Il F.A.L. gardonese

Beretta BM59
La culatta del BM59: è evidente la diretta derivazione M1 Garand

Anni ʼ50. L’Europa si sta lentamente risollevando dall’immane catastrofe della Seconda guerra mondiale che già nuove dense nubi di conflitto si accalcano all’orizzonte: c’è la NATO, il “Pericolo Bolscevico”, in due parole la Guerra Fredda. Agli Stati Uniti, Leader dell’alleanza atlantica, all’improvviso lo status di sconfitti di Germania e Italia non interessa più. Ora è consentito, anzi imperativo, riarmarsi e organizzarsi al meglio. È qui che prende il via la nostra storia, o per meglio dire la storia dell’arma che ha modernizzato l’equipaggiamento individuale dell’Esercito Italiano già in quell’epoca, in cui potenze militari ben più grandi si dibattevano alla ricerca di un candidato ideale. Si parla ovviamente del F.A.L. Beretta BM59, il nostro “Fucile Automatico Leggero”.

 

Beretta BM59
Finestra dʼespulsione aperta: primo piano di elevatore del caricatore e vivo di culatta

Come si diceva, all’epoca erano gli Stati Uniti a calare dall’alto le decisioni in quanto a standardizzazioni NATO (non che oggi sia cambiato molto, bisogna dire), e gli USA non volevano assolutamente rinunciare al .30-06 Springfield, il calibro del loro fucile M1 Garand, quello con cui avevano schiacciato la tirannide nazifascista in Europa e soffocato le crudeli ambizioni di dominio giapponesi sul fronte del Pacifico. E si dà il caso che allora, cioè agli inizi degli anni ʼ50, il Garand M1 calibro .30-06 fosse anche il fucile d’ordinanza dell’Esercito Italiano, che ne era stato equipaggiato in grandi quantità dagli Stati Uniti e la cui produzione era iniziata su licenza anche presso la Beretta.

Beretta BM59
Ancora un primo piano a finestra dʼespulsione aperta, stavolta della testina dellʼotturatore

Ma la modernizzazione, per la NATO, era inevitabile: il “nemico”, il blocco sovietico, stava infatti equipaggiandosi col fucile d’assalto Kalashnikov AK47, all’epoca sicuramente la migliore arma individuale del mondo, camerata per una cartuccia intermedia dall’ottimo potere d’arresto ma soprattutto controllabilissima nel fuoco a raffica, il che significava che, nel potenziale “scontro” tra est e ovest, ogni singolo soldato del Blocco avrebbe avuto tra le mani un’arma capace di tiro in modalità automatica, con autonomia e volume di fuoco soverchianti fino a quasi 300 m di distanza. Si doveva trovare un compromesso: da una parte la necessità di dotare le truppe di un’arma individuale moderna, a fuoco selettivo; dall’altra, la necessità di accontentare la volontà americana di mantenere una cartuccia a grande gittata, precisione e potere d’arresto quale la .30-06 che a dire la verità non era poi tanto male, a parte il fatto che mal si conciliava con la portabilità e la controllabilità nell’uso con armi a raffica. Cosa che ben sapevano i poveri fantaccini USA che nella Seconda guerra mondiale prima e nella Guerra di Corea poi avevano avuto in dotazione, come arma di supporto leggero, il Fucile Automatico Browning, ovvero il BAR: primo fulgido esempio del genere, usava un caricatore da venti colpi calibro .30-06, ma l’unica cosa che lo rendeva effettivamente utilizzabile nel tiro a raffica era il peso immane, all’incirca 10 kg.

Beretta BM59
Il pozzetto del caricatore: la capacità massima era di venti colpi

Le cose ovviamente non potevano andare avanti in questo modo. Infatti i test per lo sviluppo di una nuova cartuccia erano già in moto, e proprio negli anni ʼ50 arrivarono al culmine con una sorta di “via di mezzo”, la 7’62x51mm, che in pratica riproduceva le qualità balistiche del .30-06 ma che, in teoria, sarebbe stata molto più “digeribile” dalle armi individuali a raffica. Dico “in teoria” perché chiunque abbia provato a sparare a raffica uno M14, un FAL belga e uno HK G3 sa benissimo la differenza che passa tra i tre. Gli inglesi stavano percorrendo un’altra strada, quella della cartuccia leggera, con la loro .280 e il prototipo di fucile d’assalto Bullpup Enfield EM2, addirittura formalmente adottato nel 1951 col nome di No.9 Mk1, ma che non fu mai distribuito alle truppe perché, sotto pressione USA/NATO, i politici e lo Stato Maggiore dovettero fare dietro front adottando il nuovo 7’62x51.

