La categoria degli importatori di armi civili in Italia ha attualmente forti motivi di preoccupazione per la propria esistenza e sussistenza. Le minacce e i pericoli consueti, infatti, sono ampiamente conosciuti, provenendo da un ministero di polizia che, oltre a non punire in alcun modo i propri appartenenti (quando colpevoli), esalta invece e fa assurgere ai massimi livelli di (ir)responsabilità ultrapagate nullità che fanno quanto in loro potere per affossare definitivamente proprio quegli importatori di armi in stile militare, visti come fumo negli occhi e addirittura come delinquenti eversivi e sovvertitori (con le loro esotiche e “pericolose” armi straniere “estranee alla tradizione venatoria e sportiva” italica) dell’”ordine costituito”.
A queste teste….d’uovo di chiara e dichiarata ispirazione maoista e polpottiana, odiatori del possesso privato di armi da fuoco e consolidati nemici delle armi “nere”, ossia di esteriore stile militare, si sono da tempo aggiunti in vile quanto malsana combutta e alleanza, alcuni tra i più noti costruttori ed esportatori italiani.
Grazie a decenni di infame e nociva partecipazione all’altrettanto infame e distruttivo catalogo nazionale e relativa commissione “consultiva”, questi ultimi si sono rivelati i nemici giurati di tutto ciò che in ambito armiero, deriva o assomiglia ad armi di sembianze militari, giungendo addirittura ad estendere il proibizionismo alle cosiddette armi ad “alta o eccessiva potenzialità vulnerante” (mossa assai furbesca in quanto vulnera a morte la assai sgradita concorrenza derivante da ciò che gli appassionati apprezzano di più da qualche anno).
Chi immagina che il pubblico italiano, molto parcellizzato in nicchie specialistiche nella collezione, nel tiro sportivo e nell’attività professionale, possa - se cultore nelle tanto vituperate “armi nere” e privato delle stesse - dirottare magicamente e automaticamente le sue passioni su una fulminante “via di Damasco”, dedicando la propria devozione alle repliche, alle armi Western o al culto dell’ex-ordinanza (e perché non anche a catapulte, bidoni di olio bollente o specchi ustori di Archimede??!!), o è fuori di testa o è in piena malafede.
E’ purtroppo dimostratamente di loro iniziativa, sempre in collusione con i suddetti grandi o piccoli “commis” ministeriali inamovibili e buoni per tutte le stagioni, di far risorgere per via surrettizia (e quindi illegale e illecita) ciò che la legge ormai vieta, ossia il defunto catalogo nazionale e relativa commissione consultiva armi (alla poltrona e relative prebende ci vogliono rimanere attaccati anche con la ventosa, se necessario!).
Il “nuovo corso”, ossia uno schema cospirativo del tutto illegittimo ma prontamente avallato dalla nuova dirigenza ministeriale, consiste prima nel negare la concessione di nuove licenze “post-catalogo” e poi nel concederle col contagocce solo a condizione che gli importatori stessi si impegnino a “catalogare” come “sportive” le armi di nuova importazione, in realtà ormai libere secondo la legge e quindi non sottoponibili ad arbitrarie categorizzazioni o costrizioni, limitandone quindi a 6 (sei) il numero massimo detenibile.
Il tutto alla faccia della legge (sì, anche la 241/90 e successive modificazioni, sulla trasparenza amministrativa e l’abuso di potere) e con buona pace delle solite invettive retoriche pro-partiti e contro la c.d. “anti-politica” che ripetutamente ci vengono ammannite dalle più alte (e più pagate) “cariche” dello stato. Contro tali consorterie che propugnavano apertamente il tradimento della nazione e la totale espropriazione delle armi ai “civili”.
In altri tempi si potevano piantare cartelli di avviso alla popolazione, avvertendola del pericolo incombente di trovarsi in territorio banditesco: appunto i “Bandengebiet”. Ora questo non è più possibile, in quanto il banditismo vero e proprio ‒ che fa dell’intimidazione amministrativa e giudiziaria e dello spregio alla legge la propria arma principale di potere ‒ è stato per intero cooptato nell’apparato statuale e magistratuale.
A onor del vero ben pochi importatori, pur tutti egualmente vulnerati dal suddetto complotto statual-disarmista si sono espressi contro questa ennesima infamia. Fra i più agguerriti spiccano quelli dell’Emilia-Romagna, che qui cogliamo l’occasione per salutare, invitandoli a non demordere contro l’assetto vessatorio dell’attuale compagine ministeriale. Una volta di più “ad altiora”, e non solo nel calcio: i diritti civili si difendono con una lotta quotidiana e senza quartiere, e non dormendo su presunti allori o pensando che, se si è grossi importatori, ce ne si possa tirar fuori asservendosi pedissequamente a acriticamente di fronte alle più grossolane e smaccate violazioni del diritto.