L'inferno di Campaldino, lo scontro finale tra guelfi e ghibellini nel quale combatté anche Dante Alighieri

…Ebbi temenza molta...” così un giovane Dante Alighieri descrive il suo stato d'animo quel giorno dell'11 giugno 1289 davanti all'orribile mischia che si venne a creare tra ghibellini aretini e guelfi fiorentini. Si, perché a 24 anni il Sommo Poeta, all'epoca uno dei tanti, era nei feditori, i cavalieri d'assalto schierati nelle primissime linee dell'esercito fiorentino.... Ma alla fine di quella giornata è sempre lo stesso Dante che ci dice di essersi rallegrato per aver mantenuto salva la vita e per la vittoria finale dei ranghi fiorentini dopo alterne vicende: et nella fine allegrezza grandissima per li varii casi di quella battaglia.

Le premesse dello scontro

Il castello di Poppi, di proprietà dei Conti Guidi, ai piedi del quale si combatté la Battaglia di Campaldino.

Le ragioni del temibile scontro di quella calda giornata di giugno vanno ricercate molto prima. Negli anni ‘80 dopo la sconfitta di Pisa, roccaforte guelfa in Toscana, nella Battaglia della Meloria, ad opera di una coalizione formata dalle città di Firenze, Genova, Lucca ed altre città, Arezzo era diventata il centro dei fuoriusciti ghibellini della regione. Lo scontro tra la città gigliata e Arezzo era ormai solo questione di tempo. Nei mesi precedenti la battaglia, come era usanza all'epoca, le due città si fronteggiarono alternando spedizioni militari dal carattere dimostrativo, l'una nei territori dell'altra, per ostentare forza e fare razzie. Tali incursioni, chiamate in gergo militare dell'epoca “cavalcate” erano di norma condotte da drappelli di una cinquantina di soldati detti “masnade”. Alla fine dopo anche alcune trattative segrete per trovare un accordo si giunse da ambo le parti all'inevitabile decisione di prendere le armi e darsi battaglia in campo aperto in uno scontro campale.

I due schieramenti in marcia

L'Armata fiorentina schierata in campo a Campaldino.

Fu Firenze per prima a “bandire l'exercitus” a cui il 13 maggio vennero consegnate le insegne di guerra. Si scelse di muovere attraverso il Passo della Consuma piuttosto che per il più agevole Valdarno per cogliere di sorpresa gli aretini che proprio lungo quella strada aspettavano l'Armata fiorentina. E così fu. Castelli e avamposti ghibellini in Casentino furono facilmente posti sotto assedio e i loro territori saccheggiati. I comandanti dell'esercito ghibellino allertati dalla moltitudine di profughi scampati alle incursioni guelfe che continuavano ininterrottamente ad arrivare in Valdarno, capirono di essere stati ingannati dagli strateghi fiorentini e ordinarono subito la mobilitazione delle loro forze verso il Casentino. Le fonti dell'epoca parlano di una marcia forzata di 50 km fatta in due giorni dall'esercito ghibellino per arrivare ad attestarsi a Poppi il 10 giugno sulla Piana di Campaldino, con alle spalle il Castello dei Conti Guidi; d'altra parte della piana ad attenderlo c'era l'Armata fiorentina già in posizione.

Vista da tergo dell'Esercito fiorentino. I Feditori guelfi sono schierati in prima linea, tra loro anche un giovane Dante Alighieri.
Il cosiddetto “Canto degli Aretini” a Firenze luogo dove fu data sepoltura ai prigionieri ghibellini non riscattati. Il luogo fu concesso dalle autorità gigliate a patto che la manutenzione fosse a carico di Arezzo. Tutt'oggi il luogo fa parte del Comune di Arezzo.
I Palvesari fiorentini schierati ai fianchi
Uno stendardo ghibellino.
La cavalleria guelfa.

Le forze in campo a Campaldino

La fanteria guelfa posizionata dietro la cavalleria attende l'urto dei cavalieri ghibellini.

La cavalleria fiorentina superiore in numero a quella aretina poteva contare su una prima linea di circa 150 uomini (i Feditori) seguita a breve distanza da un secondo schieramento di oltre 1000 uomini. Per quanto riguarda la fanteria, anch'essa superiore in unità rispetto a quella ghibellina e soprattutto meglio equipaggiata, oltre allo schieramento centrale costituito da 6000 uomini rispetto ai fanti di Arezzo, poteva contare ai due lati della formazione sui Palvesari, soldati dotati di grandi e pesanti scudi che venivano poggiati sul terreno a fare da protezione ai balestrieri che potevano così tirare in tutta sicurezza anche perché a loro ulteriore difesa contro eventuali cariche della cavalleria nemica vi erano reparti di picchieri; in tutto le ali contavano 2000 uomini per lato.

