Caccia d'altri tempi: la doppietta del nonno

Sin da bambino, lo stereotipo del cacciatore lo identificavo in mio nonno, un uomo con grandi responsabilità sulle spalle che si dilettava in quel raro tempo libero ad andare a caccia, passione di vita e fonte di sostentamento.

Il profilo sinistro della "Vittoria" con l'incisione sulla cartella che ricorda sua maestà la Regina, Beccaccia.

Vecchi scarponi ai piedi, pantaloni di fustagno, una vecchia cacciatora sulle spalle, la sua immancabile pipa in radica, tenuta saldamente fra i denti che sbuffava perpetua, ed il classico cappello in feltro adagiato sul capo.

Un uomo d'altri tempi, in perfetta sintonia con la natura ed il mondo che lo circondava.

Il momento che attendevo di più con ansia e trepidazione, scalpitante come un cavallo in griglia di partenza, era quando il nonno estraeva da sotto il letto, il suo scintillante "schioppo", custodito nel fodero di cuoio e tela marrone chiaro, per lucidarlo.

Finalmente potevo ammirare e toccare con mano il primo amore di ogni fanciullo, che si avvicina al magico mondo venatorio.

La doppietta del nonno cacciatore

Il romanticismo, l'eleganza e la bellezza della doppietta, riecheggiano nell'eternità!

Slacciata la chiusura di cuoio, come da un sarcofago veniva estratta la gemma più preziosa: la doppietta Beretta modello monobloc Vittoria calibro 12 a cani esterni, prodotta nella prima metà del '900, con il signorile calcio inglese, la sottile astina adornata dalle zigrinature per rendere più salda l'impugnatura, le sue eleganti cartelle lunghe con incisioni raffiguranti scene di caccia e le canne in acciaio, lunghe e affusolate come le gambe di una donna.

Oggi più che mai un prezioso gioiello da custodire, dal momento che le vecchie e care doppiette precedentemente a cani esterni e successivamente a cani interni o "hammerless" furono riposte negli armadi con l'avvento dei semiautomatici; tralasciando così quell'aspetto romantico del fucile da caccia a favore del carniere. Fortunatamente siamo ancora in molti a difendere la cultura venatoria che ci scorre nelle vene, e molti di noi ancora oggi utilizzano questi fucili di rara bellezza e manifattura italiana.

Agli occhi di un bambino il fucile del nonno, più o meno prestigioso che sia, è sempre l'arma più affascinante e bella del mondo; anche per me fu così, a tal punto da innamorarmene e custodirla fieramente ancora oggi, a distanza di quasi trent'anni.

Ricordo ancora l'odore di polvere da sparo che emanavano le canne della “Vittoria”, un profumo che mi entrò così profondamente nel sangue che ad oggi non posso più farne a meno. I legni del calcio segnati dalle mille avventure, e le incisioni raffiguranti scene di caccia, mi fecero innamorare di questo mondo incantato che rappresenta l'Ars Venandi.

Gli antichi attrezzi del mestiere... La cartucciera in cuoio, la doppietta a cani esterni e le storiche cartucce in cartone, simbolo di un antico mondo venatorio oramai affuscato dal progresso.
In questa foto si possono delineare i cani esterni in tutta la loro eleganza.

La doppietta calibro 12: il fucile da caccia per definizione

La bascula è aperta, adagiamo dolcemente la cartuccia in cartone, il nome impresso sul fondello è sicuramente noto agli anziani ed ai giovani cacciatori.

La doppietta, per antonomasia fu il fucile da caccia della tradizione venatoria Italiana. Colei che sui monti, tra i boschi e le vallate fu la protagonista di molti ricordi ed emozionanti racconti di caccia; per questo ancora oggi, mi emoziono sempre, quando prima di sciogliere il cane in cerca del selvatico, tolgo dal fodero questo elegante fucile, che attraverso la vista e pochi semplici scatti, mi suscita emozioni ataviche e un senso di profonda gioia e libertà!

Sono sicuro che leggendo queste semplici righe, a molti di voi siano tornati in mente simili ricordi, e terminata la lettura di questo breve articolo, correrete ad accarezzare le gloriose doppietta dei vostri nonni, con l'augurio che possiate farle risuonare ancora oggi come allora; nel ricordo di chi ci ha trasmesso questa nobile passione.

Al Mio Caro nonno Ugo.