Anche se non riportano i tradizionali numeri 1 ne 2 rimessi in oro, queste due doppiette Imperiale Montecarlo, visti alla Beretta Gallery di Milano, costituiscono una coppia; la numerazione potrà essere fatta aggiungere dal cliente che li acquisti entrambi oppure potranno essere venduti separatamente. Il nome riportato sul petto di bascula è quello di Beretta, ma questi fucili vengono da lontano, come è giusto trattandosi della più antica fabbrica d’armi al mondo. O forse della seconda in graduatoria, visto che secondo la tradizione Cassiano Zanotti costruì il suo primo fucile nel 1625. In ogni caso, dietro i fucili italiani c’è una lunga storia.
Quella delle doppiette Franchi ha inizio negli anni Trenta con l’intento di produrre una doppietta che stesse al pari di quelle di Liegi, in Italia considerate le migliori. Chi all’epoca era cosmopolita parlava francese, non inglese, quindi per viaggi alla ricerca di armi fini si recava più facilmente in Belgio che a Londra. Inoltre, la qualità tradizionale britannica aveva subito un duro colpo con la prima guerra mondiale, dai cui fronti molti armaioli non erano più tornati, mentre gli operai belgi erano stati impiegati negli arsenali.
Dovendo scegliere un riferimento per i fucili fini, in Franchi si ispirarono alle realizzazioni del belga François Thirifays, che costruì doppiette fini dal 1925 al 1935 (secondo molti dal 1926 al 1937) e sparì; il fratello Charles, che continuò l’attività fino al 1947, non ne aveva le stesse doti.
La prima doppietta, nata nel 1930, fu il modello Littorio, una copia quasi identica di un Thirifays lungamente studiata, visto che i lavori ebbero inizio nel 1927 e che nel catalogo Franchi del 1928 non sono ancora citate doppiette.
Fu l’origine di molti fucili, visto che alla Littorio seguirono la Principe, a cani esterni, e la serie Imperiale, ancora con linee molto ispirate a Liegi e con la bascula della stessa misura del Littorio. La bascula delle doppiette Imperiale S o Imperiale Montecarlo è ancora con piani slanciati, seni di bascula importanti e piastre delle batterie che presentano già la linea sfuggente verso il basso. Teniamo presente che in queste caratteristiche non vi è nulla di vistoso; le differenze sono minime anche se non possono sfuggire all’occhio esercitato.
La doppietta Imperiale si impose immediatamente sui campi di tiro al piccione e l’essere stata adottata da tiratori di ottimo livello, oltre alla linea in parte già acquisita con le doppiette di Liegi, ne fu la migliore propaganda.
I primi aggiornamenti della linea avvengono nell’immediato dopoguerra, con la bascula che si accorcia e si allarga, le batterie più affilate posteriormente e i seni più discreti allineati alle doppiette inglesi finissime; caratteristiche presenti ancor oggi. Le incisioni, che all’inizio erano all’inglesina o a doppio ricciolo, poi specialmente per l’opera di Gino Medici, capo incisore dell’azienda, si fanno più ariose secondo il gusto italiano.
Le canne dell’Imperiale Montecarlo sono ancor oggi assemblate a demibloc, il che vuol dire che ogni sbozzo da cui sarà ricavata una canna reca metà dei tenoni. È una lavorazione più lunga e costosa di quella a monobloc inventata da Beretta ma su fucili di questo genere è doverosa. La lunghezza variava, in origine, da 66 a 74 centimetri; ancor oggi, trattandosi di fucili costruiti su ordinazione, è possibile scegliere la lunghezza delle canne.
Le batterie sono di tipo Holland & Holland con doppia stanghetta di sicurezza, la chiusura era una triplice Purdey con traversino comandato dalla chiave che esce dalla bascula; ora, grazie a materiali migliori, è una tradizionale duplice senza tripla chiusura.
Le doppiette avevano ed hanno l’estrazione automatica dei bossoli e i grani portapercussori sulla faccia di bascula; quelle Montecarlo (dell’Imperiale esistevano tre versioni) avevano le canne in acciaio speciale Vickers o in Poldi Anticorrodal o ancora in Boehler Antinit. Tra le versioni più ricche L’Imperiale Montecarlo Extra aveva incisioni firmate.
E veniamo, finalmente, alla nostra coppia. La bascula, con i suoi piani da 48 millimetri che si discosta, grazie a materiali d’eccellenza, dai 52 millimetri tradizionali, è elegantemente raccolta, finita con cordoncini che ne delimitano il petto e ne allargano i piani compensando abbondantemente, dal punto di vista della robustezza, la bascula raccolta.
L’aspetto è peculiare ed equilibrato; la lavorazione, dopo un primo sbozzato eseguito con macchine a controllo numerico, ha ancora importanti lavorazioni manuali, quelle che caratterizzano il fucile fine quando siano eseguite da personale esperto e appassionato. Sulla faccia di bascula sono presenti i grani portapercussori.
La forma squadrata della bascula è stata imposta da Holland & Holland con il fucile hammerless e rispetto alle linee filanti delle doppiette a cani esterni non incontrò immediatamente un gran favore, al punto che Dickson sviluppò una batteria particolare per mantenere le vecchie linee. Oggi però ci abbiamo fatto l’occhio e in questo caso la linea della bascula è ingentilita da un carattere tutto italiano.
Le batterie laterali hanno cani a rimbalzo; gli scatti, correttamente a doppio grilletto, sono ritoccati individualmente fino a raggiungere il peso di scatto desiderato.
Il calcio è in radica di noce, realizzato sulle misure del cliente. Fa un po’ specie vedere su doppiette fini un calcio a pistola, ma forse è un richiamo al tiro al piccione.
Per questa specialità la doppietta, pur inferiore balisticamente al sovrapposto, ha una superiore maneggevolezza e una maggiore facilità di tiro di stoccata - al piccione occorre tirare subito, appena esce dalla cassetta, perché accelera immediatamente - per via del largo piano di riferimento costituito dalle due canne affiancate.
Trattandosi di fucili fini, le strozzature sono fisse; la scelta del grado di strozzatura dipende dal cliente, che potrebbe anche richiedere strozzatori intercambiabili; ma fortunatamente questo tipo di cliente sceglie fucili diversi.
L’incisione è molto discreta, poco percettibile; avrei voluto che la rosetta realizzata all’estremità della vite di smontaggio fosse ripetuta identica anche sulla testa della vite stessa.
Per concludere, una coppia di fucili come questa testimonia appieno il livello di abilità degli artigiani Beretta.