Di dimensioni intermedie tra il francolino di monte e il gallo forcello, e nettamente più piccola del gallo cedrone, la pernice bianca è il quarto ed ultimo dei tetraonidi presenti sull’Arco alpino. Si pensi innanzitutto che l’uccello è un relitto glaciale, cioè sceso dal nord Europa fino alle nostre latitudini quando nel quaternario spesse coltri di ghiaccio ricoprirono quasi per intero il vecchio continente. Successivamente, e al ritiro di tali accumuli nevosi, s’è progressivamente innalzata di quota per trovare l’habitat a lei idoneo ed oggi, nell’Europa centrale e meridionale, è presente solo sulle Alpi e in una fascia altitudinale che supera i 2000 m.
Qui, la vita è garantita esclusivamente da alcune forme di adattamento che, in questo caso, si traducono con il mimetismo e il folto piumaggio. Ad esempio, le zampe sono così fittamente ricoperte di piume fino alle unghie che da questa caratteristica ne deriva persino il nome scientifico del genere, lagopus, con i piedi di lepre, appunto.
Caratteristiche e habitat
Altre caratteristiche fenologiche tipiche sono le narici, pure ricoperte, e il manto invernale così ben fatto che isola il corpo da qualsiasi dispersione di calore.
Inoltre, come accennato, le pernici bianche mutano stagionalmente questo loro piumaggio variando non solo la consistenza e la numerosità delle piume, ma anche l’aspetto cromatico. L’abito invernale si presenta quasi interamente bianco, ad l’eccezione di ridotte zone nere che risultano essere parte della coda e, nel maschio, una sottile fascia attorno all’occhio. In estate, invece, ambo i sessi si presentano con una colorazione che richiama il grigio-bruno, alle volte con sfumature rossicce. Le stagioni intermedie fanno sì che vi sia un manto di transizione che racchiude gli aspetti dell’uno e dell’altro precedentemente citati.
Dal punto di vista comportamentale, in questa sede e per praticità, è conveniente far coincidere l’inizio del ciclo annuale della specie con la fine di settembre. Data, questa, che segna l’apertura della caccia e per le vette più alte delle prime nevicate. Ora le pernici si stanno rapidamente sbiancando, ma non essendolo ancora del tutto, preferiscono sostare sui versanti soleggiati. L’inverno è però ormai alle porte e già dai primi di novembre la montagna assume tutti i caratteri più rigidi in ogni angolo. Alle pernici non resta che aggregarsi ed attuare tutte le strategie protettive che la specie ha sviluppato nel corso della storia evolutiva. In questo periodo vivere al di sopra dei 2000 metri vuol dire cercare riparo e nutrimento in un deserto bianco, con temperature ben sotto lo zero termico. Tuattavia, pare che non siano affatto intimorite dall’inverno ed anzi si ha quasi la percezione che esse ne traggano godimento e beneficio, tant’è che cercano trepidamente e con entusiasmo tra roccia e roccia o in uno dei tanti cunicoli scavati nella neve dei legnetti di salice, con i quali si saziano.
È solo verso la fine dell’inverno, quando i miti raggi solari riescono a mettere a nudo le rocce più esposte che gli individui si sbrancano e, poiché la specie è monogama, iniziano a formarne le prime coppie. Tra maggio e giugno il maschio inizia a corteggiare la femmina saltando, volando ed emettendo un suono rauco che non è facilmente imitabile né riproducibile per iscritto.
Nel frattempo, la femmina raccoglie e trasporta al riparo sotto una roccia muschi e pagliuzze che serviranno ad accogliere le uova, le quali, in numero variabile attorno alla decina, vengono covate per oltre 20 giorni. I pulcini, nidifughi, seguono fin da subito la madre in pastura alimentandosi di insetti, gemme e freschi getti di graminacee e piccoli arbusti. Ed è così che aumentando rapidamente di peso, imparano a volare nel giro di poco tempo e in qualche mese sono pronti a diventare bianchi pure loro.
La caccia alla pernice bianca
La caccia alla pernice bianca, dov’è ancora possibile praticarla sulle Alpi, è in primo luogo meravigliosa, ma subito dopo molto faticosa.
Innanzitutto perché il dislivello da superare è sempre tanto, o delle volte tantissimo, e poi perché la conformazione del suolo non agevola mai chi in quelle rocce ci mette piede qualche giorno all’anno e non ne è abituato. Chiunque di noi abbia cacciato con il cane da ferma sa che una volta aperto il baule dell’auto e fatto scendere il fedele compagno, si stia cercando il fagiano, la starna o la beccaccia, è già in piena attività di caccia. Per raggiungere un’ipotetica zona da pernici bianche è necessario attraversare prati-pascoli di malga, foreste di latifoglie che man mano che si sale diventano rade foreste di aghifoglie, quindi la fascia arbustiva alpina e, infine, impervie zone rocciose. Una marcia di avvicinamento che, se si vuole essere sul posto alle prime luci dell’alba, occupa buona parte della notte.
D’altro canto, però, il paesaggio spesso è già di per sé sufficiente a ripagare lo sforzo e se disgraziatamente questo non dovesse colmare l’animo del cacciatore, basti pensare che si è uno dei pochi privilegiati a cacciare lassù, ad inseguire un sogno per molti e una leggenda per altri. Le rocce affilate però, non solo limitano noi stessi, ma usurano i polpastrelli dei cani che possono arrendersi anche solo dopo poche ore di attività. Infine, essendo la specie gregaria in ogni periodo dell’anno tranne che durante la cova, può essere che uno si dia alla cerca per intere giornate senza raccogliere alcunché, come che alla prima uscita si possano involare decine di pernici a pochi passi. Le stesse, quindi, possono essere accovacciate in una zona pianeggiante e accessibile, così come incrodate su di una roccia verticale ed irraggiungibile a chiunque non sappia volare.
Nell’eventualità che il cane arrivi alla ferma e il cacciatore sappia seguirlo e avvicinarlo, il tiro può risultare banale perché non vi sono quasi mai ostacoli tra il fucile e l’animale, ma lo stesso tiro può rivelarsi il più difficile della vita perché la sagoma dell’uccello non è sempre facilmente identificabile. Il volo delle pernici bianche è poco rumoroso, planato e rasente il suolo. Caratteristiche che, accompagnate dall’eccitazione e dalla stanchezza, specialmente in attimi di luce sfavorevole, risultano fatali per mancare il colpo. Per ultimo, se le pernici sono imbrancate, la levata di più soggetti distoglie l’attenzione dal singolo obiettivo e anche un solo attimo di esitazione può far sì che esse si portino fuori dal tiro utile. È comunque buona regola avere un fucile calibro 12 ad una o due canne, con piombo dal 7 al 5.