Caccia all’estero… in Italia

Vi fu un tempo in cui la caccia all’estero, era un modesto, modestissimo fenomeno riguardante un piccolo drappello di pionieri.

No, non era per “bulimia” venatoria che partivano (leggi: voglia di strage), quanto piuttosto per due fattori sopra ogni altro:

  1. Ricerca innata d’avventura è libertà, man mano che leggi sempre più restrittive iniziavano a colpire il popolo cacciatore italico riguardo a specie e tempi;
  2. Ricerca di spazi e possibilità d’incontri inusitati in termini di ambienti e specie.

Con l’Africa, dunque, a far da apripista, certo. Sinché via via toccò pure ai migratoristi e ai cinofili coi loro cani (e ad altri luoghi). Cause comuni – dicevamo - da un lato un territorio nazionale sempre più antropizzato, con asfalti e cemento che si mangiavano ogni cosa ed il resto del territorio quasi sempre vittima di una pessima gestione delle risorse agro-silvo-pastorali. Sinché su tutto, infine, s’abbatté anche la scure delle nefande pratiche delle PAC (Piani Agricoli Comunitari); dall’altra la follia parco-maniaca, che finì per sottrarre alla caccia praticamente ogni residuo di territorio ancora integro.

E sì che, se solo 50/60 anni fa, qualcuno avesse provato a preconizzare questo scenario che ormai è il presente, gli avrebbero dato del pazzo (poi, capiremo meglio anche il perché).

Fatto sta, che oggi e sempre più chi può permetterselo in termini economico-temporali, trascorre varie giornate – in molti casi addirittura settimane e/o mesi – all’estero per cacciare.

Un po’ di dati…

La BECCACCIA, una delle prede più ricercate dai cacciatori giramondo. 

Or bene, al momento non esiste un vero e proprio studio ufficiale con relativo censimento analitico riguardo al numero preciso di cacciatori italiani che cacciano all'estero, ma si stima che il "turismo venatorio" coinvolga circa 50.000 cacciatori italiani all'anno.

Il dato è derivato da un calcolo empirico abbastanza verosimile, che tuttavia, a mio modestissimo parere, può addirittura esser considerato per difetto, dato che incrociando il numero di cacciatori in Italia (ad oggi intorno ai 470.000 - 500.000 attivi), col numero di tasse versate ad ATC e Regioni, ne deriva una differenza di circa ulteriori 15/20.0000 unità fatta da gente che paga SOLO la licenza, ma non ambiti e tasse regionali, perché CACCEREBBE SOLO ALL’ESTERO.

Ma restiamo per comodità dentro quota 50.000… Un’enormità in ogni caso!!! Un’enormità che – conti alla mano - corrisponde a ben oltre il 10% dell’intero popolo cacciatore italiano.

Parliamo quindi di gente che - fra quelli che si concedono un viaggio una tantum per stagione, sino ad altri che addirittura hanno quote fisse in riserve soprattutto nei Balcani, dove trascorrono la gran parte della stagione venatoria (specie in Slovenia per ungulati, e Croazia e Bosnia per cacce col cane da ferma, con la Serbia considerata più che altro paradiso per il dressaggio dei cani da ferma) - rappresenta in ogni caso un’importantissima quota di connazionali che spendono fuori dal Paese cifre davvero significative.

Ecco di cosa parliamo…

Le cifre della caccia all’estero

La cinofilia di classe, per dressaggio, allenamento e caccia cacciata, una delle molle che più spingono gli appassionati a viaggiare.

Un viaggio di caccia di 3 giorni pieni (3 di caccia più 2 per le trasferte) non costa meno di 1.000/1.200 euro per persona.

Una stagione interamente trascorsa avanti e indietro con tutti i week end impegnati all’estero a cacciare, per i 4 mesi di caccia da novembre a tutto febbraio, ci porta a un costo minimo di 300 euro per licenza locale, più 2/3000 euro per quota in riserva, più accompagnatori, carburante, vitto e alloggio, che portano il tutto a sommare un minimo di 1.200 euro mese, che per 4 fa 4.800, meglio 5.000, che sommati ai quasi 4 e stando larghi, ecco che senza fatica (e stando bassi) ti diventano 10.000 euro per stagione.

No, non sarebbe né giusto né logico desumere la media fra coloro che “semel in anno”, e i “riservisti” fissi, essendo questi molti, molti di meno degli altri.

È tuttavia corretto ipotizzare per i 50.000 cacciatori giramondo di cui sopra, una spesa “quasi media” pro capite all’estero di circa 2.500 euro l’anno.

E adesso, mano alla calcolatrice, si faccia la moltiplicazione et voilà, ecco che abbiamo la considerevole cifra di 125.000.000 di euro che a causa dei problemi della caccia in Italia, i nostri cacciatori spendono… ovunque!

Con un chiaro, chiarissimo effetto negativo per l’economia nazionale.

