I divieti a caccia: prima parte

Interessi da tutelare

Iniziamo l’analisi di questo aspetto partendo da un presupposto di fondamentale importanza. La disciplina dei divieti e delle forme di caccia vietate è sostanzialmente disciplina regolamentata da fonte del Diritto dello Stato, e cioè attraverso l’art. 21 della Legge 157/92. Successivamente, però, tale disciplina riconosce competenza residuale ed una seppur limitata discrezionalità alle fonti del Diritto Regionale le quali, ovviamente, non possono consentire come lecito ciò che il legislatore prevede come vietato, ma possono ulteriormente integrare l’impianto normativo con ulteriori previsioni consistenti in un comportamento omissivo obbligato.

Alla base di questi divieti è possibile ravvisare tutto un sistema di interessi legittimi in capo ai soggetti, cacciatori e non, che il legislatore si preoccupa di tutelare. Oltre a questi vi sono interessi di carattere più generale, eretti a rango di quelli che la dottrina chiama beni  giuridici costituzionalmente rilevanti e tutelati (e cioè tutelati e garantiti a partire dalla legge fondamentale, la Costituzione) come la pubblica sicurezza.

Divieti riguardanti i luoghi

Cinghiale
Alla base della disciplina dei divieti a Caccia ci sono beni costituzionalmente rilevanti e tutelati ed interessi legittimi dei consociati.
  • l'esercizio venatorio nei giardini, nei parchi pubblici e privati, nei parchi storici e archeologici e nei terreni adibiti ad attività sportive;
  • l'esercizio venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali. Nei parchi naturali regionali costituiti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 6 dicembre 1991, n. 394, le regioni adeguano la propria legislazione al disposto dell'articolo 22, comma 6, della predetta legge entro il 31 gennaio 1997, provvedendo nel frattempo all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 32, comma 3, della legge medesima (41);
  • l'esercizio venatorio nelle oasi di protezione e nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica, nelle foreste demaniali ad eccezione di quelle che, secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;
  • l'esercizio venatorio ove vi siano opere di difesa dello Stato ed ove il divieto sia richiesto a giudizio insindacabile dell'autorità militare, o dove esistano beni monumentali, purché dette zone siano delimitate da tabelle esenti da tasse indicanti il divieto;
  • l'esercizio venatorio nelle aie e nelle corti o altre pertinenze di fabbricati rurali; nelle zone comprese nel raggio di cento metri da immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro e a distanza inferiore a cinquanta metri da vie di comunicazione ferroviaria e da strade carrozzabili, eccettuate le strade poderali ed interpoderali    

Già da questi prime cinque punti è interessante notare come emergano immediatamente quelli che sono gli interessi legittimi tutelati ed i c.d. beni costituzionalmente tutelati. Vietare l’attività venatoria in giardini, parchi pubblici in parchi storici ed archeologici o in terreni adibiti ad attività sportive serve a tutelare, ovviamente, l’interesse collettivo alla pubblica sicurezza la quale viene richiamata in Costituzione ben 10 volte. Lo stesso vale per il divieto di esercizio venatorio in zone comprese nel raggio di 100 metri da immobili e fabbricati adibiti ad abitazione o a posto di lavoro e a distanza inferiore a cinquanta metri da vie di comunicazione ferroviaria.

Divieti riguardanti le distanze

Proseguendo, notiamo che il legislatore si preoccupa di imporre questa volta un divieto riguardante le distanze (su cui successivamente prepareremo un articolo specifico). 

Al punto f) infatti la norma stabilisce che la distanza minima da rispettare quando si usa un fucile ad anima liscia è quella di 150 mt. da fabbricati adibiti a qualsiasi destinazione o altrimenti rispettare una distanza minima corrispondente ad una volta e mezza la gittata massima di un’arma diversa dal fucile ad anima liscia.

  • sparare da distanza inferiore a centocinquanta metri con uso di fucile da caccia con canna ad anima liscia, o da distanza corrispondente a meno di una volta e mezza la gittata massima in caso di uso di altre armi, in direzione di immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro; di vie di comunicazione ferroviaria e di strade carrozzabili, eccettuate quelle poderali ed interpoderali; di funivie, filovie ed altri impianti di trasporto a sospensione; di stabbi, stazzi, recinti ed altre aree delimitate destinate al ricovero ed all'alimentazione del bestiame nel periodo di utilizzazione agro-silvo-pastorale; 
  • cacciare a distanza inferiore a cento metri da macchine operatrici agricole in funzione

Anche in questo caso il bene che il legislatore si propone di tutelare è quello della sicurezza di quei soggetti che potrebbero trovarsi in prossimità di luoghi in cui si esercita l’attività venatoria. È tassativamente vietato, infatti sparare a distanza inferiore ai 100 metri da macchine agricole in funzione.

Conclusioni

Abbiamo fino ad ora visto le prime due tipologie di divieti posti nei confronti dell’attività venatoria e dei cacciatori. La disciplina di questa materia è molto vasta in quanto non ricomprende esclusivamente il mero dato giuridico evincibile dalla previsione normativa, ma anche e soprattutto dalla Giurisprudenza in materia. Nel prossimo periodo andremo avanti nella nostra analisi proseguendo nella spiegazione delle fattispecie ed analizzando successivamente le più importanti sentenze in materia così da chiarire al Cacciatore ed appassionato l’orientamento giurisprudenziale prevalente e le più importanti correnti in dottrina.