Armi e violenza domestica: orientamenti normativi e giurisprudenziali

La violenza domestica: chiariamo cos’è

Quando si parla di violenza domestica appare immediatamente chiaro come ci si trovi di fronte ad una dicitura non a caso estremamente generica, i cui confini logico semantici non sono poi così definiti. Abbiamo imparato, però, che questa vaghezza che caratterizza spesso i termini giuridici non è un errore del legislatore ma una scelta oculata e ragionata. È infatti possibile sottendere ad un termine generico tutta una serie di fattispecie che, altrimenti, il legislatore non potrebbe elencare in un singolo testo di legge.

Col termine violenza domestica si può indicare quel comportamento abusante, e quindi violento, di uno o entrambi i coniugi all’interno di una abitazione. Tra le due persone, in questo caso, intercorre un rapporto ad esempio matrimoniale o comunque di convivenza e di coabitazione. Il termine violenza domestica si applica anche in caso di violenza perpetrata sui figli e, più in generale, in casi di violenza all’intero del nucleo familiare; in questo caso rientrano anche familiari anziani e persone non autosufficienti.

È chiaro che, quando si parla di violenza domestica, non si fa riferimento solo ed esclusivamente alla violenza fisica ma anche alla violenza psicologica. Tutti quei comportamenti denigratori e svilenti la persona nella sua sfera non solo fisica ma anche e soprattutto psicologica rientrano nel novero dei casi di violenza domestica.

Nel novero dei casi di violenza psicologica rientrano quei comportamenti quali le minacce (artt. 612 e 412 c.p.). Violenza psicologica è anche la violenza economica, intesa cioè come quel comportamento volto ad impedire alla vittima di accedere a risorse ed acquisirne o, altrimenti, di disporre di risorse di cui la vittima ha diritto ad usufruire. Impedire l’accesso a conti bancari di cui la vittima è titolare o ha comunque diritto ad usufruire, impedire alla vittima l’accesso alle cure mediche. Anche impedire alla persona semplicemente di telefonare a qualcuno potrebbe costituire violenza domestica.

Altro caso di violenza domestica è lo stalking perpetrato nei confronti del partner. Comportamenti quali il pedinamento, l’accesso non autorizzato al cellulare, email, computer o tablet, il presentarsi nei luoghi ove la vittima è solita recarsi costituisce reato di c.d. atti persecutori ai sensi dell’art. 612bis del codice penale.

Pericolo di abuso delle armi: che significa?

Dopo aver chiarito cosa si intenda col termine violenza domestica, facciamo ora un ragionamento insieme. Come i nostri appassionati lettori avranno di certo imparato, per possedere armi in Italia è necessario che l’amministrazione (Questura o Prefettura) alla quale verrà inoltrata la richiesta di primo rilascio o altrimenti rinnovo del porto d’armi, faccia una istruttoria nei confronti del richiedente e, dalla medesima, sarà necessario che non emergano elementi ostativi. Elementi cioè che facciano anche solo potenzialmente dubitare circa un possibile abuso di armi. La valutazione, come acclarato dalla giurisprudenza ( Tar Lombardia Sentenza n. 1994 del 16 agosto 2018) dovrà tenere conto di tutto ciò che riguarda la sfera della persona e quindi anche la dimensione sociale, psicologica e personale.

Violenza domestica ed armi: conseguenze

Veniamo adesso alla parte che interessa di più. Dal momento in cui emergano a carico del richiedente elementi inerenti a casi di violenza domestica dallo stessi perpetrata appare chiaro come un primo rilascio o rinnovo del porto d’armi appaiano praticamente impossibili. In particolare, a pesare, è il fatto che i reati che costituiscono violenza domestica sono reati nei confronti della persona la cui gravità è acclarata e pacifica. Appare quindi chiaro come sarà impossibile, ad esempio, rilasciare un porto d’armi, rinnovarlo o altrimenti mantenerne la titolarità nei confronti di quei soggetti che magari si sono visti denunciare dal coniuge per aggressione.

I riferimenti normativi

In questo caso è interessante prendere in considerazione i riferimenti normativi che sottendono alla materia. È interessante prendere in esame l’art. 11 ultimo comma del R.D 18 giugno 1931 . 773 (testo unico di leggi di pubblica sicurezza)  secondo cui

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego delle autorizzazioni

Quindi, soprattutto in casi inerenti alla violenza domestica, certamente vengono meno quei requisiti di affidabilità necessari alla titolarità di una licenza di porto d’armi e quindi la stessa deve essere negata.

Altro riferimento è quello all’art 43  primo comma del medesimo testo di legge. Leggiamo:

Oltre a quanto stabilito dall’art. 11 non può essere concessa la licenza di porto d’armi a chi:

a)    Ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi (quindi intenzionali o preterintenzionali) contro le persone commessi con violenza […]

In claris non fit interpretatio, come dicevano i latini tanto cari ai giuristi, ovvero non è necessario fornire ulteriore interpretazione poiché è la circostanza è chiara.

Normative di riferimento

Artt. 11 e 43 R.D. 18 giugno 1931 n. 773 (Testo unico di leggi di pubblica sicurezza)

Artt. 612 e 412 codice penale

Codice di procedura penale

Video: Armi e violenza domestica



Corrado Maria Petrucci 

Esperto in Diritto delle Armi e della Caccia 

Responsabile rubrica legale  All4shooters.com  /  All4hunters.com      

email:  legalall4shooters@gmail.com