Ora, dite che magari vi sembra un po’ troppo?

Ok, e allora arrotondiamo il tutto a 100.000.000 e chiusa lì!!!

…Una botta immane in ogni caso, e all’apparenza senza una possibilità che una di poter pareggiare in qualche misura questa terrificante “S-bilancia dei pagamenti” rispetto ad altre nazioni.

A meno che…

Stranieri a caccia in Italia

Andrea assieme a Luca TRIVELLATO (e un suo accompagnatore di fiducia) nelle riserve Istriane di Barbana. 

È di meno d’un anno fa la grande notizia di uno “straniero” a caccia in Italia che per poco non si trasforma in caso diplomatico: parliamo della storia di Donald Trump jr., “sorpreso” in Veneto a caccia di anatre in Laguna!

Credo che ricorderete tutti lo spreco di titoli e titoloni, a condire articoli e servizi pieni di (stupido) sdegno per un fatto che, sino a non pochi anni prima, era la norma…

Già, per quanto possa sembrare strano ed incredibile, specie oggi che siamo forse il Paese che più “esporta” cacciatori al mondo, ci fu un tempo in cui era proprio l’Italia a rivelarsi meta assai ambita di una nutrita schiera di cacciatori prestigiosi.

Perché?

Le ragioni erano tante, ma fra queste tuttavia, non certo secondario il fatto che l’Italia in quanto tale – finché perdurò la sua anima rurale – era un vero e proprio paradiso venatorio, per quantità e qualità della caccia che vi si poteva praticare. Per autoctoni e forestieri, ovviamente…

Fra quest’ultimi, stranoto il caso di Ernst Hemingway, solito trascorrere buona parte della sua stagione venatoria in Veneto, tra le nebbie delle valli per acquatici, e non di meno fra le vette dolomitiche, dedito ad altre cacce nei dintorni di Cortina.

Per la caccia a quaglie, visti i calendari venatori italiani, l'estero è quasi divenuto un obbligo. 

Ma tantissimi altri – dai reali di Spagna al Maresciallo Tito, e in mezzo nobili, politici e imprenditori di ogni angolo del pianeta – spesso sono stati ospiti di prestigiose riserve nazionali, a partire dalla storica San Rossore, già medicea e quindi Savoia, per divenire infine riserva dei presidenti della Repubblica Italiana.

Or bene, un fatto accomunava tutti costoro (rendendo in ogni caso speciale la caccia in Italia in quanto tale per chiunque): da noi, non venivano mai solo per la caccia, ma per l’Italia, e quel che l’Italia da sempre rappresenta nell’immaginario collettivo planetario in termini di arte, cultura e conoscenza, il tutto poi sposato all’idea del “bel vivere”, dal cibo, al buon gusto nel vestire sino a quello che si mette in un bicchiere non solo per bere, ma per dare più sapore all’esistenza.

Poi, quasi di colpo cambiò ogni cosa, sino alla situazione attuale dove è “normale” avere oltre un decimo dei cacciatori “nativi” che spendono gran parte della loro stagione venatoria all’estero, ma viene giudicato “abnorme” il fatto che il figlio del presidente degli Stati Uniti abbia scelto per una manciata di giornate di calcare le orme di… Hemingway!

Parafraso Shakespeare: “c’è del marcio, nell’ (un tempo) bel Paese…”.

Vediamo di capire cosa, e di proporre anche qualche soluzione non solo percorribile, ma del tutto auspicabile.

Le norme attuali

Non solo beccacce, ma anche nobile stanziale di classe come i fagiani naturali sono motivo e ragione d'entusiasmanti avventure venatorie senza confini.

Allo stato attuale delle cose – capiamoci – venire a caccia in Italia per un cittadino di altro Paese, non è impossibile. Solo complicato in maniera inverosimile.

Ecco in breve cosa dice la legge in maniera abbastanza farraginosa e a volte persino contradditoria:

-Un cittadino straniero residente all'estero può cacciare in Italia se è in possesso della licenza di caccia del proprio Paese di residenza (e questo ok), della Carta Europea d'arma da fuoco (e se non è europeo?) e della polizza assicurativa italiana prescritta (cioè, dovrebbe avere polizza assicurativa italiana? E come la fa? Dove si clicca per ottenerla? C’è qualche link ministeriale multilingua o cosa?).

-Per cacciare nel territorio italiano, deve inoltre richiedere e ottenere il tesserino venatorio temporaneo da parte delle province italiane (e qui, apriti cielo!!!).

-Chiedo poi: e con gli ATC, come siamo messi? Serve anche il versamento all’ATC?

…Boh?!

-Comunque, in alternativa, se non volesse trasportare le proprie armi, sarebbe possibile utilizzare armi di proprietà italiana tramite un contratto di "comodato d'uso". 

Con chi? Un’armeria? Un privato? Cosa?

