Caccia a tutela dell'agricoltura: alcune riflessioni

Partiamo dal concetto di gestione. Se apriamo il dizionario, alla voce "gestione" leggiamo “amministrazione o conduzione, con poteri decisionali […]”. Il termine, non a caso, si applica in modo assolutamente permeante anche al mondo venatorio ed in particolare al territorio e alle specie faunistiche. 

Gestire significa ragionare sulle problematiche intrinseche del territorio, sul rapporto tra la popolazione umana e lo stesso, su come l’uomo ne sfrutta le risorse e del rapporto che si instaura tra l’uomo e le specie autoctone. Abbiamo parlato di problematiche. 

Sì, perché spesso la convivenza, tra l’uomo e le specie animali che vivono su un determinato territorio, può portare a problemi alle volte anche di non facile soluzione. Facciamo un esempio. Uno tra i dati più allarmanti di questi ultimi anni, come ho accennato prima, è l’aumento esponenziale della popolazione di cinghiali sul territorio Italiano. 

cinghiale
Il cinghiale è uno dei selvatici che maggiormente danneggia le coltivazioni esponendo gli agricoltori ad ingenti danni economici.

Questo aumento così radicale, le cui cause sono imputabili a una serie interminabile di fattori, porta spesso a conseguenze nefaste nei confronti di agricoltori i quali, magari, si vedono distrutti mesi di lavoro in una sola notte da un branco di cinghiali affamati. 

I danni ammontano, spesso, a migliaia di euro. Vediamo alcuni numeri, per capirci. 

Prendiamo, ad esempio, il caso emblematico della Provincia di Pescara. 

Fino al 2010, nella Provincia di Pescara, danni causati dai cinghiali alle coltivazioni agricole ammontavano a circa 100-150.000 euro l’anno. 

La Provincia decise così, di ragionare sulle possibili soluzioni da adottare e si vide, come logico che sia, che l’unica soluzione adottabile, poiché conveniente sia da un punto di vista di efficacia sia di costi, era, sulla base di censimenti della popolazione di cinghiali effettuati annualmente, l’autorizzazione di abbattimenti di selezione nei mesi di giugno e luglio e cioè nei mesi in cui la maggior parte delle coltivazioni giunge a maturazione. Si pensi che, nel 2011, unico anno in cui per motivi di carattere amministrativo e logistico non si riuscì ad autorizzare la caccia di selezione al cinghiale, i danni aumentarono fino a 250.000 euro l’anno. 

Con la ripresa degli abbattimenti di selezione, nel 2012 i danni scesero di nuovo a 170.000 euro l’anno. Si vede, da questi semplici e scarni dati, come la caccia deve assolutamente essere tutelata non solo come attività portatrice di tradizione e come semplice passione ma come strumento validissimo di tutela e di garanzia nei confronti di chi sceglie di vivere di agricoltura e dei prodotti del proprio territorio.

Le conseguenze della mancata (o parziale) gestione del territorio

Tra le cause di aumento della popolazione di specie considerate problematiche che abbiamo preso ad esempio, c’è senza dubbio quello del costante abbandono dell’agricoltura, da una parte, e della caccia dall’altra, da parte dei giovani. 

Entrambi questi mondi vivono un problema di mancato ricambio generazionale. 

Abbandonare il territorio significa lasciarlo a se stesso, significa non gestirlo. 

Abbandonare la caccia, o comunque non tutelarla con l’adozione di politiche volte a garantire un costante ricambio generazionale, significa perdere quel prezioso strumento di controllo dell’ambiente e della biodiversità. 

La mancata gestione dei territori porta gli stessi a rinselvatichirsi. Questo porta ad un aumento dei territori a disposizione delle specie e, conseguentemente, ad un aumento della popolazione. 

Altra problematica, forse tra le più importanti, è quella relativa all’adozione, da parte del legislatore nazionale e, in alcuni casi, regionale, di una politica sempre più restrittiva, priva di qualsiasi forma di ragionevolezza, nei confronti della caccia.

Abbiamo assistito, giorni fa, all’adozione da parte della Regione Piemonte, di una Legge Regionale che vieta la caccia tutte le domeniche di settembre.

Andando a leggere il testo, il legislatore si appella a una generica e priva di senso “tutela del patrimonio avifaunistico della Regione”. 

Alla luce degli esempi che abbiamo utilizzato fin da ora, una dicitura del genere appare assolutamente sconfusionata e arbitraria. Prima di tutto perché una legge del genere presta il fianco a questioni di costituzionalità della stessa, in quanto prevede una limitazione le cui ragioni non sono meglio chiarite e poggiate su valide basi giuridiche. In secondo luogo, quali sono i fondamenti scientifici, biologici, ed etici sui quali il legislatore regionale del Piemonte si è basato per limitare l’attività venatoria? Non si capisce. 

Carabina e zaino
La caccia di selezione rappresenta il primo valido strumento di gestione del territorio.

Tralasciando le assurde decisioni di alcuni politici che scelgono di azzoppare la caccia in regione, ragioniamo ora su quello che è lo strumento primario di gestione delle popolazioni maggiormente problematiche: la caccia di selezione.

Con caccia di selezione si intende una forma di caccia mirata, studiata sulla base di dati scientifici elaborati da istituti di ricerca (primo fra tutti l’ISPRA), e sull’elaborazione di piani di abbattimento tenendo conto anche dei censimenti e su una attenta analisi delle conseguenze di uno squilibrio nell’ordine delle popolazioni di alcuni selvatici (in particolare ungulati) su un territorio e le criticità nascenti dal rapporto con l’uomo. Alla base della caccia di selezione deve esserci quella scientificità e quella ponderatezza tali da evitare un eccessivo ripopolamento di una data specie su un dato territorio, mantenendo o ripristinando il tasso di popolazione originario garantendo un equilibrio tra la popolazione stessa e l’uomo.

Conclusioni

La caccia è e deve rimanere uno strumento di tutela e gestione del territorio. Alla base della gestione del territorio ci deve essere una visione globale dello stesso e dell’ambiente, nei quali la fauna rappresenta uno strumento funzionale e strutturale dell’ecosistema all’interno del quale è inserito anche l’uomo. 

La caccia rappresenta lo strumento primario di garanzia nei confronti di chi vive di agricoltura e che, troppo spesso, si trova a dover chiedere ingenti risarcimenti agli enti territoriali competenti per danni causati dalla fauna selvatica trovandosi obbligato aspettare tempi e lungaggini che appartengono al nostro Stato. 

Di più. Gestire i selvatici garantisce non solo chi vive di agricoltura, ma anche di allevamento. Attraverso l’attività venatoria si monitorano anche eventuali diffusioni di malattie tra i selvatici che rischiano di colpire anche quegli animali che fanno parte di allevamenti. In questo modo si mantiene quella sottile linea di equilibrio tra l’uomo e la natura ed è compito primario del cacciatore mantenerla e non superarla.

Cacciatori e agricoltori, ad avviso di chi scrive, devono fare corpo unico. Devono necessariamente trovare punti di intesa e di comunicazione. Solo in questo modo le istituzioni si troveranno a fronteggiare e a relazionarsi con un mondo numericamente molto ampio, ricco di argomentazioni scientifiche e giuridiche e portatore di tradizione e di passione per l’ambiente e la natura.

Corrado Maria Petrucci 
Consulente Legale

 

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