È la cadenza del maglio a imprimere al lavoro il suo ritmo. Una macchina viva, che va accudita per essere mantenuta sempre al meglio delle sue possibilità. Una macchina che, come l’uomo, si rinnova nel tempo restando sempre uguale a se stessa. E che per le sue stesse necessità di manutenzione richiede una produzione in serie, anche piccola, e un’organizzazione della produzione.
Se il materiale d’eccellenza all’epoca di Leonardo è il legno, è tuttavia intorno ai magli per il ferro che nasce l’organizzazione industriale e la suddivisione dei compiti. E già da prima di Leonardo, visto che la batteria a ruota del Codice Atlantico è del 1492. Il maglio serviva agli armorari, servì agli spadai, ai cannonieri, preparò la materia prima per gli azzalinieri. E continua la sua opera al giorno d’oggi.
Il maglio ad acqua è una creatura che vive. Ogni sera si rettificano a lima le bocche battenti, il manico altalenante si sostituisce ogni anno, due volte l’anno si smonta e sistema il tino d’insufflazione, l’albero di trasmissione dura una decina d’anni. Fuori dai magli c’erano sempre due tronchi di robinia. Uno stava nell’acqua, pronto per rimpiazzare l’albero o il manico. L’altro, di riserva, era la panca su cui ci si sedeva d’estate a consumare il pasto.
Di questa macchina straordinaria sono rimasti pochi esempi. L’avvento del motore elettrico ha portato ai ben più efficienti magli a cinghia, a balestra, a eccentrico. Magli in cui la velocità e l’intensità di battuta sono regolabili dall’artigiano. Magli con il piano di battuta alto che consente di lavorare seduti o in piedi, senza necessità di accoccolarsi in una posizione faticosa per lavorare a livello del terreno. Magli produttivi, che consentono di ridurre i costi di manodopera.
Il maglio ad acqua, a gravità, sembrava scomparso finché non fu ripristinato quello di Ome. L’esistenza di un maglio nella costruzione attuale risale al 1430, data di un’indicazione che si trovò graffita su un muro dell’edificio in occasione di un intervento. Magli alimentati dall’acqua del Gandovere sono documentati dal 1566. Il maglio Averoldi, al di fuori dei grandi cicli produttivi, con lavorazioni che interessavano una ristretta nicchia, non meritava investimenti. Svolgeva la sua produzione così com’era e ci è giunto invariato. È stato rimesso in funzione dopo un restauro che si rese indispensabile in seguito a 15 anni di inattività, che per uno strumento ad acqua rappresentano la morte del legno. Il restauro, comunque, è avvenuto senza modificare la struttura e le caratteristiche. L’albero altalenante, che ha dovuto essere sostituito, è squadrato a mano con l’accetta. La testa battente è ancora quella dell’epoca, le bocche sono state semplicemente rettificate a lima. Il maglio è più grande di quello che si vede all’ingresso stampa dell’Exa; la struttura è tuttavia la stessa.
Batte adagio, il maglio di Ome, rispetto a quelli attuali. L’aiuto al forgiatore può venire, parzialmente, da chi dà l’acqua, che riesce a ottenere due velocità distinguibili ma non una diversa ripartizione della forza, perché la testa batte per gravità: il colpo è dato solo dal peso della testa e del tronco. Bisogna adattarsi e non è facile.
La grande macchina è tenuta in funzione da un gruppo di volonterosi, che vanno gratis il sabato e la domenica e hanno imparato a forgiare il proprio damasco. Ci sarebbe, in sito, anche un maglio a balestra degli anni Trenta, unica macchina azionata dall’elettricità presente nella struttura. Ma chi ha forgiato e li ha provati entrambi preferisce quello ad acqua.
Il maglio Averoldi non è solo un’opera industriale, non rappresenta solo la più antica macchina sulla quale si lavori ancor oggi. È soprattutto, il luogo d’incontro di una delle più straordinarie storie al mondo nella lavorazione del ferro. Ed è il luogo d’incontro degli straordinari personaggi che vi si radunano. Ci potere trovare Francesco “Gino” Medici, un giovanotto classe 1924 che col cesello in mano dà ancora dei punti a tutti.
Ci potete trovare Angelo Galeazzi, un uomo che non ha bisogno di presentazioni. Ci passa sovente Bortolo Gitti, “Burtulì”, che in Franchi faceva le doppiette Imperiale Montecarlo e oggi in Beretta si occupa degli SO10.
E ci trovate Dario Quartini, Stefano Paganotto e Ruggero Bontacchio, che forgiano nei giorni liberi e che al Maglio hanno realizzato, per sé e per gli altri, il piacere dello stare insieme. Entusiasti che trascorrono i sabati e le domeniche a battere il ferro, senza altra paga che la soddisfazione di avere realizzato con le loro mani qualcosa di antico e unico, non replica ma originale. Il Comune ci mette il carbone per la forgia; loro ci mettono la passione e la fatica. Le professioni sono varie, nessuno è fabbro. Tutti hanno riscoperto l’antica tradizione per autentica, pura passione. Hanno imparato commettendo errori e correggendoli, fino a realizzare pezzi di grande bellezza.
Il lavoro è lento e durissimo. Si sta accoccolati per terra, a seguire lo strumento che lavora con i suoi ritmi, dettati dallo scorrere delle acque e del tempo.
Uno strumento che lavora di sbieco e non in piano, che ogni tanto va registrato a colpi di mazza. L’officina è un luogo umido, perché aperto sull’acqua che scorre. Fa freddo, perché il luogo è poco frequentato dal sole. Il gelo, d’inverno, morde. Il calore della forgia rende malleabile il ferro posto tra i carboni, ma non riesce a sciogliere gli arabeschi di brina sui vetri.
Il maglio vuole essere anche un luogo d’incontro dei maestri forgiatori. Sono già venuti in tre. Hanno imparato ad adattarsi all’antica macchina e realizzato lame. Torneranno, ne verranno altri a riscoprire le origini dell’arte fabbrile. Dopo Ballestra e Antonini è giunta la volta di Aldo Conto, che ci ritornerà a breve per qualcosa che richiederà forse un anno prima di manifestarsi e che, quando sarà realizzato, stupirà il mondo.
Non posso darvi altre anticipazioni, ma è ora che il Maglio di Ome torni a dare qualcosa di antico e tuttavia contemporaneo. Per ora sono coltelli e cartelle per fucili. C’era da aspettarsi che Beretta, azienda armiera di tradizione secolare così come secolare è la storia del maglio Averoldi, ne abbia voluto i risultati. Nessun altro al mondo ha o potrà mai avere una storia come quella. E con questo modo di pensare, unito all’orgoglio della propria tradizione inimitabile, chi ha visto all’Exa due straordinarie cartelle in damasco per le batterie di un SO10 deve sapere che quel damasco è stato realizzato con una forgia a carbone e un maglio ad acqua.
Per maggiori informazioni
Maglio Averoldi, via Maglio 51, 25050 Ome (BS)
Visitabile il sabato e la domenica
Tel. 030 652025 (comune di Ome)