Beretta BM59
Oltre allʼimpiego di caricatori amovibili, il Beretta BM59 poteva essere ricaricato con lastrine da dieci colpi ciascuna

Stessa sorte ebbero gli altri paesi della NATO, che dovettero adeguarsi in maniera diversa: il Canada e la stessa Inghilterra adottarono lo FN FAL belga, che produssero localmente modificandolo per il solo funzionamento semiautomatico; il FAL fu adottato anche dalla madrepatria Belgio, e da qualche decina di altri paesi del mondo, soprattutto facenti parte del Commonwealth britannico. La Germania Ovest tentò a sua volta di adottare il FAL, ma il rifiuto belga di garantire la produzione in loco (le ferite della Seconda guerra mondiale bruciavano ancora) la spinse all’adozione dello Heckler & Koch G3, arma che si basava sul sistema di funzionamento a rulli inventato durante il nazismo da un tecnico della Mauser, Ludwig Vorgrimmler.

Beretta BM59
Lo sgancio del caricatore avveniva tramite una leva piatta posta sulla parte posteriore del pozzetto
Beretta BM59
La guardia del grilletto, con la sicura manuale spinta in fuori (disinserita); il foro sul perno della sicura consente di passarci attraverso un lucchetto o una catenella per inertizzare l'arma quando non in uso

E gli USA? E l’Italia? I due paesi seguirono strade simili ma con metodi molto diversi, una sorta di “convergenza parallela” che li portò a ottenere risultati a volte sovrapponibili ma con grandi differenze. Gli Stati Uniti iniziarono già nel 1945 una serie di test per l’adozione di una nuova arma; furono testati decine di prototipi in circa 10 anni, tra cui il più meritevole era sicuramente il T48, ovvero il FAL belga prodotto su licenza da Harrington & Richardson. Ma motivi politici e l’affezione delle truppe per il “vecchio” Garand portarono invece all’adozione del prototipo T44 di Springfield Armory, che entrò in servizio con la denominazione di M14. Si trattava di un’arma pesantemente basata, nella sua configurazione, proprio sul Garand, lunga quasi 1,20 m e pesante più o meno 4 kg. Si alimentava con un caricatore da venti colpi calibro 7’62x51, e la sua velocità ciclica nel tiro a raffica era di circa 700-750 colpi al minuto.

Un’arma molto lunga e pesante, quindi, che si basava su una “vecchia” concezione della guerra, e che può essere considerata ottima o pessima a seconda dei punti di vista.  

Beretta BM59
I marchi sullʼesemplare oggetto del nostro reportage lo identificano chiaramente come un modello prodotto nellʼanno 1964

Da una parte si tratta di un fucile ad alta gittata, estremamente preciso e robusto. Dall’altra era estremamente laborioso e costoso da produrre, e si rivelò incapace di fornire alle truppe la capacità di fuoco automatico, visto che nel tiro a raffica era praticamente incontrollabile se non appoggiato a terra con un bipede, oltre ad avere in generale un forte rinculo ed essere molto poco maneggevole nei combattimenti nella giungla che caratterizzarono la guerra in Vietnam, con l’umidità che, tra l’altro, ne faceva marcire le calciature in legno. Lo M14 rimase in servizio solo 8 anni, dal 1959 al 1967, anno in cui si iniziò la sua sostituzione con lo M16; e l’allora Segretario alla Difesa USA, Robert McNamara, non ebbe tutti i torti nel definirlo “a disgrace”, una disgrazia, per il lungo e laborioso periodo di prova e l’enorme somma di denaro pubblico speso.

