vecchie e quindi certamente non funzionanti e non in grado di offendere. In particolare il giudicante aveva valutato solo il luogo fisico di detenzione all’interno dell’abitazione (le armi erano appese al muro della cucina).
A nulla servivano queste motivazioni addotte dalla difesa e la Cassazione condannava con sentenza definitiva l’imputato per aver omesso di custodire in modo diligente le armi da questo possedute.
Vediamo ora una sentenza di valore del tutto opposto, in grado di definire in modo appropriato una fattispecie di custodia delle armi adoperata in modo “diligente”.
La sentenza di riferimento è la numero 5697/2013. Vediamone, come prima, il dispositivo. “Non costituisce violazione dell’obbligo di diligenza nella custodia delle armi […] la detenzione da parte di taluno, di un fucile da caccia all’interno di un garage di sua esclusiva proprietà, non sussistendo per il privato cittadino l’obbligo di adottare particolari sistemi ed efficienti misure di difesa antifurto né rilevando l’eventuale inidoneità di tali modalità di custodia ad impedire l’impossessamento dell’arma da parte di minorenni o altri soggetti incapaci o imperiti, dal momento che tale inidoneità può rilevare, sussistendone le condizioni, solo con riferimento dalla diversa e specifica ipotesi dall’articolo 20 bis della stessa legge”.
Vediamo ora il caso che ha portato alla suddetta sentenza. l’imputato era stato condannato dal Tribunale di Aosta dei reati a lui ascritti, in particolare detenzione illegale di cartucce e omessa custodia di due carabine, e veniva condannato al pagamento dell’ammenda di euro 300 per il primo reato e al pagamento di 2.000 euro per il secondo reato. In particolare, al momento del controllo da parte delle Forze dell’Ordine, una delle due carabine era stata trovata sul letto. Quali sono state le motivazioni addotte dal ricorrente ? Prima di tutto si eccepivano vizi di legge e di motivazione. In particolare nella condanna per il reato di omessa custodia il giudice aveva fatto riferimento dall’art. 20-bis della Legge 110/1975 quando invece era stata contestata l’ipotesi sanzionata dall’art. 20 della stessa legge.
Inoltre l’imputato faceva sapere in sede di interrogatorio che i figli, considerati come soggetti imperiti ed inesperti nel maneggio delle armi che potenzialmente potevano accedervi, vivevano a casa della moglie separata. Queste motivazioni in sede di prima condanna non erano state prese in considerazione dal giudice. Il ricorso veniva accolto e la Cassazione motivava la propria decisione sostenendo che, nella situazione di fatto, erano state adottate tutte le cautele che potevano esigersi da una persona di normale diligenza. Semplificando, Il garage era chiuso a chiave e ad avervi accesso era esclusivamente l’imputato.
La carabina, come sostenuto dal ricorrente, al momento del controllo si trovava sul letto perché sottoposta a regolare processo di manutenzione e pulizia.
Ulteriormente, non costituiva violazione dell’obbligo di diligenza la mancata adozione da parte dell’imputato di sistemi di allarme e antifurto menzionati nell’articolo 20-bis della stessa Legge al quale il giudice aveva fatto riferimento in sede di prima condanna.
Corrado Maria Petrucci
Consulente Legale
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