La Banda Grossi, storia di briganti e polvere nera nell’Italia post unitaria

Montefeltro 1861, all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia le Marche vivono una situazione di estrema confusione tra il momento dell’insediamento dei rappresentanti il nuovo governo e lo smantellamento delle vecchie istituzioni dello Stato Pontificio. 

Oltretutto le preesistenti tensioni sociali vengono alimentate da una diffusa povertà e da un'arretratezza che ora devono fare i conti anche con le nuove tasse imposte dal governo con sede nella lontana Torino. Difficile qui come nelle altre regioni del centro-sud Italia tenere il passo con il Nord.

Storia della Banda Grossi

Claudio Ripalti durante le riprese del film La Banda Grossi
Al centro della foto il giovane regista Claudio Ripalti impartisce le ultime direttive agli attori prima della scena dell’assalto alla diligenza.

In questo clima di sfiducia e di rabbia, seguendo un cliché già visto per le zone più meridionali del paese, la tentazione per i più disperati di darsi al brigantaggio è forte. 

È così che Terenzio Grossi, un ex contadino, mette in piedi una banda che per due anni compirà nel territorio montefeltrino omicidi e furti di ogni tipo. 

Seppure la matrice di tali azioni sarà tra le più violente di quei tempi, tanto che a distanza di oltre 150 anni il ricordo della loro efferatezza non è svanito, anche in questo caso come nelle altre realtà locali delle regioni del nuovo stato italiano non è facile inquadrare la Banda Grossi all’interno di un’attività esclusivamente malavitosa. 

Scena film La banda Grossi
Prima del “Ciak” un carabiniere reale prende confidenza con il suo fucile 1814 convertito a percussione.

Per molta della popolazione locale Terenzio Grossi è infatti un benefattore, una specie di Robin Hood che toglie ai ricchi per dare ai poveri; certo un fuorilegge! Se per legge si intende quella dei nuovi padroni piemontesi. La storia della Banda Grossi, costituita oltre che da Terenzio, da altri sei ceffi, ci viene proposta oggi sul grande schermo da un giovane regista, Claudio Ripalti che si avvale di una produzione, quella della Cinestudio, indipendente e che seppur disponendo di pochi mezzi è riuscita grazie al talento dei suoi componenti a restituirci un vero e proprio spaccato storico della realtà risorgimentale marchigiana. 

Olinto Venturi
Al centro, Olinto Venturi sembra indeciso su che pistola scegliere. A sinistra Sante Frontini con la sua Howdah a percussione.

Molto realismo, soprattutto nel campo delle armi grazie anche ai modelli forniti dalla Davide Pedersoli, azienda bresciana specializzata in repliche di armi d’epoca. 

Per gli appassionati di avancarica e polvere nera veramente un bel vedere con doppiette, pistole, fucili di tutti i tipi, impiegati sia dai briganti nelle loro scorribande sia dai Carabinieri Reali impegnati negli scontri a fuoco con essi. 

Per la precisione le armi Pedersoli fornite alla produzione e i personaggi che le impiegano sono le seguenti:

Olinto Venturi con un fucile Harper's Ferry Colt Conversion.
Olinto Venturi detto “il bello” qui armato con un fucile Harper's Ferry Colt Conversion di Pedersoli.

Terenzio Grossi: pistola Mang in Gratz (s.341), doppietta ad avancarica a percussione (s.242).

Olinto Venturi: doppietta ad avancarica a percussione (s.242).

Giuseppe Alunni: fucile Sharps 1859 (s.760).

Luigi Trebbi: fucile Ussaro a pietra focaia (s.204).

Biagio Olmeda: fucile Harper's Ferry Colt Conversion (s.273).

Sante Frontini: pistola Howdah (s.358).

Pietro Pandolfi: pistola Queen Anne (s.328).

Pattuglia dei carabinieri: Fucile da carabinieri reali 1814 convertito a percussione (s.192).

Naturalmente, come accadrebbe nella realtà, in alcune scene le armi cambiano di mano tra i personaggi, ma comunque è interessante osservare l’eterogeneo arsenale, composto da armi civili e militari, tipico delle bande di fuorilegge dell’epoca.

Per il Trailer pilota (il film esordirà sul grande schermo a settembre del 2018) e maggiori informazioni: https://cine-studio.it/