Il paradosso del Banco Nazionale di Prova

Vorremmo ripercorrere insieme a voi quella che è la storia del BNP, per capire, quindi, qual è la portata delle ultime vicende giuridiche che hanno visto tale ente, suo malgrado, tra i loro protagonisti.

L’antesignano dell’attuale Banco di Prova nasce intorno alla metà del XIX secolo, frutto della geniale intuizione di Pietro Beretta. In quel periodo le armi da fuoco erano tutte ad avancarica. Chi, come noi, gioca un po’ con le armi da fuoco, sa bene che in tale tipologia di armi la carica di lancio, costituita da polvere nera, viene versata sfusa nella canna. Un minimo errore nel dosaggio della polvere potrebbe risultare molto pericoloso per l’utilizzatore dell’arma, che rischia di vedersela esplodere tra le mani. 

Il Banco, quindi, venne istituito con lo scopo di provare tutte le armi prodotte nella Val Trompia per certificarne la qualità. Per ottenere tale risultato, quel laboratorio procedeva (così come avviene tutt’ora) allo sparo di 2 colpi per ogni canna dell’arma (ma sarebbe più appropriato parlare di “camera”, visto che nei revolver vengono così testati i tamburi), utilizzando una dose di polvere superiore del 30% rispetto a quella massima normalmente prevista.

Dopo gli spari (che avvengono oggi in ambienti controllati e in totale sicurezza per gli operatori), le canne e tutte le parti meccaniche sottoposte allo stress dello sparo, vengono controllate, sia a occhio che con l’ausilio di strumenti di precisione. Se tutto risulta regolare, il Banco apponeva sull’arma provata il proprio punzone, che ne certifica il superamento della prova forzata. La presenza del punzone garantiva, perciò, la qualità dell’arma.

Nei suoi primi anni di attività il primordiale banco operò solo a favore dei produttori aderenti al Consorzio degli armaioli bresciani, e questo decretò l’affermazione dei prodotti di quella provincia, dapprima sul mercato interno e poi anche all’estero. Se vi siete mai chiesti dove sia nata la straordinaria concentrazione di industrie armiere nella Val Trompia e nel bresciano, ecco la risposta.

Nel 1910, lo Stato si rese conto che un servizio così importante per la sicurezza dei cittadini e per il successo dell’industria nazionale non poteva rimanere esclusiva di una ristretta élite di fabbricanti e così, con il Regio Decreto n. 20 istituì, a Brescia, quello che oggi è a noi noto come Banco Nazionale di Prova, sottraendo l’ente al controllo dei fabbricanti bresciani e trasformandolo in un soggetto di diritto pubblico, i cui servizi potevano, da quel momento, essere a disposizione di tutti i fabbricanti nazionali. Nel 1920 venne aperta anche la sezione di Gardone Val Trompia (BS) e nel 1925 quella di Camerlata (CO).

Fu solo dal 1923, però, che le prove forzate delle armi, fino ad allora facoltative, furono rese obbligatorie per tutte quelle prodotte in Italia. Si trattò di un provvedimento importantissimo, che però, probabilmente, decretò il “colpo di grazia” per tutti quegli artigiani e piccole industrie che fabbricavano armi lontano da Brescia; provate a immaginare, con i mezzi di trasporto a disposizione a quell’epoca, quali difficoltà (e costi) potesse comportare il trasporto di poche armi da Napoli a Gardone e ritorno.

L’esempio italiano, che si era dimostrato vincente dal punto di vista commerciale, fece scuola in tutto il mondo, e molte altre nazioni si dotarono di un loro Banco di prova. Nel 1928 l’Italia aderisce alla convenzione di Bruxelles, con la quale alcune nazioni europee riconoscevano reciprocamente le prove sulle armi effettuate dai rispettivi banchi.

Nel frattempo, la crisi economica del dopoguerra aveva colpito anche l’Italia e nel 1926 già venne chiusa la sezione del Banco di Camerlata e la stessa sorte toccò, quattro anni più tardi anche a quella bresciana, lasciando Gardone Val Trompia quale unica sede del Banco Nazionale di prova.

La legge n. 186 del 1960 sostituisce il R.D. che nel 1923 aveva reso obbligatoria la prova forzata per le armi da fuoco e nel 1969 vede la luce la II^ Convenzione di Bruxelles, che sostituisce la precedente; con questa nasce anche la C.I.P. (Commissione Internazionale Permanente), l’organismo internazionale che riunisce tutti i Banchi di Prova e ne standardizza le procedure di verifica, stabilendo le dimensioni e le pressioni di esercizio delle munizioni commerciali e delle relative camere di cartuccia, nonché i criteri per l’effettuazione delle prove di sparo.