Beretta BM59
Il pulsante della leva dʼarresto dellʼotturatore è marchiato a sua volta con le iniziali della fabbrica e la denominazione dellʼarma
Beretta BM59
Una delle caratteristiche più note del BM59: il “tricompensatore”, che oltre a fungere da rompifiamma e freno di bocca serviva anche per il lancio di granate da fucile

L’Italia, invece, era... l’Italia, povera di mezzi e risorse, che doveva ricorrere al tipico “arrangiamoci paisà”. In questo frangente, gli incaricati dell' “arrangiarsi” furono un manipolo di ingegneri Beretta capitanati da Domenico Salza e Vittorio Valle. Salza, in particolare aveva sostituito come capo ingegnere alla ditta di Gardone nientemeno che Tullio Marengoni, il papà del MAB; e aveva già dato prova della sua genialità nel prototipare una serie di pistole-mitragliatrici a otturatore telescopico. All’epoca la Beretta produceva una serie di carabine a raffica calibro .30-M1 basate su questo sistema, e nel giro di qualche anno il suo lavoro avrebbe giunto il culmine con la nascita del mitra PM12. Al Team di Salza e Valle fu dato l’incarico di sviluppare per le FF.AA. italiane un fucile automatico leggero, moderno, che soprattutto fosse facile ed economico da produrre con quello che già si aveva. E quello che già si aveva era qualche centinaio di migliaia di Garand, di fabbricazione USA e italiana, oltre ai macchinari per la produzione.

Beretta BM59
Beretta BM59 con calcio fisso, visto dal lato sinistro
Beretta BM59
La tacca di mira anteriore del BM59, regolabile tramite apposita chiave

I primi prototipi vennero sotto forma di Garand semplicemente riconvertiti in 7’62x51, prima alimentati solo a lastrine, poi con l’uso di un caricatore amovibile della capacità di 20 colpi. Ma non bastava. L’opera fu compiuta solo con l’implementazione del fuoco a raffica tramite un sistema di funzionamento a recupero di gas e un selettore di tiro; il sistema era apribile, dato che l’arma era dotata di un tromboncino di diametro NATO per il lancio di artifizi, tra cui le famose granate Energa; per utilizzare l’arma come lancia-granate bisognava camerare speciali cartucce a salve e aprire il sistema di presa di gas, cosa che avveniva semplicemente alzando la tacca di mira a foglietta per le granate posizionata sulla parte anteriore. Il fucile era dotato anche di un bipede metallico ripiegabile sotto la calciatura in legno, e rimovibile se necessario. Era nato il fucile Beretta Modello 1959, o BM59 per farla breve, che fu adottato immediatamente dall’E.I. e a seguire dalle altre FF.AA. dello Stato e dalle Forze dell’Ordine.

Alla fin fine, Salza e compagnia erano arrivati a un risultato molto simile a quello ottenuto dagli americani con lo M14; ma la cosa stupefacente è che l’avevano fatto da soli, senza prendere spunto dai progetti USA, e senza spendere il tempo e il denaro che lo Zio Sam aveva gettato nel progetto.

Beretta BM59
Un punto dʼaggancio per il cavalletto si trova sul tubo di presa gas, posizionato sotto la canna

Quattro furono le varianti del BM59: il modello “Ital”, cioè quello di base con calciatura piena, destinato alla fanteria convenzionale; il modello “Ital-TA” per le truppe alpine, con impugnatura a pistola e calcio pieghevole in lamiera stampata; il modello “Ital-Paracadutisti”, col tromboncino lanciagranate amovibile; e il modello “Ital-Pesante”, una versione mitragliatrice d’appoggio con impugnatura a pistola, canna pesante e calcio fisso in legno con poggiaguancia. Questa versione fu quella di più scarso successo, mentre le altre tre furono adottate in grandi numero dalle nostre Forze Armate nonché vendute all’estero: Argentina, Indonesia e Marocco sono solo tre dei paesi stranieri che ne acquistarono alcune quantità. A livello internazionale, i quattro modelli del BM59 sono conosciuti rispettivamente come BM59 Mk1, Mk2, Mk3 e Mk4.