-E come possono fare tutto questo preventivamente per dire… un inglese o un americano, un neozelandese o un australiano?

-Nessuno ne sa niente, ma la norma recita: “per maggiori informazioni, è consigliabile rivolgersi agli uffici di Polizia o alle regioni per conoscere i requisiti specifici e le procedure da seguire”.

Ci ho provato, ne è uscita fuori una barzelletta fatta di “…Non so, non è mia competenza, chieda ai carabinieri, riprovi con la polizia, telefoni all’ufficio preposto, chieda in provincia, provi in regione, conosce Batman? Magari gli Avengers… Che la Forza sia con te!” Scherzo, ma fino a un certo punto.

Dato che tutto questo al di là di ogni ragionevole dubbio, dimostra una cosa e solo quella: l’Italia, al momento attuale, NON è un Paese attrezzato ad attirare turismo venatorio di qual si voglia genere, specie quello di alta gamma, come sarebbe sua vocazione storica, e come sarebbe auspicabile facesse.

E ora, vi dico anche come tutto ciò potrebbe essere possibile e quali sarebbero gli immani vantaggi un po’ per tutti.

La proposta

Schematizzo al massimo.

Innanzitutto, il target. Ovvero, a quale tipo di turismo venatorio dovrebbe quindi puntare l’Italia.

La faccio spiccia: escluderei da subito gli “sparatori folli”.

Primo, perché non c’è abbastanza selvaggina. Poi, perché non ci sono spazi per un turismo venatorio di massa. Col serio rischio, infine, di scatenare una “guerra fra poveri” con gli autoctoni, già inferociti per la locale scarsità di spazi e di risorse…

Quindi? Quindi l’Italia – create norme ad hoc il più semplici possibili - dovrebbe puntare ad attrarre turismo venatorio di alta – anzi, altissima - gamma.

Fatto cioè, da un lato da gente come… esatto, il figlio di Trump!

Proprio come Donald Trump jr.!

Vale a dire cacciatori veri per cacce vere, ma di classe, da praticarsi in luoghi mitici e leggendari – e perciò esclusivi - e che costino al praticante quello che devono costare.

Il tutto, seguito da pacchetti all inclusive fatti di cultura ed eno-gastronomia di livello siderale. Tutto all’insegna del più puro “the best, or nothing”.  

E dall’altro, da viaggiatori alla ricerca dell’Italia in quanto tale – fra mostre, musei, città d’arte ed eleganza – i quali tuttavia, in quanto cacciatori, possano godere della possibilità di regalarsi anche qualche giornata di caccia di gran classe, non necessariamente di tipica tradizione italiana, ma col fascino dei paesaggi italiani quale assoluto valore aggiunto a rendere indimenticabile ogni soggiorno.

Andrea con la coppia Festini & Tribelli nelle riserve TQF in Croazia. 

Parlo ad esempio di drive a fagiani e pernici (per questo allevati/e). Seguiti poi da bei pomeriggi a recupero di alcuni capi coi cani da ferma, perché no?

O magari da qualche bella battuta di gran classe al cinghiale…

Oppure, di capi in selezione fra un giro in un resort/spa di montagna e due corse sulle piste da sci…

Le opzioni sono tante: basta iniziare a strutturarle, e a raccontarle come si deve, che poi – ne sono certo – tanta, tanta gente sarebbe pronta ad arrivare.

I vantaggi, mi sembrano tanti e subito chiari, e vanno da quelli immediatamente economici sino ad arrivare alla protezione ambientale e a forme collaterali di ripopolamento a saldo attivo.

Mi spiego con un esempio: in un drive con grandissimi fucili, il numero di capi abbattuti non supera mai il 30/35%.

E gli altri, che fine fanno? Semplice, come dicevamo alcuni possono essere cacciati dai “turisti-riservisti” con i cani, ma gli altri restano in ogni caso sul territorio.

A implementare le risorse locali – in termini di capitali faunistici - anche sul cosiddetto “territorio libero”.

Una piccola scommessa prima di concludere: ci giochiamo qualche cosa sul fatto che magari – vedi mai – implementate anche per questa via le risorse di selvaggina stanziale prelevabile, magari qualche d’uno degli oggi “esuli per forza con la doppietta”, potrebbe decidere di restare un po’ di più a casa? La domanda è retorica quanto non voglio essere io, dato che parlo per esperienza personale.

Già, vi fu un tempo anche nella mia storia personale di noto cacciatore giramondo, nel quale potendo ancora regalare a me e ai miei cani incontri con fagiani sino a quasi alla chiusura, seguiti da parecchi giorni beccacciai di grandissima soddisfazione in casa, quasi mi scocciava dover prendere e andare via.

E se lo facevo, era solo per lavoro, con la mente e l’anima ben fissi a quei territori che per tanti anni considerai miei, amandoli d’un amore sconfinato…