Il nostro Paese aderì sin da subito alla CIP, che attualmente annovera tra i propri membri 13 Paesi, con i relativi banchi di prova (diverse nazioni hanno due banchi, mentre la Germania – che all’epoca era solo quella dell’Ovest – ne ha uno in ogni suo Lander). Stranamente, hanno deciso di dotarsi di un banco di prova e di aderire alla CIP alcuni Paesi che non sono certo famosi per la loro produzione di armi, quali, ad esempio, il Cile o l’Ungheria, mentre hanno deciso di rimanerne fuori grandi produttori di armi come gli U.S.A., il Canada, Israele o il Sud Africa.

Il Banco, dunque, nasce come organismo tecnico privato, ma viene successivamente trasformato in “ente pubblico economico” (questa definizione, nel diritto amministrativo, sta a indicare quei soggetti giuridici di diritto pubblico che operano senza ricevere sovvenzioni dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali, ma che si finanziano con i soli proventi della loro attività). Nel 1975, l’entrata in vigore della legge 110, aumenta le funzioni pubblicistiche del BNP, attribuendogli anche l’onere di effettuare i controlli di pubblica sicurezza sulla natura giuridica delle armi.

Dal 1975 al 1° gennaio 2012, il BNP ha provveduto alla verifica della resistenza delle armi da fuoco, e anche all’accertamento delle marcature previste dall’art. 11 della legge citata, nonché al controllo sulla corrispondenza tra l’arma presentata e il suo prototipo iscritto nel Catalogo Nazionale delle armi comuni da sparo.

Queste importanti funzioni pubblicistiche svolte dal Banco, furono completamente disconosciute dal governo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi che, nel 2007, lo inserì in un elenco di enti “inutili”, destinati alla soppressione. Si trattava di uno dei tanti provvedimenti normativi finalizzati al contenimento della spesa pubblica (che nel nostro Paese sono frequenti ma che, solitamente, non portano ad alcun risultato), ma non si comprese per quale motivo venne annoverato tra questi il BNP, che oltre a svolgere un’importante funzione di natura pubblicistica, non comportava alcuna spesa per le casse dello Stato.

Al termine di questa vicenda, come già si era visto in altre occasioni, accadde che quasi tutti gli enti indicati come “inutili” vennero mantenuti (e tra questi figurava anche l’Unione Italiana Tiro a Segno), per conservare una buona poltrona a qualche politico che “tiene famiglia”, mentre il BNP venne sottratto dalla sfera di controllo del Ministero dello Sviluppo Economico e posto alle dipendenze della Camera di Commercio di Brescia, che è un’associazione privata.

Con questo provvedimento normativo, di fatto, lo Stato non riconosceva più a tale ente alcuna funzione pubblicistica.

Questa situazione durò pochi mesi, il tempo di ammettere che il Paese non poteva essere rappresentato in seno alla C.I.P. da un organismo diretta emanazione di un’associazione di commercianti e, quindi, in BNP venne riportato sotto il controllo del Ministero dello Sviluppo Economico, riacquistando così la sua originaria natura di ente pubblico economico.

Le ultime fasi di questa contorta vicenda iniziano il 1° gennaio 2012, data dalla quale, per effetto della Legge di Stabilità del 2011, viene soppresso l’istituto giuridico del Catalogo Nazionale delle armi comuni da sparo e, successivamente, con il provvedimento normativo meglio noto come “Spending Review”, anche la Commissione Consultiva Centrale per il Controllo delle Armi segue la stessa sorte.

Anche quest’ultimo provvedimento appare paradossale: il contesto normativo in cui è stato inserito mirava, infatti, a dare un drastico taglio alla spesa pubblica, finalità sicuramente encomiabile con i tempi che corrono. Per ottenere ciò, oltre a sopprimere diverse provincie, con tutti gli uffici pubblici a esse collegati (provvedimento però che al momento esiste solo sulla carta e chissà se mai verrà veramente attuato), la norma ha previsto che tutte le commissioni istituite presso le varie amministrazioni dello Stato, alla loro scadenza naturale non venissero più rinnovate.