Beretta BM59
Nelle versioni con calciatura fissa uno scomparto apribile allʼinterno del calciolo ospita il “multitool” in dotazione, comprendente uno scovolino per la pulizia, chiavi di regolazione per lo spillaggio del gas e per le tacche di mira, e per lo smontaggio

Conosciuto come FAL dalle nostre FF.AA., l’omonimia col fucile belga deriva dall’acronimo, che in entrambi i casi significa “Fucile Automatico Leggero”; questo anche se l’uso massiccio, per risparmiare, di legno e lamiera stampata nel “nostro” FAL lo rendesse leggero solo di nome, coi suoi 4 kg e passa di peso. Le truppe gli appiopparono il nomignolo affettuoso di FAP, cioè “Fucile Automatico Pesante”. Il peso tuttavia non era esattamente un problema, anzi: con un’arma leggermente più corta e una cadenza di tiro pratica più lenta di quella dell’omologo americano M14, il peso aiutava a controllare il tiro a raffica e lo rendeva più pratico nell’uso per cui era stato concepito, quello di vero e proprio fucile d’assalto. Senza contare che i due modelli per Truppe Alpine e Paracadutisti, col calcio pieghevole, si rivelarono di gran lunga più leggeri e maneggevoli del modello base e furono per questo molto popolari. Persino negli USA la Springfield Armory volle, poi, assemblarne alcune quantità per il mercato interno. 

Beretta BM59
Spaccato del BM59, dal manuale dʼistruzioni in lingua inglese per lʼexport

Il nostro, di mercato interno, dovette invece attendere che di questa micidiale “arma da guerra” la Beretta si decidesse a sviluppare una versione civile, il BM62, capace di solo fuoco semiautomatico e privo di tromboncino lanciagranate, oppure col tromboncino tornito per impedire l’alloggiamento di artifizi. Per la gioia del mercato civile passato e presente, versioni “civilizzate” del BM59 sono state rese disponibili anche dopo il breve corso di produzione (circa 3000 pezzi in tutto) del BM62: ultimamente anche la Jager di Armando Piscetta ha commercializzato il suo M99, in pratica un BM62 assemblato con parti di BM59 demilitarizzati.

Beretta BM59
Fante con Beretta BM59 MkIII “Ital-TA”, munito di calcio pieghevole

Certo, rispetto alla stragrande maggioranza delle armi militari dell’epoca, dal Kalashnikov fino al CETME/HK-G3 e allo FN FAL, il nostro BM59 era un’arma di concezione “classica” come lo M14 americano, a meno di non eccettuare la popolarità delle varianti con calcio pieghevole che meglio si adattavano alle necessità della guerra moderna (dell’arma americana, le varianti con calciolo pieghevole si fermarono allo stadio di prototipo). Ma il nostro FAL non sfigurava in confronto ai G3 e ai FAL che costituivano il grosso dell’armamento NATO nonché dell’Europa occidentale, dato che le uniche altre “mosche bianche” erano Francia e Svizzera, rispettivamente coi MAS M49/56 e i SIG Stgw-57: ma questi erano casi a parte, la Svizzera non era (e non è) parte della NATO, e la Francia ne sarebbe uscita a breve.

Beretta BM59
Vista dal lato destro del Beretta BM59
Beretta BM59
Fante italiano al tiro col BM59 munito di calcio pieghevole

Il BM59 fu fido e inseparabile compagno del rinnovato Esercito Italiano per oltre trent’anni. Oltre alle centinaia di migliaia di ragazzi di Naja che l’imbracciarono durante il loro anno di servizio, il BM59 si meritò appieno la sua fama di arma robusta e affidabile nelle missioni all’estero che caratterizzarono l’impegno internazionale italiano dagli anni ʼ70 in poi; di queste, il teatro operativo più importante fu senz’altro la missione ITALCON in Libano con le forze di stabilizzazione ONU, dal 1982 al 1984; anche lì a fare la parte del leone fu la versione con calcio pieghevole, in uso presso le truppe paracadutiste e i Lagunari che costituivano l’ossatura della nostra missione in terra libanese. Ma il “nostro” fu occupato anche sul fronte interno: mio padre, studente a Genova negli anni della contestazione, ricorda sin troppo bene i poliziotti della Celere che usavano i BM59 per lanciare artifizi antisommossa di tipo Energa.