La cavalleria aretina, che era molto esperta, era tuttavia costituita da soli 800 uomini. Anche a fanti gli aretini erano messi peggio a livello numerico, in totale 8000, e qualitativo perché mancavano totalmente o quasi di balestrieri

La battaglia tra guelfi e ghibellini

Picchieri guelfi.

I comandanti ghibellini a cui tutto ciò era chiaro scelsero comunque l'attacco centrale della esperta cavalleria aretina, non è chiaro se con l'intento di giocarsi il tutto per tutto fidando nell'irrefrenabile slancio dei cavalieri (650 uomini su due linee) alla testa dei quali stavano i  12 migliori guerrieri dell'esercito (Paladini) che avrebbe travolto la fanteria fiorentina o con il proposito di fare uscire dai ranghi la cavalleria nemica attirandola dopo un rapido dietro front dietro le loro linee difensive, scombinando così l'ottimo assetto delle truppe fiorentine assunto ad inizio battaglia. Fatto sta che comandata la carica ed iniziato lo scontro la cavalleria aretina si azzuffò con la cavalleria fiorentina, rimasta al suo posto senza muoversi; essa a dire il vero inizio sì ad arretrare ma sia le salmerie che i Guelfi avevano posizionato alle sue spalle sia l'intervento delle schiere dei fanti fiorentini laterali, frenarono l'iniziale sbandamento della cavalleria gigliata, trasformando in un'orrenda mischia il campo di battaglia, con i balestrieri di Firenze che,  protetti dai Palvesari, presero a  bersagliare senza sosta la massa ghibellina. 

L'Esercito ghibellino schierato a battaglia.

Fu proprio allora che Corso Donati, detto “Il Barone”, cavaliere fiorentino di nobile casato e podestà di Pistoia a cui era stato affidato il comando della riserva di 150 cavalieri, contravvenendo agli ordini dei comandanti in capo dell'esercito fiorentino, Guillaume de Durfort e Aimeric de Narbonne, decise di intervenire nella battaglia. L'arrivo inaspettato della riserva fiorentina divise i fanti dai cavalieri aretini e per i Ghibellini fu l'inizio della fine, anche perché Guido Novello a capo della riserva ghibellina invece di intervenire in supporto ai suoi preferì a quel punto ritirarsi al sicuro nel Castello di Poppi. In un’ultima disperata resistenza caddero circondati dai propri fanti, anche i principali condottieri ghibellini, tra i quali Bonconte da Montefeltro e il Vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini, raggiunto da un colpo di picca alla testa nonostante che durante la mischia si fosse scambiato le insegne con il nipote Guglielmo Pazzo dei Pazzi di Valdarno che in tal modo lo voleva proteggere. Alla fine di quella afosa giornata mentre si abbatteva un violento temporale sulla Piana di Campaldino i morti sul campo furono 300 per i fiorentini e circa 1700 per gli aretini, con mille uomini caduti prigionieri, dei quali molti moriranno in prigionia a Firenze non essendo in grado le famiglie di origine di pagarne il riscatto.

Gli spalti del Castello di Poppi
Gli interni del Castello dei Conti Guidi.
Gli interni del Castello dei Conti Guidi.
La Piana di Campaldino oggi.
Due tavole di Massimo Tosi raffiguranti il Castello di Poppi e il Casentino facenti parte della mostra “I luoghi di Dante”, ospitata temporaneamente all'interno del castello.
Serie di modellini di macchine da assedio del XII-XIV secolo conservate nel museo del castello.
Serie di modellini di macchine da assedio del XII-XIV secolo conservate nel museo del castello.
Serie di modellini di macchine da assedio del XII-XIV secolo conservate nel museo del castello.
Serie di modellini di macchine da assedio del XII-XIV secolo conservate nel museo del castello.
Serie di modellini di macchine da assedio del XII-XIV secolo conservate nel museo del castello.

Conseguenze della battaglia

Dopo Campaldino l'Armata fiorentina continuò il saccheggio del territorio aretino, portandosi fin sotto le mura di Arezzo e iniziandone l'assedio. A difesa della città, ormai sguarnita di uomini atti alle armi, furono chiamati vecchi donne e bambini. Alla fine, data l'impossibilità di espugnarne le mura l'esercito guelfo ritornò a Firenze ma nell'equilibrio geopolitico della Toscana i Ghibellini avevano ormai perso irrimediabilmente il loro peso politico.

Il Museo della Battaglia di Campaldino

https://www.comune.poppi.ar.it/mostre-e-musei/museo-della-battaglia-di-campaldino-1289/

Video: La battaglia di Campaldino