Legge: costruirsi un'arma clandestina non è mai una buona idea, e vi spieghiamo il perché

Per il caso che ci interessa ricordiamo innanzitutto che "…è arma clandestina, la cui detenzione integra il reato previsto dall'art. 23 della legge 18 aprile 1975, n. 110, anche una pistola a salve, in quanto tale priva di matricola, artigianalmente trasformata in arma da sparo in ragione della modifica effettuata”, secondo giurisprudenza costante.

Il fatto: strumento di segnalazione acustica modificato per sparare

Tizio veniva tratto a giudizio per aver detenuto un’arma comune da sparo ottenuta mediante la modifica delle canne e del caricatore di uno strumento di segnalazione acustica, e di quattro cartucce calibro 7,65 Browning; l'arma veniva così descritta nell'editto d'accusa: “…pistola Beretta (sic) mod. 85, con la scritta punzonata - Mod. 85 auto K cal. 8 mm K – Italy -  con un caricatore inserito e contenente a sua volta n. 4 cartucce cal. 7,65, perfettamente funzionante in quanto modificata mediante l'ablazione parziale della canna originaria (occlusa per legge) e l'adattamento al suo posto di una canna metallica ad anima liscia di fabbricazione artigianale, costituita da un tubo metallico opportunamente lavorato, ferromagnetico, verosimilmente in acciaio, e la modifica, altresì, del caricatore, in guisa da renderla una vera e propria arma comune da sparo idonea all'offesa, priva di matricola e, quindi, clandestina".  

La sentenza portava alla condanna sia avanti al Tribunale sia in Corte d’appello, per detenzione di arma clandestina e nemmeno il ricorso in Cassazione poteva ribaltare i precedenti verdetti, ma la vicenda va analizzata anche in relazione alla funzionalità o meno dell’arma, sia dal punto di vista concreto che astratto. Vediamo.

Il ricorso in Cassazione dell’imputato: l’arma clandestina… non funziona

Tizio si lamentava che i giudici non avessero tenuto conto della sua convinzione l'arma fosse inutilizzabile, poiché avendola testata alla presenza di un testimone (che ne aveva dato esaustiva conferma durante il processo) la prova era fallita. In poche parole, Tizio avendo fallito il test riteneva che quell’assembramento di pezzi non fosse mai divenuto un’arma, tuttavia aveva conservato la stessa ed i proiettili. Pertanto, difettando l’elemento soggettivo (qualunque colpevolezza di sorta) Tizio doveva essere assolto.

Iter motivazionale dei giudici di merito confermato in Cassazione

Una scatola di cartucce calibro 7,65 Browning della S&B, analoghe a quelle menzionate in questo caso.  

La Corte offre diversi spunti di riflessione. Per non incorrere nel reato di cui all’art. 23, comma 3, legge 10 aprile 1975 ovvero di detenzione di arma abusiva - punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 1.000 euro a 15.000 euro - si deve innanzitutto escludere la rilevanza penale al possesso di un'arma in generale. Ciò accade quando la stessa sia inidonea in modo assoluto all' impiego cui è destinata, nel senso che, a causa di imperfezioni o anomalie che non possono essere agevolmente rimosse, essa non possa in concreto essere utilizzata. Vale la precisazione che non deve trattarsi di una inefficienza solo momentanea dell'arma, poiché solo quando essa risulti totalmente e irrimediabilmente inefficiente viene a mancare quella situazione di pericolo per l'ordine pubblico e per la pubblica incolumità che costituisce la ratio della disciplina dettata dal legislatore. La perizia balistica, infatti, non aveva escluso che l'arma, per quanto in cattivo stato di conservazione, fosse del tutto inefficiente per cause non rimovibili, e quindi inidonea in modo assoluto all'impiego. È stato quindi stabilito, correttamente, per la sussistenza del reato contestato.

La Corte trae spunto, inoltre, dal comportamento di Tizio che, pur avendo fallito il test di sparo, aveva conservato l’arma con le munizioni in un’intercapedine del muro della propria abitazione, denotando una convinzione che con degli accorgimenti l’arma avrebbe potuto sparare. La condanna è stata confermata.

Considerazioni finali

Sulla natura di arma da fuoco è importante, anche a livello definitorio, quanto stabilito dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 527, come modificato, all’art. 1 bis dà la definizione di:

a) “arma da fuoco”, qualsiasi arma portatile a canna che espelle, è progettata per espellere o può essere trasformata al fine di espellere un colpo, una pallottola o un proiettile mediante l'azione di un propellente combustibile, ad eccezione degli oggetti di cui al punto III dell'allegato I della direttiva 91/477/CEE, e successive modificazioni. Si considera, altresì, “arma da fuoco” qualsiasi oggetto idoneo a essere trasformato al fine di espellere un colpo, una pallottola o un proiettile mediante l'azione di un propellente combustibile se:

1) ha l'aspetto di un'arma da fuoco e,

2) come risultato delle sue caratteristiche di fabbricazione o del materiale a tal fine utilizzato, può essere così trasformato;

E’ evidente che la trasformazione di qualcosa che non era arma da sparo, appunto, in arma da sparo, con le caratteristiche sopra descritte dall’art. 1 bis, e priva dei requisiti di cui all’art. 23 co, 1 n. 1 (Banco di Prova) e n. 2 (assenza di numeri, dei contrassegni e delle sigle di cui all’art. 11) costituisce arma clandestina, però si noti che possono concorrere i reati di fabbricazione e detenzione di arma clandestina, di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 23 L. 110/1975, e la fabbricazione non va intesa come “industriale” bensì anche solo artigianale ed anche di un solo pezzo.

Solo se l’arma sia del tutto inefficiente per cause non rimovibili (permanenti) e quindi non idonea in modo assoluto all'impiego, ossia inefficienza per mancanza di un accessorio indispensabile e, in ogni caso, non facilmente reperibile per cui possa essere ripristinata nella sua funzione originaria, è corretto concludere per l’inesistenza del reato di detenzione e fabbricazione di armi clandestine.

Riferimenti normativi: art. 23 L. 110/1975. Cass. pen., Sez. I, Sent., (data ud. 05/12/2024) 10/01/2025, n. 1020

Note sull’autore

Curatore della rubrica giuridica di All4Shooters è l’Avv. Gabriele Traina del Foro di Treviso con studio in Conegliano (TV) ove unitamente all’Avv. Alessandro Pierobon svolgono la loro attività professionale. Da sempre contiguo al mondo delle armi proprie non da sparo ed improprie, ha potuto appassionarsi ulteriormente della materia abbracciando anche quei settori prima non coltivati. Vi è una convinzione derivante dall’esperienza, ovvero che nel settore di cui si tratta, si sia padroni esclusivamente della prevenzione ma non del rimedio, dovendo in quest’ultimo caso misurarsi con differenti organi che a volte non decidono all’unisono. Per questo motivo la rubrica tratterà, oltre che dei casi concreti di maggior interesse di cui si è occupata la giurisprudenza, e quindi dopo l’intervento dell’Autorità, anche di come quei casi, magari con un intervento preventivo avrebbero potuto avere un epilogo diverso.