Beretta BM59
Fante in esercitazione, con il BM59 “Ital-TA” in posizione di tiro defilato

Il BM59 fu utilizzato dalle Forze dell’Ordine durante tutti gli sciagurati “Anni di piombo” su scala sempre più ampia per contrastare il terrorismo rosso e nero, e l’ultimo impiego di ordine pubblico lo vide non troppo tempo fa, nel 1992, con l’operazione “Vespri Siciliani”: la rabbiosa risposta alla tracotanza mafiosa che aveva strappato la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e aveva iniziato un’autentica campagna di terrore per costringere lo Stato a scendere a patti. Il BM59 nelle mani dei soldati che pattugliavano la Sicilia si rivelò un efficace strumento deterrente, e aiutò considerevolmente a mantenere l’ordine pubblico sicché le Forze dell’Ordine furono libere di dedicarsi alle attività investigative, con una escalation di arresti fino alla cattura dell’allora capo dei capi, Totò Riina. Si può ben attribuire al BM59 anche questo merito.

Beretta BM59
Al tricompensatore del BM59 poteva essere innestata la baionetta di dotazione

Solo alla fine degli anni ʼ80 arrivò la pensione per il nostro FAL; la sostituzione avvenne gradualmente e il processo durò circa dieci anni, il nuovo arrivato era un altro prodotto Beretta, la serie di fucili 70/90 calibro .5’56x45mm-NATO consistente nelle due versione lunghe (AR con calcio fisso e SC con calcio pieghevole) e nelle carabine SCS e SCP: modernizzazioni della prima serie di armi Beretta in calibro leggero, quelle AR70/.223 che già da parecchi anni era in dotazione all’Aeronautica Militare per la Vigilanza e ai corpi speciali di Polizia, Carabinieri e FF.AA. Con l’avvento del 70/90 tuttora in servizio, il BM59 è stato spostato a riposare negli arsenali. A tutt’oggi ricopre un posto di “riserva”, nonché d’arma da addestramento, sostituendo in tal ruolo i fucili Garand M1 da cui deriva e che venivano usati nel CAR quando era proprio il BM59 a essere arma di punta.

Beretta BM59
Parà in riga, pronti allʼesercitazione di lancio: notare la compattezza delle versioni da paracadutista del BM59 con tricompensatore rimosso

Il BM59 non è stato certo dimenticato, soprattutto oggi che l’aggravarsi della situazione internazionale spinge molti operatori impiegati nei teatri di conflitto internazionali a lamentarsi delle scarse prestazioni delle loro armi camerate per cartucce leggere. A molti dei nostri soldati in Afghanistan e Iraq piacerebbe avere un BM59 nella versione con calcio pieghevole al posto dello AR70/90 in dotazione... e in effetti qualche operativo è riuscito a farselo mandare. Soprattutto il FAL, venuto su in pochi mesi e con pochi soldi in quel di Gardone Val Trompia, resta nel cuore dei veterani del CAR e delle Forze Armate in generale nonché negli armadi di quei pochissimi fortunati che hanno avuto il privilegio di essere titolari di licenza di collezione per armi da guerra prima dell’avvento della Legge 110/1975. Il fucile che vedete su queste pagine proviene proprio da una di queste collezioni.

Beretta BM59
Nonostante non fosse la variante più numericamente abbondante nei nostri arsenali, il BM59 “Ital-TA” fu sicuramente il preferito tra le truppe di prima linea e quelle impegnate nelle missioni allʼestero, per via della sua superiore manovrabilità e del minor peso

Per tutti gli altri, non resta che cercare nelle armerie e negli annunci di vendita di armi usate, sperando di poter mettere le mani, per un prezzo congruo, su un BM62 o un’altra variante demilitarizzata. Con una speranza: con l’avvento del 70/90 e l’uso del BM59 come arma d’addestramento, per i Garand ancora in armeria è iniziato un processo di alienazione ai civili. Se, come si pensa, anche il 70/90 è quasi giunto al capolinea, con l’avvento della nuova arma esso potrebbe passare al ruolo di addestramento e allora le migliaia di BM59 in mano all’esercito si potrebbero demilitarizzare e alienare tramite gli enti preposti e i privati autorizzati... ma forse sto solo sognando. In fondo, questa è l’Italia.