La prima a fare le spese di questa disposizione normativa è stata proprio la citata CCCCA, il cui mandato era già scaduto a luglio. Questo provvedimento non comporterà un grosso beneficio per la finanza pubblica, atteso che i circa 12 membri della Commissione percepivano, per ogni riunione, un ricco gettone di presenza pari a euro 1,50 (lordi, ovviamente), che la Commissione si riuniva circa 9 volte l’anno e che la maggior parte dei suoi componenti veniva da Roma, per cui non si doveva rimborsare alcuna spesa di viaggio. Abrogando tale organo lo Stato potrà risparmiare qualche spicciolo, ma così facendo ha privato il Ministro dell’Interno di quella (seppur minima, a parere di qualcuno) competenza in materia di armi sulla quale poteva fare affidamento.

A questo punto della nostra storia, il BNP avrebbe potuto tornare a essere quello che era stato in origine, ossia, un ente tecnico deputato a svolgere solo verifiche tecniche sulla sicurezza delle armi da fuoco.

Ed ecco, invece, il vero paradosso: da ente inutile, destinato alla soppressione, con il decreto legge n. 95 del 2012, il Banco è andato a sostituire, di fatto, il Ministero dell’Interno in quelle che erano le sue prerogative in materia di armi disegnate dalla legge 110 del 1975.

Con il citato decreto, infatti, il Ministero dell’Interno, e con esso lo Stato, ha abdicato da ogni sua funzione inerente il controllo delle armi immesse sul mercato, demandandolo in toto al Banco di prova.

Il modello organizzativo disegnato dalla normativa citata, attribuisce ora al BNP il potere amministrativo di decidere se un’arma è comune oppure no, di classificarla sportiva, ai sensi della legge n. 85 del 1986 e di attribuirle una delle classi di appartenenza previste dall’allegato 1 della Direttiva 477/91/Ce, il tutto attenendosi ai principi di trasparenza del procedimento amministrativo stabiliti dalla legge 241 del 1990 e sue successive modificazioni.

Quest’ultima previsione non è del tutto infondata, dal momento che la stessa legge 241/90 aveva previsto che anche alcuni soggetti di natura privatistica avrebbero potuto essere vincolati al rispetto dei principi sanciti, e il Banco di prova oggi è entrato a far parte di questi.

La cosa paradossale, invece, è che il Banco è un organismo tecnico, nato e organizzato per svolgere solo funzioni tecniche; al suo interno lavorano brillanti ingegneri, validi periti balistici e ottimi operai metalmeccanici, ma nessun burocrate.

Attenersi ai principi stabiliti dalla legge 241/90 significa, invece, un’organizzazione burocratica del lavoro, con un apparato amministrativo preposto, che il Banco, attualmente, non ha.

Con tale espressa previsione, il legislatore ha ritenuto che le operazioni di verifica delle armi che il BNP è chiamato a effettuare, ricadono nell’ambito dei procedimenti amministrativi e devono, quindi, seguire le regole per essi previste.

Ciò significa che, per ogni arma portata al BNP, il presentatore dovrà formulare una espressa istanza in bollo; qualora rilevi dei problemi sull’arma, l’ente sarà tenuto a darne formale comunicazione all’interessato con la procedura indicata dall’art. 10 bis della legge; al termine delle operazioni di prova, dovrà produrre un atto conclusivo del procedimento con cui notificare l’esito della prova al soggetto richiedente; e qualora tale esito sia stato negativo o il Banco non abbia accolto l’istanza (non riconoscendo la natura sportiva dell’arma o assegnando a essa una classe diversa da quella richiesta dal presentatore), a chi si dovrà rivolgere il cittadino per presentare un ricorso? Contro gli atti della P.A. si può presentare un ricorso gerarchico (ma a quale Ministro?) o ci si può rivolgere al TAR (ma il BNP è una P.A.?), mentre contro le azioni dei privati l’unica soluzione è il ricorso al giudice civile, che però può concedere un risarcimento del danno, ma non cambiare l’esito di una decisione amministrativa.  

La nuova attività cui il BNP è chiamato non ha nulla di trascendentale, ma se si considera che l’ente prova circa 100000 armi ogni anno, si può capire di quanto potrebbe aumentare l’onere di lavoro. Per adeguarsi alle nuove esigenze lavorative, il Banco dovrebbe, quanto meno, assumere nuovi impiegati, ma i maggiori costi da chi saranno coperti?

Alla fine di questa strana storia, la considerazione da fare è che, nel breve volgere di pochi anni, si è passati da un Ministero dell’Interno che voleva accentrare su di sé tutte le competenze in materia di armi (vedasi progetto SPACE e varie attività di controllo condotte sul territorio), a un altro che, invece, ha “scaricato” completamente il settore, sottraendosi a ogni responsabilità, e a farne le spese è stato sicuramente il Banco Nazionale di Prova, chiamato ad addossarsi oneri estranei alla sua natura di ente tecnico.